Nucleare e capitalismo
Di Falaghiste
Negli ultimi tempi il dibattito pubblico sulla crisi ambientale sta crescendo, concentrandosi sulle centrali nucleari, spacciate per tecnologia a zero impatto ambientale. Insomma, se il sistema dei media di -mercato-, pur non essendo al servizio di un qualche complotto mondiale, come dicono alcuni, si spende in questa direzione, significa che le classi dirigenti stanno sperimentando una propaganda per convincere il “popolo bue” a dimenticare Chernobyl e Fukushima. E purtroppo alcuni argomenti giocano a loro favore. Uno: siccome sarà necessario ridurre drasticamente l’utilizzo degli idrocarburi, e le tecnologie da fonti rinnovabili, come l’eolico e il solare, non saranno sufficienti a compensare la perdita, il ricorso al nucleare sarà inevitabile. Due: dato che presto non si parlerà più di fissione nucleare, ma, a sentir loro, di una tecnologia più pulita e sicura, la fusione nucleare, l’opposizione alle centrali termo-nucleari sarà del tutto obsoleta.
Sulla fusione, gli studi in corso hanno permesso di conseguire alcuni importanti risultati sperimentali, che fanno ritenere ragionevole l’ipotesi che in capo a qualche decennio si possa realizzare un prototipo di centrale a fusione. Ma questi tempi potrebbero contrarsi notevolmente, giacché, sospinti dall’aggravarsi della crisi climatica, una sempre maggiore quantità di investimenti si sta dirigendo in questa direzione. E dunque, a meno che gli enormi problemi tecnici che comporta la fusione si rivelino insormontabili, il che non è da escludere in assoluto e in questo caso si tornerebbe permanentemente alla fissione, non ci sono dubbi che la fusione nucleare sarà l’energia del capitalismo futuro.
Per fissione nucleare si intende la scissione di un nucleo pesante in due, o tre, nuclei leggeri: la massa del nucleo iniziale è maggiore della somma delle masse dei nuclei più leggeri e la differenza di massa viene liberata come energia. La fusione nucleare è il processo inverso: l’unione di due nuclei leggeri che formano un nucleo più pesante, la cui massa è inferiore a quella complessiva dei nuclei originari. Anche in questo caso la massa mancante si trasforma in energia; in entrambi i casi si tratta di trasformazione di materia in calore ad alta temperatura. Resta da capire se nei prossimi anni i grandi investitori e le grandi industrie punteranno decisamente sulla fusione nucleare, o invece, prudentemente, opteranno per una fase di transizione (di qualche decennio) nella quale continuare a produrre con le nuove centrali a fissione, che i nuclearisti ritengono assolutamente sicure. Da come se ne parla nelle ultime settimane, sembra che l’opzione preferita sia la più tradizionale, anche perché già sarebbe un grosso affare per i costruttori.
Allora, lasciando da parte la fusione nucleare, la quale per il momento non sembra all’ordine del giorno, cerchiamo di giustificare la contrarietà alle centrali nucleari a fissione, senza scadere in catastrofismi antiscientifici, o demonizzazioni, di un fenomeno naturale che impiega due delle quattro forze fondamentali dell’universo: forza di gravità, forza elettromagnetica e, appunto, forza nucleare debole e forza nucleare forte. E dunque ipotizziamo che queste centrali siano assolutamente sicure, come afferma la propaganda nuclearista, cioè che il pericolo di fuoriuscita di radiazioni sia da escludersi in assoluto. E già qui la premessa è fallace, dato che l’assolutezza è un concetto filosofico e matematico, non fisico, e perciò inapplicabile integralmente alla realtà, come dimostra la storia delle catastrofi, spesso annunciate ma non evitate, per interessi politici ed economici. E nel nostro caso, anche una percentuale estremamente bassa di probabilità di incidente non sarebbe accettabile.
