Lev Trotsky – Da “La loro morale e la nostra”
Nei periodi in cui la reazione trionfa, si vedono i signori democratici, socialdemocratici, anarchici e gli altri rappresentanti della sinistra, secernere moralità in dose doppia, così come gli individui traspirano più copiosamente quando hanno paura. […]
L’uomo che non voglia né tornare a Mosè, al Cristo o a Maometto, né contentarsi di un arlecchino eclettico, deve riconoscere che la morale è un prodotto dello sviluppo sociale; ch’essa non ha niente di invariabile; che serve agli interessi della società, che tali interessi sono contraddittori; che la morale ha,più di qualsiasi altra forma di ideologia, un carattere classista. Tuttavia, non esistono forse delle regole elementari di morale elaborate dal progredire dell’intera umanità e che sono necessarie alla vita dell’intera collettività? Certo, ve ne sono, ma la loro efficacia è alquanto instabile e ristretta. Le norme «imperative per tutti» sono tanto meno efficaci quando la lotta di classe si fa più aspra. La guerra civile, forma culminante della lotta di classe, abolisce violentemente qualsiasi legame morale fra le classi nemiche. Posto in condizioni «normali», l’uomo «normale» rispetta il comandamento: «Tu non ucciderai!».Ma se egli uccide nelle circostanze eccezionali della legittima difesa, la giuria lo proscioglie. Se, al contrario, egli cade vittima di un’aggressione, l’aggressore sarà ucciso per effetto di una sentenza. La necessità di una giustizia e della legittima difesa discende dall’antagonismo degli interessi. Per quel che concerne lo Stato, esso si limita in tempo di pace a fornire un crisma legale all’esecuzione di determinati individui per trasformare, in tempo di guerra, il «Tu non ucciderai!» in un comandamento diametralmente opposto. I governi più umanitari che «detestano» la guerra in tempo di pace fanno, in tempo di guerra, dello sterminio della frazione più vasta possibile dell’umanità, il dovere dei loro eserciti. Le regole «generalmente ammesse» della morale conservano il carattere algebrico, ossia indefinito, che è loro proprio. Esse esprimono soltanto il fatto che l’uomo, nel suo comportamento individuale, è legato da talune norme generali, in quanto egli appartiene alla società. L’«imperativo categorico» di Kant è la più alta generalizzazione di tali norme. Nonostante la posizione eminente che ha codesto imperativo nell’Olimpo filosofico, esso non ha nulla, assolutamente nulla di categorico, non avendo nulla di concreto. E’ una forma priva di contenuto.
La causa della vuotaggine delle forme obbligatorie per tutti è che, in qualsivoglia circostanza importante, gli uomini hanno un senso assai più immediato e profondo della loro appartenenza a una classe sociale piuttosto che alla «società ». Le norme di morale «obbligatoria per tutti» ricevono in realtà un contenuto di classe, in altri termini: antagonistico. La norma morale è tanto più categorica in quanto essa è meno «obbligatoria per tutti». La solidarietà operaia, soprattutto durante gli scioperi o sulle barricate, è infinitamente più categorica della solidarietà umana in generale.
La borghesia, la cui coscienza di classe è assai superiore, per la sua pienezza e la sua intransigenza, a quella del proletariato, ha un interesse vitale a imporre la «sua» morale alle classi sfruttate. Le norme concrete del catechismo borghese vengono camuffate con l’aiuto di astrazioni morali poste esse stesse sotto l’egida della religione, della filosofia o di quel la cosa ibrida che vien detta «buon senso». L’invocazione rivolta alle norme astratte non è un errore disinteressato della filosofia, ma un elemento necessario nel meccanismo della lotta di classe. Mettere in luce quest’inganno, la cui tradizione risale a qualche millennio addietro, è il primo dovere del rivoluzionario proletario.[…]
Il mezzo non può essere giustificato che dal fine. Ma anche il fine abbisogna di una giustificazione. Dal punto di vista del marxismo, che esprime gli interessi storici del proletariato, il fine è giustificato se porta all’accrescimento del potere dell’uomo sulla natura e all’abolizione del potere dell’uomo sull’uomo.
«Forse per attingere questo fine, tutto è lecito?», ci chiederà sarcasticamente il filisteo, rivelando di non aver compreso nulla. E’ lecito, risponderemo, tutto ciò che porta effettivamente alla liberazione degli uomini. Questo fine non potendo essere raggiunto che attraverso vie rivoluzionarie, la morale emancipatrice del proletariato ha necessariamente un carattere rivoluzionario. Insieme ai dogmi della religione, essa si oppone irriducibilmente ai feticci, quali che siano, dell’idealismo, questi gendarmi filosofici della classe dominante. Essa deduce le regole di condotta dalle leggi dello sviluppo sociale, vale a dire, innanzitutto dalla lotta di classe, che è la legge delle leggi.