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NOTA SULLE ELEZIONI REGIONALI E LA SITUAZIONE POLITICA.

LA VITTORIA POLITICA DI BERLUSCONI.
IL FALLIMENTO DELLE OPPOSIZIONI.
LA COSTRUZIONE DEL PCL.

Le elezioni regionali hanno rafforzato il governo Berlusconi, stabilizzandolo per il resto della legislatura. Tuttavia bisogna distinguere i piani.

Dal punto di vista strettamente elettorale, i risultati non hanno descritto “la vittoria di Berlusconi”. La PDL perde vistosamente non solo rispetto alle precedenti elezioni regionali, ma anche rispetto alle ultime elezioni europee ( sia in percentuale, sia in termini assoluti). La stessa Lega nord, al di là del grande successo politico, avanza percentualmente in misura limitata, e perde 200.000 voti. Complessivamente i rapporti di forza, sotto il profilo elettorale, tra centrodestra e centrosinistra non subiscono mutamenti sostanziali rispetto al dato delle elezioni europee.

Ma sotto il profilo politico, il governo riporta una vittoria indubbia: è l’unico governo in Europa che regge l’impatto della crisi sociale. L’erosione di consenso che indubbiamente subisce non solo non è capitalizzato dalle “opposizioni”, ma in parte viene riassorbito al suo interno dalla Lega Nord che polarizza e traduce in chiave reazionaria anche l’ insoddisfazione sociale di strati operai e popolari; e in parte sfocia nel grande mare dell’astensione, che peraltro attraversa entrambi i poli. Al contrario è il principale partito d’”opposizione,”il PD, a conoscere un indubbio indebolimento politico: con l’insuccesso dell’operazione tentata con la UDC ( v. Piemonte); con il crollo di amministrazioni centrali di centrosinistra nel Sud ( Campania e Calabria); con la crescente marginalità al Nord, anche nel rapporto coi poteri forti del territorio, (che moltiplicano le proprie relazioni col nuovo potere leghista); con l’erosione del suo stesso blocco sociale delle vecchie cosiddette Regioni rosse, dove la Lega ha aperto brecce insidiose ( in particolare in Emilia). La riapertura della vecchia guerra di cordate all’interno del PD, dopo il voto, consolida ulteriormente la vittoria politica del governo.

IL FALLIMENTO POLITICO DELLE “OPPOSIZIONI” La lezione di fondo che emerge dal voto è molto chiara: il fallimento politico dell’opposizione liberale e populista al governo delle destre. Non la presunta “onnipotenza” di Berlusconi e delle sue TV, o la “colpevole idiozia” del popolo che avrebbe “il governo che si merita”, come dicono o fanno intendere i responsabili politici della sconfitta, con l’unico scopo di assolvere se stessi. Ma l’incapacità del centrosinistra, in ragione della sua natura di classe, di intercettare e tradurre il malcontento operaio e popolare generato dalla crisi capitalistica e dalle stesse politiche del governo. Un’opposizione liberale alla ricerca del recupero di Confindustria; un’opposizione giustizialista ossessionata essenzialmente dal calendario giudiziario dei processi di Berlusconi; un’opposizione di sinistra, subalterna alternativamente ai liberali, ai populisti, o a entrambi, con l’unico scopo di rientrare nel gioco dell’alternanza borghese, nazionale e locale; questo blocco delle opposizioni non poteva rappresentare e organizzare, contro il governo, l’insoddisfazione degli operai e degli strati più profondi delle masse popolari. Poteva mobilitare l’intellettualità democratica, larghi settori del popolo della sinistra, vasti ambienti giovanili progressisti ( v. “popolo viola”), fasce di popolazione già orientate contro Berlusconi per vecchie o nuove appartenenze di campo. Ma non poteva strappare alle destre il loro bacino popolare, né attrarre elettori operai di centrodestra delusi dal governo, né rimotivare al voto settori sociali rifluiti da tempo nell’astensione perché delusi e traditi da tutti. E senza raccogliere e mobilitare, sul terreno della lotta, queste energie non solo è impossibile rovesciare i rapporti di forza con Berlusconi. Ma si finisce col regalare alla demagogia xenofoba della Lega, o alla rassegnazione del voto clientelare e di scambio o all’astensionismo apolitico, settori proletari colpiti dalla crisi e senza punti alternativi di riferimento.