L’argomento antinuclearista più forte riguarda lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi, che si dividono in diverse categorie: per pericolosità, tempi di decadenza e metodi di stoccaggio. Per i rifiuti radioattivi di bassa/media attività, l’isolamento deve essere garantito per qualche secolo e quindi la soluzione di smaltimento più idonea è il deposito superficiale, protetto prevalentemente da barriere ingegneristiche, cioè progettate e realizzate dall’uomo e barriere naturali poste in sede per il contenimento della radioattività. I rifiuti radioattivi ad alta attività o a lunga vita mantengono invece livelli di radioattività significativi per decine e centinaia di migliaia di anni. Per l’isolamento di tali rifiuti non è possibile fare affidamento solo su barriere artificiali, ma ci si deve affidare a barriere naturali. Chi può assicurarci che fra cento, cinquecento, o mille anni, qualcuno non le vada a cercare per realizzare chissà quale arma letale, o inavvertitamente le riporti alla luce? Ipotesi fantascientifiche? Piuttosto un principio precauzionale che dovrebbe riguardare l’applicazione di qualsiasi scoperta scientifica relativa all’utilizzo di grandi concentrazioni di energia. “Certo!”, ribattono i nuclearisti, “ma nel frattempo avremo trovato il modo di renderle inattive”, ma chi può garantirci su questo?
Però c’è un problema: sebbene il principio di precauzione, arma pluridecennale dei movimenti ambientalisti, sia un argomento fortemente a favore degli antinuclearisti, esso non preclude in assoluto il ricorso all’energia nucleare; giustamente non la demonizza, ma nemmeno implica un’idea alternativa sulla gestione dell’energia, che non sia quello centrato sulle ormai tradizionali fonti rinnovabili; alcune della quali, a ben vedere, sono tutt’altro che ecologiche, sebbene molto meno pericolose. Sostanzialmente, il principio di precauzione è stato, ed è ancora, più una tattica politica che una strategia ecologica, magari facendo affidamento sulla certezza che i nuclearisti non riusciranno mai a dimostrare l’innocuità dei grandi impianti nucleari finalizzati alla produzione di energia. Per cui, in prospettiva, di fronte alle nuove centrali a fissione, alla crescita del prezzo degli idrocarburi e all’emergenza climatica, tale principio potrebbe essere difficile da sostenere.
Ne consegue che la critica ecologista al modo di produzione vigente debba essere rifondata, abbandonando le argomentazioni di carattere tecnico, per attingere direttamente ai principi scientifici. Tali principi sembrerebbero estremamente complessi, abissalmente distanti dal sapere comune tanto da essere inutili per una politica contro le centrali nucleari. Tuttavia, al contrario degli elementi tecnici, essi sono descrivibili in forma comprensibile. Fra questi, uno dei più significativi è il seguente: -se in un dato insieme di forze, concentriamo l’energia in una sola parte di esso impoveriamo le forze restanti-. Semplicemente: a maggior concentrazione di energia corrisponde maggiore dispersione di energia.
Dal punto di vista ecologico, il modo di produzione capitalista è un agglomerato di macchine indistinte, senza qualità singole, il cui unico fine è accumulare energia; esattamente come il plusvalore si accumula, producendo e scambiando merci indistinte. La progressiva sovrapproduzione di capitale, che a un certo punto si trasforma in sottoproduzione di merci, riflette ecologicamente la concentrazione di energia che alla lunga impoverisce gli ecosistemi e alla fine sconvolge l’intera ecosfera. Dal punto di vista socio-ecologico, questo processo di concentrazione-dispersione non riguarda soltanto le forze fisiche, ma anche le forze socio-economiche e politiche; ognuna delle quali viene impegnata in misura diversa e per la parte che la riguarda: grandi capitali di investimento, consenso sociale e vigilanza.
Ovviamente, non tutte le tecnologie sono corrispondenti e ciò dipende dalle forze dalle quali ognuna di esse deriva. L’energia termonucleare è altamente efficiente, giacché una alta porzione del calore prodotto si trasforma in energia disponibile, al contrario di altre tecnologie a bassa temperatura, là dove, ad ogni trasformazione intermedia, la dispersione entropica aumenta in maniera rilevante. Tuttavia, secondo la legge di accumulazione-dispersione, assorbirà comunque grandi quantità di energia dall’ambiente circostante; causa l’enorme dispendio di materie prime e capitali, per la costruzione degli impianti e, successivamente, per la demolizione degli stessi, dopo pochi decenni, e lo stoccaggio delle scorie radioattive prolungato nel tempo. Su questo, è opportuno precisare che più un fattore di rischio si prolunga nel tempo, maggiore sarà il dispendio di energia: s’intende che il tempo nel suo divenire agisce da moltiplicatore. Perciò, sullo stoccaggio delle scorie radioattive si può concludere che il rischio e le spese, economiche ed energetiche, non sono calcolabili.
