Le radici ecologiche del pensiero marxista
Di Falaghiste
È cosa nota che molti di coloro che dichiarano di riferirsi a un sistema teorico si trovano spesso in contraddizione con esso. Lo stesso Marx, per evidenziare la possibilità di tale sviluppo e per esprimere dissenso nei confronti di alcuni dei suoi sedicenti seguaci, pronunciò una delle sue frasi più famose: “Io sono Marx ma non sono marxista”. Purtroppo, con il senno del poi, tale dichiarazione, piuttosto sibillina a dire il vero, non ha contribuito a fare chiarezza; anzi, ha dato la stura a una tale sovrabbondanza di interpretazioni da creare l’effetto contrario; compresa quella che Marx non fosse convinto di quanto asseriva: che fosse in sostanza più un riformista che un rivoluzionario. Quindi, se questi problemi valgono per ogni teoria, nella complessità del sistema Marxista-Engeliano si aggravano, prestandosi a interpretazioni diverse, o addirittura opposte. La conseguenza è che, non potendolo ignorare, l’esercito odierno e passato dei revisionisti, in buona o mala fede e dei traditori coscienti, cerca e ha sempre cercato di strumentalizzarlo a proprio uso e consumo. E anche se andiamo a cercare gli aspetti più sconosciuti, o ignorati, del pensiero di Marx e Engels, come appunto il rapporto fra uomo e natura, troveremo sempre il revisionista di turno; come Martin O’ Connor, fondatore dell’eco-marxismo; il quale attribuiva a Marx sei errori fondamentali: di avere trascurato la natura, di avere omesso di riconoscere che la vita sociale è anche vita materiale, di avere ignorato la cultura, di avere una impostazione antropocentrica (che pone l’uomo al centro di tutto), di avere favorito una visione apologetica delle forze produttive e, infine, di avere negato il lato passivo del rapporto uomo-natura. Non è questa la sede per confutare tali sciocchezze, sia perché sono state dimostrate tali da eminenti studiosi marxisti (1), sia perché l’aspetto del marxismo che vale la pena conoscere (per i proletari) non è certo di tipo accademico ma essenziale. Ovvio che per fare questo sia necessario ricorrere a chi ha saputo affrontare il marxismo da studioso marxista: cioè con l’intento di fornire al proletariato uno strumento di emancipazione.
L’ispirazione originaria del marxismo: l’unità dialettica uomo-natura
Dal libro “Marxismo ed ecologia” di Tiziano Bagarolo [capitolo uno-parte prima]
Nell’essenza del pensiero di Marx e di Engels c’è una formulazione del rapporto uomo-natura- nella società che rimane metodologicamente insuperata, anche dopo un secolo e più di sviluppi delle scienze biologiche e antropo-sociali; la cui attualità deve essere pienamente rivendicata dal marxismo rivoluzionario tanto contro ogni forma di riduzionismo storicistico e/o idealistico — il quale vede il motore della storia in un rapporto uomo-uomo (cioè nella pura dialettica delle idee o in quella di una società disincarnata dalla natura) che non è più fondato materialisticamente e dialetticamente in modo inestricabile con la natura — quanto contro il riduzionismo di segno opposto che riconduce il rapporto uomo-natura a ineluttabili matrici biologiche che trascendono la mediazione storica delle forme sociali. Dalle prime formulazioni di Marx, nei Manoscritti economico- filosofici del 1844 al Capitale, dall’Ideologia tedesca del 1845-46, scritta in comune da Marx ed Engels, alla Dialettica della natura, opera incompiuta del secondo, il marxismo elabora un approccio che può essere sintetizzato nella formula dell’unità dialettica dei processi naturali e dei processi sociali, storicamente determinata.
Alla base di questo punto di vista c’è, prima di tutto, l’idea fondante dell’uomo come “ente naturale”, ovvero della profonda unità uomo-natura che la storia non sopprime. Questo concetto è enunciato con grande chiarezza nei Manoscritti del 1844, opera fondamentale nella formazione del pensiero di Marx, vero e proprio crogiolo delle concezioni che prenderanno forma compiuta nelle opere successive.
In essi leggiamo: “L’uomo è immediatamente ente [entità n.d.r.] naturale. Come ente naturale e ente naturale vivente, è da una parte fornito di forze naturali, di forze vitali, è un attivo ente naturale, e queste forze esistono in lui come disposizioni [attitudini n.d.r.], capacità, come impulsi; e d’altra parte, in quanto ente naturale, corporeo, sensibile, oggettivo, è un ente passivo condizionato e limitato, come è anche l’animale, e la pianta: e cioè gli oggetti dei suoi impulsi esistono fuori di lui come oggetti del suo bisogno, oggetti indispensabili, essenziali alla manifestazione e conferma delle sue forze essenziali.” (2)
In questa affermazione del “naturalismo” di Marx rinveniamo anche il suo tratto originale: l’uomo non è solo parte passiva della natura ma anche attiva. Il rapporto tra uomo e natura non è dato una volta per tutte, ma evolve, ha una storia: “la storia è la vera storia naturale dell’uomo” (3). Il lavoro è ciò che distingue l’uomo dalle altre specie animali; una prassi consapevole che non produce solo secondo il bisogno, ma anche: “secondo le leggi della bellezza” (4). Nella produzione della sua vita l’uomo opera in rapporto con i suoi simili, socialmente. Ed è l’altro uomo (la società), che aliena il lavoro dell’uomo, non la natura:
“La libera attività consapevole è il carattere specifico dell’uomo. Ma la vita stessa appare, nel lavoro alienato, [ malato, paranoico n.d.r. ] soltanto mezzo di vita [di sopravvivenza n.d.r.] Se il prodotto del lavoro mi è estraneo, e mi sta di fronte come una potenza straniera, a chi esso appartiene allora? Se la mia propria attività non mi appartiene ma è un’estranea e coartata [obbligatoria,costretta n.d.r.] attività, a chi appartiene allora? Gli Dei non furono mai i soli padroni del lavoro. Tanto meno la natura. E quale contraddizione sarebbe anche che, viepiù [ancora di più n.d.r.] l’uomo si sottomette la natura col suo lavoro, e viepiù i prodigi degli Dei sono resi superflui grazie ai prodigi dell’industria, l’uomo debba rinunciare per amore di tali potenze alla gioia della produzione e a godimento del prodotto.
L’ente estraneo, al quale appartiene il lavoro e il prodotto del lavoro, al servizio del quale sta il lavoro e per il godimento del quale sta il lavoro, può essere soltanto l’uomo stesso. Ogni autoalienazione dell’uomo a sé stesso e alla natura si palesa nel rapporto ch’egli stabilisce, di sé e della natura, con un altro uomo, distinto da lui.” (5)
Questo uomo è il capitalista e “la proprietà privata è dunque il prodotto, il risultato, la necessaria conseguenza del lavoro espropriato, del rapporto estrinseco [esteriore, esterno n.d.r.] dell’operaio alla natura e a se stesso”; nello stesso tempo “essa è il mezzo col quale il lavoro si espropria, la realizzazione di questa espropriazione” (6).
La soppressione della proprietà privata diviene conseguentemente non solo la condizione della riconciliazione dell’uomo con l’uomo ma anche dell’uomo con la natura.
Note
1) DATANEW: CNS, Capitalismo Natura Socialismo, anno terzo n°2, maggio-agosto 1993 :”Giovanni Mazzetti -Dibattito sull’eco-marxismo: da Marx all’ecomarxismo è vero progresso?” pp.81-99
2)K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 267.
3)K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 269.
4)K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 200.
5)K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 201-201.