Da qui le responsabilità, ancora una volta, degli stati maggiori delle sinistre italiane. Delle burocrazie sindacali, a partire dalla CGIL, che volendo recuperare ( senza riuscirci) il rapporto concertativo con Confindustria , ha congelato per due anni il potenziale di lotta, disperdendolo in semplici iniziative d’immagine, frammentate e dilazionate nel tempo, contro ogni progetto di unificazione e radicalizzazione della classe. Delle direzioni politiche di SEl e della Federazione della Sinistra, che volendo salvaguardare o recuperare la propria internità al centrosinistra si sono limitate per due anni alle “raccomandazioni sociali” al buon cuore dei liberali, senza assumersi la responsabilità di un’iniziativa di classe indipendente e neppure di una proposta di mobilitazione vera e continuativa. Le stesse (effimere) fortune del Grillismo in vasti ambienti giovanili, col nuovo carico di illusioni (e delusioni annunciate), sono direttamente proporzionali non solo alla natura borghese del centrosinistra, ma alla irriconoscibilità di una sinistra ad esso omologata. In sostanza: subordinandosi ai liberali, tutte le direzioni del movimento operaio si sono corresponsabilizzate al loro fallimento politico. E alla vittoria politica di Berlusconi.

LA NUOVA OFFENSIVA DI UN GOVERNO REAZIONARIO STABILIZZATO Rafforzato dalla prova elettorale, il governo si appresta ora a rilanciare la propria offensiva politica: sia sul terreno della “riforma istituzionale”, sia su quello della controriforma sociale ( progetto Sacconi). Non è detto che il rilancio dell’offensiva passi necessariamente attraverso un’iniziativa di rottura populista e plebiscitaria da parte di Berlusconi ( appello al popolo, sfida frontale alle opposizioni..). E’ possibile che il governo utilizzi il più ampio spazio di manovra ricavato dal proprio consolidamento, per ricercare una resa negoziale delle opposizioni. Diversi fattori operano in questa direzione: la spinta della grande borghesia, che vuole ottenere i massimi risultati proprio da una stabilizzazione della legislatura senza avventure; la pressione istituzionale di Napolitano, che cerca la pacifica coabitazione senza scosse con un governo ormai di legislatura; l’interesse della Lega Nord ad evitare rotture traumatiche capaci di mettere a rischio il bottino annunciato del Federalismo fiscale; l’indebolimento di Gianfranco Fini e di eventuali tentazioni destabilizzanti. Peraltro è molto significativo che dal versante del PD, si cerchi di riprendere ( a urne chiuse) il canovaccio del “dialogo senza pregiudiziali”. E ancor più significativo è che l’apertura al dialogo istituzionale venga dallo stesso Di Pietro (che del resto aveva già votato a favore del federalismo): che dopo aver straparlato per mesi (sotto elezioni) contro il “fascismo” e l’”Hitlerismo” berlusconiano, dichiara beatamente, sia pure a momenti alterni, la propria disponibilità a discutere col governo la riforma istituzionale e costituzionale.

Naturalmente, come insegna l’esperienza, la via dell’accordo negoziale tra governo e opposizione liberal-populista è tutt’altro che lineare e scontata. Il punto d’equilibrio tra la pretesa federalista della Lega ( una montagna di risorse nuove da trattenere al Nord per distribuirle ai propri potentati di riferimento); l’ambizione presidenzialista di Berlusconi che vuole coronare la propria carriera al Quirinale con più ampi poteri di quelli oggi previsti per il Presidente della Repubblica; l’esigenza di una nuova legge elettorale che consenta al PD di competere per la guida del governo, è obiettivamente molto arduo. Così come è arduo combinare l’accordo istituzionale con un accordo sociale che riesca a tenere insieme, nel quadro della crisi capitalistica, una nuova rapina delle regioni del Sud con la stessa tenuta del blocco sociale nazionale della coalizione di governo; il promesso abbattimento della pressione fiscale sulla piccola e media impresa con l’esigenza di governare la riduzione del debito; l’affidamento dei diritti del lavoro agli “enti bilaterali” con il recupero concertativo della CGIL. E’ dunque possibile che la trama negoziale si sfarini, e che nuovamente Berlusconi proceda a maggioranza su una linea populista di scontro frontale, per sormontare le stesse difficoltà interne al proprio blocco, sino a sfidare un eventuale referendum confermativo sul proprio progetto presidenzialista. Ma questa eventualità rende ancor più irresponsabile la linea del negoziato sull’agenda del governo: che condanna liberali e populisti o alla resa, o alla sconfitta per opera di un governo da loro stessi legittimato, e quindi rafforzato. In ogni caso un nuovo disastro per le ragioni del mondo del lavoro e per le stesse istanze democratiche.