L’umanità, a partire dalla scoperta del fuoco, ha speso il proprio ingegno alla ricerca dell’energia infinita, pur rimanendo per millenni assoggettata alla natura. Poi, con la rivoluzione industriale tutto è cambiato: essa ha iniziato a distruggere le sue fonti energetiche. Ad ogni ciclo di riproduzione del profitto, sempre più veloce e sempre più globale, la contraddizione natura-capitale è diventata direttamente proporzionale: più il capitale cresce e si concentra, più si distrugge l’attuale equilibrio naturale. Questo processo può essere fermato solo con la distruzione del capitalismo e del suo modo di produzione energivoro, giacché la natura non può essere ristrutturata come il sistema industriale e la Terra non può fornire un ulteriore surplus di materia ed energia.
Le convinzioni dei nuclearisti ricordano i miti degli antichi: il mito ottenebrante di Icaro, il cui desiderio insaziabile di energia gli fa dimenticare che le ali sono fatte di cera; il mito della Cornucopia, il corno dell’abbondanza, sempre ricolmo di ogni genere di beni per l’umanità. Logico che gli antichi non si chiedessero quale fosse l’origine di tale abbondanza: semplicemente la consideravano un dono degli Dei. Ma oggi, alla luce della scienza, sarebbe altrettanto logico chiedersi da dove provengano le merci, il denaro e l’energia, il cui possesso sta diventando sempre più un’ossessione.
L’energia nucleare è la massima concentrazione di energia prodotta dall’umanità; la materializzazione della volontà di potenza in divenire, merce concentrata e concentrazione di energia. La rivoluzione industriale della borghesia mercantile non ha realizzato sostanzialmente niente di nuovo per l’umanità, ma l’ha trascinata al culmine di un percorso iniziato emblematicamente con il dominio sul fuoco. Dal punto di vista ecologico, la borghesia è la sola classe dominante che si riproduce concentrando ulteriormente energia, per bruciare materia e trasformarla in scorie sotto forma di merci indistinte. L’unico merito della borghesia è di avere scoperto ragione e scienza e, tramite queste, di avere moltiplicato la redditività del lavoro. Però, a un certo punto, con la pratica dello sviluppo indefinito essa ha abbandonato scienza e ragione, sostituendole con tecnica e tecnologia. Le illusioni illuministe sono evaporate da un pezzo, insieme ai -coraggiosi capitani d’industria-. La borghesia è diventata una classe sociale decadente, come lo furono a suo tempo la nobiltà guerriera, la nobiltà di stirpe e la nobiltà mercantile, dalla quale la borghesia ebbe origine: tecnica e tecnologia sono diventate dottrina di onnipotenza. Logica conseguenza sono i segnali di ritorno dell’Ancien Régime; nelle rivolte antiscientiste, sovraniste e razziste.
Dal punto di vista ecologico la borghesia è una classe entropica, una scoria sociale, rifiuto di un’era al tramonto, ma che ancora detiene il potere globale. E dunque, la questione della rivoluzione si ripropone, non solo come giusta e necessaria per la stragrande maggioranza del l’umanità, ma imprescindibile per tutte le classi sociali, pena la catastrofe globale. Alla frenetica ricerca dell’energia dovrà subentrare la ricerca dell’equilibrio fra uomo e natura, nella speranza che il desiderio effimero di possedere rifiuti sotto forma di merci lasci il posto al desiderio di essere ciò che l’umanità deve essere se vuole sopravvivere: soggetto naturale passivo e, dialetticamente, soggetto naturale attivo, inserito nel flusso infinito di materia ed energia.
Il dibattito attuale sul nucleare e sull’energia in generale: quale energia e quanta energia sia necessaria per salvare un sistema basato sulla distruzione delle fonti della stessa energia è indicativo della pietrificazione della contraddizione irrisolvibile fra capitalismo industriale di mercato e ambiente naturale; e quindi obsoleta. In fin dei conti l’energia più potente, e davvero infinita, è quella naturale; si tratta di saperla usare con tempi e tecnologie ad essa conformi: rallentare il flusso produttivo, distruggere le merci inutili e sostituirle con beni utili e più gratificanti del denaro, pianificare la produzione osservando la meccanica della natura. Con l’eco-socialismo, il comunismo ritorna all’ordine del giorno più forte che mai. Se da qualche dimensione parallela i compagni Marx ed Engels e tanti altri come loro ci vedessero: riderebbero… oh, se riderebbero!