Ascesa e caduta dell’lslam politico
Porsesh: Qual è la tua interpretazione di concetti come fondamentalismo islamico’ e islam politico’? In che cosa differiscono?
Mansoor Hekmat: Non uso l’espressione `fondamentalismo islamico’ per-ché penso che sia una interpretazione ben congegnata della Destra che presenta deliberatamente una immagine distorta dell’Islam e dei movimenti islamici contemporanei. La realtà è l’emergere dell’Islam politico. A mio parere, l’Islam politico è un movimento reazionario contemporaneo che non ha rapporti, se non nella forma, con i movimenti islamici della fine del ventesimo e inizi del ventunesimo secolo. Per contenuto sociale e obiettivi sociopolitici ed economici, questo nuovo movimento è perfettamente radicato nella società contemporanea. Non è la ripetizione dello stesso vecchio fenomeno. È il risultato di un progetto, della fine anni Sessanta e primi anni Settanta, sconfitto – o per meglio dire abortito – di modernizzazione occidentale dei paesi abitati da Musulmani del Medio Oriente, e anche di un declino del movimento laico e nazionalista che è stato l’agente principale di tale modernizzazione economica, amministrativa e culturale. La crisi ideo-logica e di governo si accentuò nella regione. Con tale vuoto politico-ideologico, e con la confusione della borghesia locale, il movimento islamico si fece avanti come alternativa di destra per riorganizzare il governo borghese di fronte alla Sinistra e alla classe operaia, che era emersa con l’ascesa del capitalismo. Eppure, senza gli sviluppi del 1978-79 in Iran, questi movimenti non avrebbero ancora avuto possibilità e sarebbero rimasti marginali. E stato in Iran che questo movimento si è organizzato come uno Stato e ha trasformato l’Islam politico in una forza considerevole nella regione.
A mio parere, l’Islam politico è un termine generale che si riferisce al movimento che vede l’Islam quale veicolo principale per una ristrutturazione di Destra della classe dominante e per creare in queste società uno Stato contro la Sinistra. In sé, si confronta e compete con altri poli del mondo capitalista, specialmente i blocchi egemoni, per la sua fetta di potere e la sua influenza nell’ordine mondiale capitalista. Questo Islam politico non deve necessariamente avere un determinato o definito contenuto ‘islamico’ legislativo o scolastico. Non è necessariamente fondamentalista o dottrinario. Questo Islam politico abbraccia un ampio e variegato ventaglio di forze: dal pragmatismo e flessibilità politici e ideologici di Khomeini, ai rigidi circoli della fazione di Destra nel governo iraniano; dai “morbidi” filo-occidentali Movimento per la Libertà di Mehdi Bazargan o Amai di Nabih Berry, da Hamas e Jihad Islamica, fino al `Protestantesimo Islamico’ del genere di Surosh ed Eshkevari in Iran.
Le potenze occidentali, i mass inedia e il loro inondo accademico hanno avanzato la nozione di fondamentalismo al fine di separare le correnti terroriste e antioccidentali di questo movimento islamico dalle sue varianti pro-occidentali e conciliatrici. Chiamano le sezioni antioccidentali ’fondamentaliste’ e attaccano il fondamentalismo così possono tenere insieme l’Islam politico, che per il momento è un fondamento insostituibile del governo di Destra e antisocialista nella regione. Le correnti antioccidentali, comunque, non sono necessariamente le rigide fazioni fanatiche di questo movimento. I settori più fondamentalisti del campo islamico, come i Talebani e l’Arabia Saudita, sono i migliori amici dell’Occidente.
Porsesh: Fino a qual punto la presa del potere da parte degli Islamici è segno di regresso religioso? Questo tornare indietro alla religione in queste società è un ritorno a valori e credenze religiosi nella vita personale e sociale?
Mansoor Hekmat: Penso che ciò non sia radicato in una rinascita dell’Islam come sistema ideologico. Non è Islam ideologico, piuttosto è Islam politico basato su particolari equazioni politiche. Chiaramente, con la venuta al potere dell’Islam politico, si intensifica la pressione per far rivivere aspetti religiosi nella società. Questa, comunque, è una pressione politica. A volte le persone cedono a certe pressioni. Questo `rinascimento’ islamico è appoggiato da violenza e terrore, che assumono una forma in Algeria e un’al-tra in Iran. In Iran, all’opposto, la realtà è che l’ascesa dell’Islam politico e del governo religioso ha causato un impressionante contraccolpo antiislamico, sia nella sfera ideologica che personale. L’emergere dell’Islam politico in Iran ha fatto da preludio a una rivoluzione culturale anti-islamica e anti-religiosa nelle menti della gente, in particolare tra le giovani generazioni, che sbalordirà il mondo con un immenso boato e proclamerà pratica-mente la fine dell’Islam politico in tutto il Medio Oriente.