L’ETERNO RIPETERSI DELLE SINISTRE RIFORMISTE ( E DI PICCOLE AMBIZIONI) Di fronte a questo nuovo scenario, si misura una volta di più la bancarotta delle sinistre. Che invece di rompere finalmente il cordone ombelicale col centrosinistra per avanzare una proposta alternativa, ripropongono l’infinito canovaccio di un “nuovo”..centrosinistra.

Nichi Vendola si candida pubblicamente a candidato premier del centrosinistra per il 2013, sfruttando la crisi di leaderschip del PD e il proprio successo pugliese. Come in Puglia ha governato col PD dalemiano e i suoi figuri più loschi ( da Frisullo a Tedesco), sino alle loro sfortune giudiziarie, così è disponibile a governare sul piano nazionale con un partito confindustriale ( e con la UDC di Casini). Come in Puglia ha costruito il proprio successo sul cavalcamento populista della propria immagine e le proprie capacità affabulatorie, così ambisce a replicare la stessa operazione di marketing su scala generale: tra omaggi a Padre Pio ed evocazioni immaginifiche. Quanto a Sel- non beneficiata elettoralmente, sul piano nazionale, dall’effetto Vendola- si tratta solamente della piccola pedina provvisoria di questo disegno autocentrato. Siamo al triste replay del bertinottismo, di cui Vendola ha peraltro condiviso in prima persona tutte le scelte più sciagurate, incluso il voto alla precarizzazione e alla guerra. Altro che…Alice nel paese delle meraviglie!

La Federazione Ferrero- Diliberto-Salvi-Patta- sopravvissuta alla prova elettorale con 16 consiglieri e qualche assessore- è ancor più legata al centrosinistra e alle sue amministrazioni che in precedenza. E non solo per vincoli materiali. Essendosi costruiti come costola ( instabile) del centrosinistra per 15 anni, PRC e PDCI riescono a tenere elettoralmente- seppur in modo precario- quando sono alleati del centrosinistra, mentre conoscono paradossalmente i peggiori rovesci quando si presentano da soli e in alternativa ( v. Lombardia e Campania). Il significato è chiaro: il potenziale di un loro sviluppo indipendente, e la loro riconoscibilità di forza alternativa, sono stati irreversibilmente dilapidati, a livello di massa, da politiche opposte. Ed oggi un Ferrero umiliato dalle elezioni campane cerca di preservare il filo di quell’Unione di centrosinistra celebrata il 13 Marzo in Piazza del Popolo: continuando a proporre al centrosinistra quella “svolta sociale” che è incompatibile con i suoi referenti confindustriali. E finendo nei fatti a gestire i referendum ( acqua, nucleare, legge 30) come leva negoziale del proprio rapporto col PD. Con l’unico timore di essere scaricato da Bersani-Vendola nel processo di ricomposizione della futura alleanza di governo. E di essere scaricato da Claudio Grassi negli incerti equilibri interni del PRC.

Nei fatti, un elettorato complessivo di partenza, a sinistra, di circa il 6% dei voti ( Federazione più Sel) continua ad essere subordinato ad una prospettiva a perdere, già vissuta e già sconfitta. Sull’altare di piccole o grandi ambizioni di ceto politico che nulla hanno a che vedere con gli interessi immediati e storici della classe operaia. E neppure con un’alternativa di classe a Berlusconi.

