Gli asini volano, se molti lo affermano.
Di Falaghiste
Leggere è propedeutico per imparare a scrivere e scrivendo si impara a scrivere con destrezza, pare un’ovvietà, ma l’avvento dei social ha saltato questa tappa fondamentale del processo di apprendimento; è come se parecchia gente, forse la maggioranza, avesse imparato prima l’algebra che l’aritmetica. Sicché, l’ha imparata male e a pappagallo, come si diceva una volta. Con il risultato che gli individui, preda dei social, non si pongono il problema di esprimere se stessi nel confronto con gli altri, ma quello che pensano di essere a prescindere dagli altri, con il risultato finale di non capire quello che li circonda e, peggio ancora, se stessi. Improvvisamente il sopravanzare della tecnologia nei processi formativi ha messo a nudo la fondamentale inadeguatezza e imprevidenza dei sistemi precedenti alla rivoluzione informatica. Uno dei crimini peggiori di questa classe dirigente è di aver diffuso senza alcuna precauzione una tecnologia di questa importanza educativa, per stupidità, inadeguatezza o, molto peggio, per usarla come strumento di dominio.
C’è poi un aspetto della scrittura che si deve capire. Non basta buttare sul foglio una manciata di parole alla cazzo e poi sistemarle all’ingrosso: ognuno deve avere il suo stile, il suo modo di farlo, a prescindere dalla correttezza grammaticale. E questo per la semplice ragione che scrivere vuol dire anche esprimere una visione del mondo unica e irripetibile; sennò tutto diventa uno slogan, un urlo della folla ripetuto all’infinito. Imparare a scrivere è come imparare a parlare, prima si impara dai maestri, genitori o docenti che siano, poi da soli nel confronto con la scrittura di quelli più bravi o che piacciono. Piacere, in scrittura, significa che ogni aspetto del testo, a prescindere dai contenuti e dalle difficoltà oggettive, risulta piacevole e vicino al modo di pensare del lettore. In genere nei social il testo per funzionare deve essere molto breve; e ciò faciliterebbe, sostengono i cultori della rete, coloro che leggono poco e non scrivono mai finalmente con la rete tutti saranno uguali, tutti comunicheranno con tutti.
Un’ affermazione, questa, sicuramente truffaldina. Primo, perché il programma non contempla parametri qualitativi, nemmeno minimi… e secondo perché non è vero che esprimersi con poche parole sia più facile che usandone molte, anzi è proprio il contrario. La sintesi è massima scrittura: la forma più difficile e più rara di letteratura, prerogativa dei poeti e, purtroppo, degli esperti pubblicitari. Certo, nei social ci sono le immagini che aiutano, ma il testo vale perlomeno altrettanto.
Così, la telematica ha aperto una nuova era per l’ipnotismo di massa. La pura illusione dell’uguaglianza dentro il suo contrario; giacché, i soli che comunicano con tutti, parlando con la bocca di tutti, sono quelli che dispongono della potenza e delle conoscenze necessarie: pochi diffusori e una massa di ricettori, che a loro volta si trasformano in diffusori passivi. Comunque il principio è lo stesso della vecchia e ancora insuperata televisione, con la differenza che in quella sembrano evidenti i protagonisti e gli spettatori.
La tecnologia sopravanza sempre la società, nel senso che a ogni rivoluzione tecnologica le vecchie generazioni, formatesi in quella precedente, rimangono tagliate fuori. Tuttavia anche le nuove generazioni faticano a rendersi conto delle insidie contenute i questi nuovi mezzi, per la semplice ragione che ogni nuova tecnologia è l’espressione della classe dominante e dei suoi specialisti: si crea una realtà di pericoli inesistenti, mentre i pericoli veri e le responsabilità vengono occultate. Basta osservare gli scambi su Facebook e si vede come sia quasi impossibile intessere la trama di uno scambio formativo; nel momento in cui si tenta un approfondimento inizia un caos inestricabile, senza un fine. A nessuno al mondo verrebbe in mente di affidare una macchina da corsa a un neo-patentato o affidare il disinnesco di una mina a un incompetente, ma sembra assolutamente normale, anzi democratico, mettere in mano a una massa di bambini e adulti semianalfabeti, che non capiscono la forza delle parole, strumenti di una tale potenza formativa della coscienza. Tali apparati dovrebbero essere concepiti e dimensionati per età, livello di consapevolezza e competenza, con il rilascio di veri e propri patentini per viaggiare nella rete.
Ciò non vuol dire che s’intende proibire o chiudere Internet, si tratta di istaurare un sistema che stabilisca una scala di requisiti per l’accesso alla rete e che protegga gli utenti sprovveduti da intrusioni virali. I centri di diffusione, facenti capo a società a scopo di lucro o che pubblicano notizie fasulle, vanno chiusi e i titolari inquisiti per il reato di pubblicità ingannevole.
L’accesso individuale alla rete deve rimanere libero, ma gli utenti che pubblicano volgarità, minacce o che aderiscano a campagne denigratorie della dignità personale, di etnia o di genere, vanno espulsi definitivamente. Le testate di informazione, i partiti, le associazioni, i gruppi di opinione, i movimenti avranno libero accesso, a condizione che si dichiarino tali e che la loro natura o scopo sociale sia evidente e distinguibile dai singoli utenti. In ogni scuola di ordine e grado andrebbe introdotta una materia di studio relativa all’uso e alla comprensione dei nuovi media, in un percorso di formazione includente ma selettivo. Grotteschi e ipocriti ci appaiono gli avvisi sui programmi televisivi, che intendono tutelare i minori, o che si proibisca l’uso dei cellulari in classe, quando ai bambini viene concesso il libero uso di uno smartphone di ultima generazione. È allucinante che sia la rete a iniziare la formazione di base delle nuove generazioni e non la scuola.
Sarebbe tutto questo una limitazione della libertà? Al contrario, la libertà, concetto del tutto astratto e opinabile, si può esprimere nel suo significato migliore: come liberazione da ogni condizionamento, soltanto se le nuove tecnologie, come ogni mezzo di produzione, saranno soggette a controllo sociale, sulla base di un principio di eguaglianza reale fra gli individui.