Porsesh: In questa tavola rotonda, Arvand Abrahimian ha detto che la caduta della Repubblica Islamica non sarà l’ultimo chiodo nella bara del movimento islamico, perché altre tendenze, in particolare non Sciite, potrebbero dissociarsi da questa sconfitta. Sei d’accordo con questa analisi?
Mansoor Hekmat: Secondo me, il movimento islamico in Medio Oriente e a livello internazionale non avrà più fiato dopo la caduta del regime islamico in Iran. La questione non è che l’Iran islamico sarà un modello sconfitto da cui altri potranno dissociarsi. La sconfitta della Repubblica Islamica si darà nel contesto di un immenso sollevamento laico di massa in Iran, che toccherà le fondamenta del reazionario pensiero islamico e non solo lo screditerà ma lo condannerà all’opinione pubblica mondiale. La sconfitta del regime islamico sarà paragonabile alla caduta della Germania nazista. Nessun fascista può facilmente mantenere la propria posizione semplicemente prendendo le distanze, organizzativamente e ideologicamente, da quel polo caduto. L’intero movimento vivrà decenni di stagnazione. La sconfitta dell’Islam politico in Iran è una vittoria anti-islamica che non si fermerà ai confini dell’Iran.
Porsesh: Non accetti l’aggettivo ‘Islamici’ per paesi come l’Iran. Perché no?
Mansoor Hekmat: Ogni classificazione ed etichetta dietro ha uno scopo. L’Islam è stato in Iran per millequattrocento anni e ovviamente ha lasciato il marchio su determinate cose. Ma è solo uno degli elementi per dipingere questa società – proprio come lo sono oppressione, monarchia, stato di polizia, arretratezza industriale, etnie, lingua, scritti, storia politica, il modo di vivere preislamico, le caratteristiche fisiche della gente, le relazioni internazionali, geografia e clima, alimentazione, dimensione del paese, concentrazione della popolazione, rapporti economici, livello di urbanizzazione, architettura, eccetera. Tutti esprimono caratteri reali della società. Ora, se prendendo uno dei cento fattori che creano differenze tra Iran e Pakistan, Francia e Giappone, qualcuno vuole insistere a puntualizzare la presenza dell’Islam in alcuni aspetti della vita della società e vuole fare una miscela di tutti noi con questa etichetta – da individui antireligiosi come Dashty, Hedayat e tu ed io, fino alla grande maggioranza che non si considerano credenti e non si interessano dell’Islam e del clero – allora questo qualcuno deve avere un piano preciso. L’Iran non è una società islamica, il governo è islamico. L’Islam è un fenomeno imposto in Iran, non solo oggi ma anche durante la monarchia, ed è rimasto al potere con l’oppressione e l’assassinio. L’Iran non è una società islamica. Hanno cercato di farla islamica con la forza per vent’anni e hanno fallito. Chiamare islamica la società iraniana è parte della crociata reazionaria per renderla islamica.
Porsesh: Vedi l’Islam politico come una forza duratura nella struttura politica dei paesi abitati da musulmani del Medio Oriente e dell ‘Africa del Nord?
Mansoor Hekmat: Durevolezza è un concetto relativo. Alla fine arriverà il giorno in cui la regione rigetterà completamente l’Islam e lo renderà un fenomeno antiquato. Sebbene rimarrà per la gente da osservare, ricercare e persino seguire, in pratica non giocherà più alcun ruolo nella vita delle persone. Quando questo giorno arriverà, comunque, dipende interamente dalle tendenze politiche in questi paesi e in modo specifico dalla lotta per il socialismo e la libertà. E possibile che ancora altre generazioni saranno costrette a far durare questo Islam; e statene certi, alcuni `studiosi’ vedranno l’Islam come eterno. Ma non c’è nulla di eterno e strutturale nell’islamismo mediorientale. I movimenti progressisti possono chiudere il capitolo dell’islamismo. Molto presto può arrivare il momento di ripulire l’Iran dall’Islam. A mio parere, Repubblica Islamica e Islam politico con essa sono nel processo di venire sradicati in Iran. Se la pressione politica dell’Islam e dell’islamismo viene eliminata, allora il vuoto e la superficialità di quello che si chiama dominio culturale dell’Islam in società come l’Iran diventeranno chiari rapidamente. In pochi anni, dall’essere il bastione dell’Islam politico l’Iran diventerà centro e leader della lotta contro di esso.