SOLO UN POLO DI CLASSE INDIPENDENTE PUO’ BATTERE BERLUSCONI, INCRINANDO IL SUO BLOCCO SOCIALE.
Il PCL procede, tanto più oggi, sulla linea del polo di classe indipendente, senza altro interesse da difendere al di fuori della vittoria dei lavoratori. Solo la rottura col liberalismo e col populismo può liberare la prospettiva dell’unificazione della classe operaia e delle più larghe masse popolari attorno ad una piattaforma di mobilitazione vera, capace di incrinare e scomporre il blocco sociale delle destre e di aprire la via di un’alternativa anticapitalista: questo è l’asse della nostra proposta generale. Che abbiamo richiamato nei nostri materiali elettorali e che rilanciamo nel volantino sui luoghi di lavoro che distribuiamo ovunque dopo il voto. E’ la proposta che viene confermata, seppur a negativo, da tutta l’evoluzione della situazione politica italiana. Il berlusconismo non è affatto “imbattibile”. Lo stesso risultato elettorale rivela, nonostante tutto, i fenomeni di logoramento che lo attraversano. La Lega, proprio in ragione della propria vittoria, vedrà ampliarsi la contraddizione interna del blocco sociale su cui si appoggia: tra la propria scalata nel mondo delle banche e dei loro consigli di amministrazione e le attese sociali, per quanto distorte, che il suo messaggio “federalista” ha alimentato. E proprio la partita del federalismo fiscale, nel momento della sua attuazione pratica, porterà alla luce il conflitto interno al blocco nazionale di centrodestra, tra gli appetiti della borghesia del Nord e gli interessi clientelari delle amministrazioni del Sud: con possibili dinamiche disgregative ( v. Sicilia). Il punto è che solo un’iniziativa indipendente del proletariato può irrompere in queste contraddizioni e precipitarle. Mentre l’assenza di questa iniziativa consente alle destre di governarle e addirittura di rivolgerle contro il proletariato. Questo è lo snodo di tutta la situazione politica.

COSTRUIRE IL PARTITO DELLA RIVOLUZIONE.
Come sappiamo, il PCL non ha potuto presentare e sviluppare la propria proposta nella campagna elettorale perché escluso da una legge elettorale truffa o da ignobili abusi ( Calabria). Il campione elettorale della nostra presenza è stato troppo limitato per essere indicativo ( Regione Basilicata, Comune di Venezia, Provincia dell’Aquila). Complessivamente il risultato non è stato positivo, esposto peraltro alle difficoltà tradizionali delle elezioni amministrative, particolarmente segnate da pressioni clientelari e localiste e dall’infinito numero di liste . In questo quadro, il risultato riportato dal candidato presidente del PCL in Basilicata (oltre l’1%) è tutt’altro che disprezzabile: registrando una quota di voto disgiunto proveniente da ambienti di base di PRC e SEl contrari all’accordo col centrosinistra, ma soprattutto la positività di una campagna elettorale di profilo politico alto e svolta nei comizi di piazza. In ogni caso, nel piccolo campione indicato, la nostra partecipazione ha significato, non a caso, un rafforzamento del PCL: con l’avvicinamento di nuovi compagni a Venezia ( e l’inaugurazione annunciata di una nuova sede); e soprattutto con la formalizzazione della nuova sezione del PCL a Potenza e il reingresso del partito nella Fiat di Melfi. Più in generale, nonostante la mancata partecipazione alle elezioni sul piano nazionale ( fatto assolutamente negativo), l’azione di raccolta firme ha consentito al PCL un momento positivo di visibilità e, in diverse situazioni, di allargamento di contatti e di nuove iscrizioni. Si tratta ora di sviluppare una vera e propria campagna nazionale di tesseramento al partito, concentrata nei mesi di Aprile e di Maggio, capace di massimizzare e capitalizzare tutte le potenzialità di crescita e di radicamento del PCL.

Si confermano tutte le ragioni della nostra costruzione. I lavoratori non saranno liberati da Beppe Grillo e dalla sua “autocrazia leggera via web”; né dal giustizialismo delle procure borghesi; né dalle sinistre di sua Maestà il Capitale e dalle loro preghiere ai liberali. Ma solo da una rivoluzione sociale. Costruire controcorrente il partito della rivoluzione- per quanto difficile sia- è il compito del Partito Comunista dei Lavoratori. E il tema del nostro secondo Congresso.
Per l’Esecutivo del PCL M.Ferrando

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