Secondo me, il terrorismo è una delle forme nelle quali l’Islam politico continuerà ad esistere nella regione. La lotta contro il terrorismo islamico continuerà nella regione dopo la vittoria dell’umanità sull’Islam, per alcuni anni. Spazzare via i gruppi terroristi islamici richiederà più tempo.
Porsesh: In alcuni scritti precedenti hai ampiamente collegato la ripresa del movimento islamico alla Questione Palestinese e al conflitto arabo-israeliano. Altri partecipanti a questa tavola rotonda non condividono la tua enfasi particolare su questo legame.
Mansoor Hekmat: Penso abbiano una visione statica della questione. Non si tratta solamente di quali problemi e tensioni abbiano dato origine al movimento islamico. Comunque, anche in questo contesto limitato, il conflitto arabo-israeliano, la questione palestinese e la presenza di un ‘nemico’ etnico-religioso-imperialista, a cui laicismo e nazionalismo arabo hanno ceduto, è una delle principali sorgenti dell’emergere del movimento islamico come un’alternativa di governo. La questione più importante è: in quale direzione le tendenze ideologiche, politiche, culturali dominanti nel XX se-colo spingerebbero il Medio Oriente abitato da arabi e musulmani se non ci fosse nessuna questione palestinese e non fosse stato creato Israele in questo particolare contesto geografico? Quanto questa regione avrebbe potuto avere l’opportunità di venire integrata nell’ordine mondiale `occidentale’, come l’America Latina e il Sudest asiatico, per esempio? Fino a qual punto si sarebbero potuti sviluppare in Medio Oriente il capitalismo, la tecnologia, l’industria e il capitale occidentale, con tutta la loro forza livellatrice e assimilatrice, una forza sia amministrativa che culturale? Quanto avrebbe potuto l’Islam, come altre religioni nel XX secolo, diventare nella sovrastruttura politica del capitalismo mondiale una corrente riconosciuta, modernizzata, moderata e assorbita? La questione non è se la questione palestinese e questo conflitto che continua abbiano o no dato origine al nuovo Islam politico (sebbene, io credo, abbia avuto una buona parte in questo), ma piuttosto fino a qual punto questo conflitto abbia impedito ai musulmani e ai paesi abitati da musulmani di integrarsi nella corrente principale del XX secolo e nel sistema capitalista mondiale. Lo sviluppo economico, il trasferimento di tecnologia, l’integrazione nella cultura occidentale dominante, lo sviluppo delle fondamenta di una società civile capitalista, la crescita di istituzioni politiche e amministrative di stile occidentale, e lo sviluppo di correnti di pensiero intellettuali e culturali occidentali (compresi laicismo, modernismo, liberalismo), quanto sono stati frenati dalla questione palestinese?
Il processo di modernizzazione, laicità, occidentalizzazione dei paesi interessati dall’Islam era iniziato al principio del XX secolo e aveva raggiunto, fino agli anni ’60, perfino numerosi risultati. Tuttavia, l’Occidente considerava l’integrazione della società mediorientale nel campo capitalista occidentale come qualcosa di irraggiungibile e non realizzabile per via della questione palestinese, un conflitto regionale che aveva risentito di una fondamentale polarizzazione globale durante la Guerra Fredda, e a causa della sua alleanza strategica con Israele. La sfida vera alla reazione religiosa può venire adesso soltanto dal socialismo, ma storicamente l’ascesa dell’Islam politico militante in Medio Oriente è stato il risultato della sconfitta in questi paesi del nazionalismo, del laicismo e del modernismo borghesi, i quali teoricamente avrebbero potuto superare l’islamismo, ed erano sul punto di farlo. Anche se non si parlava di `protestantesimo islamico’, in questi paesi questo processo avrebbe potuto mettere l’Islam almeno nella posizione del cattolicesimo in Irlanda. La condizione per questa vittoria borghese, comunque, era lo sviluppo capitalista e industriale e il trasferimento di tecnologia e capitale, cosa che l’Occidente era riluttante a compiere a causa del conflitto arabo-israeliano nel contesto della Guerra Fredda. Dalla creazione di Israele, il Medio Oriente e la sua gente sono stati percepiti come il Male nella cultura politica occidentale; sono tra i personaggi maggiormente negativi nella cultura politica occidentale. Per l’Occidente, il Medio Oriente non è come l’America Latina o il Sudest asiatico. E un posto dove NON andare. E instabile, pericoloso, inaffidabile e ostile. L’Islam politico è venuto fuori in questo buco nero. Se la questione di Israele non fosse esistita, i problemi dell’Egitto, Iran, Arabia Saudita e Iraq sarebbero stati come quelli del Brasi-le, Perù e Messico. Certamente l’Islam politico esisterebbe ancora ma si sarebbe arrangiato come un movimento settario e periferico e non sarebbe entrato al centro della scena politica in questi paesi.
Porsesh: Come definisci il laicismo? In un sistema laico, quali sono i limiti di espressione della religione e dei movimenti religiosi nell ‘arena politica e culturale?
Mansoor Hekmat: Il laicismo va definito così come viene inteso nel linguaggio di tutti i giorni. Senza attribuirgli troppo radicalismo. Significa la separazione della religione dallo stato e dall’educazione, la separazione del-la religione dall’identità del cittadino e la definizione dei diritti e delle responsabilità del cittadino. Far diventare la religione una questione privata. Dove la religione di una persona non c’entra nel definirne l’identità sociale e politica e nei rapporti con lo stato e la burocrazia. Sotto questa luce, il laicismo è un insieme di requisiti minimi. Per esempio, io non riesco a far entrare in questo concetto la mia posizione riguardo alla religione e al suo posto nella società. Non solo voglio il laicismo, ma voglio anche la lotta cosciente della società contro la religione, nello stesso modo nel quale una parte delle risorse della società viene speso per combattere la malaria e il colera, e politiche coscienti vengono compiute contro la misoginia, il razzismo e la violenza sui minori, insomma alcune risorse dovrebbero destinarsi alla dereligionizzazione. Per religione io intendo ovviamente la macchina religiosa e precise religioni e non il pensiero religioso oppure la fede in religioni antiche o attuali. Sono un tipo antireligioso e voglio che la società imponga più limitazioni, oltre il semplice laicismo, alla religione organizzata e alla `industria religiosa’. Se la legge richiede che le religioni si registri-no come fondazioni private o aziende di profitto, paghino le tasse, subisca-no ispezioni e obbediscano a varie leggi, tra cui le leggi sul lavoro, sui diritti dei minori, leggi che controllino il divieto di discriminazioni sessuali, il divieto di diffamazione, di incitamento e di calunnia, nonché leggi a protezione degli animali, eccetera, e se la `industria religiosa’ fosse trattata come quella del tabacco, solo allora ci avvicineremmo a una posizione di principio sulla religione e l’ambito legale della sua espressione nella società.
Porsesh: Forse la differenza è che la dereligionizzazione la si può interpretare o fare intendere come soppressione dei seguaci di una certa religione. Come si può tracciare una linea netta tra questa attiva posizione antireligiosa e la violazione della libertà di pensiero e di espressione?
Mansoor Hekmat: Come dicevo, mi riferisco alla religione organizzata e alle `industrie religiose’ e non alle fedi religiose. Chiunque può avere qualunque credo, esprimerlo, pubblicarlo e organizzarvisi. La questione è quali regole mette in piedi la società per proteggere se stessa. Oggi la società cerca di proteggere i bambini dalla propaganda dell’industria del tabacco.
La propaganda dell’industria della religione potrebbe essere trattata esatta-mente nella stessa maniera. I fumatori hanno tutti i loro diritti e possono mettere su qualunque associazione e istituzione per propagandare i benefici del tabacco e unire tutti i fumatori, ma questo non significa dare carta bianca all’industria del tabacco. La macchina dell’Islam e delle altre maggiori religioni (Cristianesimo, Giudaismo, Induismo, ecc.) non sono società volontarie di credenti in specifiche idee; sono enormi istituzioni politiche e finanziarie che non sono mai state opportunamente scrutinate, non sono sta-te soggette alle leggi laiche della società e non hanno mai accettato responsabilità per la loro condotta. Nessuno ha portato Khomeini di fronte a un tribunale per aver emesso una fatava mortale contro Salman Rushdie, sebbene l’istigazione all’omicidio sia un crimine in tutti i paesi del mondo. E questo è solo un piccolo angolo di una rete di assassini, mutilazioni, intimidazione, tortura, e violenza sui minori. Penso che il cartello della droga di Medellin (gli Escobar), la triade cinese e la mafia italiana (e americana), non sia nulla a paragone della religione organizzata. Parlo di una lotta legittima e organizzata da parte di una società libera e aperta contro queste imprese e istituzioni. Allo stesso tempo, rispetto il credo in qualcosa, anche le dottrine più retrograde e inumane, come l’innegabile diritto di ogni individuo.
Porsesh: Quanta base hanno il laicismo e la dereligionizzazione a cui ti riferisci nei paesi influenzati dall’islam nel Medio Oriente? Fino a che punto si può rintracciare il laicismo in queste società? Ervand Abrahamian parla della possibilità di rimanere islamici e anche laici. Quali movimenti sono alle origini del laicismo in queste società e che speranze hanno di vincere?
Mansoor Hekmat: Mi sembra che lo sfinimento intellettuale della Sinistra e i colpi che il pensiero critico e radicale e l’idealismo sociale hanno ricevuto dalla metà degli anni ’70 in poi hanno anche influenzato con una spregevole concezione tattica, gradualista, per tappe, evoluzionista della lotta per i fondamentali ideali umani molti intellettuali di Sinistra pieni di buona volontà. Un centinaio di anni fa l’avanguardia dell’umanità avrebbe riso dell’affermazione che la liberazione umana la si raggiunge tramite i preti, l’intercessione della religione e l’emergere di nuove interpretazioni dall’interno della chiesa. Oggi, purtroppo, `ricercatori professionali’ e accademici possono prescrivere alla donna iraniana di prendere per ora il laicismo a significare l’aggiunta di una venatura un po’ più chiara di nero ai colori approvati ufficialmente del velo. Secondo me, questo nasconde le dinamiche della rivoluzione e del cambiamento nella società. Finora, il mondo è andato avanti a rivolgimenti – rapide spettacolari trasformazioni nel pensiero, nella tecnica, nei rapporti sociali.
A mio parere, cosa è utopico e impossibile è moderare l’Islam e una gradua-le trasformazione dei regimi islamici in governi laici. E quello che è concreto e probabile, e nel caso dell’Iran ora inevitabile, è realizzare lo stato laico tramite un sollevamento antireligioso di massa, contro i governi esistenti e ogni differente interpretazione e lettura dell’Islam.
Porsesh: Quale forza o movimento sociale può farsi campione del laicismo in Medio Oriente?
Mansoor Hekmat: Questa dovrebbe essere di nonna la missione storica di un nuovo capitalismo emergente in questi paesi e di movimenti borghesi del XX secolo – il compito del liberalismo, del nazionalismo, del modernismo e della occidentalizzazione. Per un periodo, si dava per scontato che questo processo andasse avanti, per quanto lentamente, parzialmente e con timore. Comunque, questi movimenti persero vigore alla metà degli anni ’70, il pro-getto di occidentalizzazione fallì e la crisi politica fu esacerbata. In precedenza, i movimenti di indipendenza in Medio Oriente nella maggioranza dei casi non avevano instaurato governi filo-occidentali. La caduta delle dina-stie reali portò all’avvento o all’emergere di governi militari che caddero dapprima sotto l’influenza sovietica nel contesto del confronto Est-Ovest. Industria e capitalismo si sono diffusi generalmente tramite governi nazionalisti oppressivi. Una società civile borghese non si è mai formata. In Me-dio Oriente, liberalismo e modernismo borghesi non erano movimenti significativi. Il nazionalismo dominante, fosse filo-occidentale o filo-sovietico, è in genere rimasto in coalizione politica con l’Islam.
In ogni fase, il laicismo come prodotto intellettuale, politico e amministrativo dello sviluppo capitalista non è apparso in Medio Oriente. A mio parere, la borghesia della regione manca di ogni programma laico ed è incapace di prendere questo tipo di posizione. Quindi, stabilire un sistema laico è il compito dei movimenti operai e socialisti. E a mio parere la vittoria della Sinistra nella regione, per lo meno in Iran immediatamente, renderà questa cosa una possibilità concreta e realistica. La gente vuole un sistema laico, e in assenza di un campo laico a destra, la gente si concentrerà sotto le bandiere della Sinistra Comunista che è pronta per una lotta fondamentale contro il governo religioso.
Porsesh: Fino a qual punto è possibile introdurre il laicismo in questi paesi?
Mansoor Hekmat: Nel mondo d’oggi, con un livello della comunicazione così elevato tra le sue varie parti, rovesciare una sovrastruttura islamica in una regione così vasta è impossibile. Non è possibile fermare l’emergere del laicismo in Medio Oriente. A mio parere, il laicismo non soltanto è realizzabile, ma è anche un bisogno e una richiesta della gente della regione dopo le esperienze dell’Iran, Afghanistan e Algeria. Il problema è ancora fondamentalmente la questione palestinese. Proprio come rafforza, questa confrontazione, le fazioni religiose reazionarie nella stessa Israele e da’ loro molto più potere – sproporzionato rispetto al loro reale minor peso nella cultura e nella fede della popolazione – essa allunga la vita dell’Islam politico e dell’identità islamica nel campo opposto. Prima si forma uno Stato palestinese indipendente, più rapidamente saranno sradicati dalla regione l’Islam e l’islamismo.
Traduzione di Alfonso di Torino