Senza il partito nessuna trasformazione
Il dibattito sulle forme dell’organizzazione politica sta lacerando la sinistra persa nella nebbia da decenni: esistono ancora le classi?
La classe operaia dove sta?
Come rappresentare le cosiddette moltitudini, frammentate, divise nei mille rivoli del precariato e del lavoro frammentato e quindi non riconducibili ad una comune soggettività di classe?
Domande che mai trovano risposte, salvo nei risvegli più o meno lunghi di un qualsiasi movimento, per poi rifluire (finito il movimento) nel disincanto e nell’individualismo “snobbistico” della sinistra “acculturata”.
Questo succede puntualmente, quando al mutare del quadro politico, i movimenti si perdono senza lasciar traccia e le loro leader-ship ( vedi Agnoletto o Caruso e Bertinotti ai tempi del movimento no-global) vanno a scaldare, insieme a molti altri di livello minore, ogni foggia di poltrona parlamentare o amministrativa in governi che agiscono e legiferano in modo opposto alle rivendicazioni dei movimenti stessi.
Eppure, nonostante i continui tradimenti, continua la nostalgia del movimento, di nuove formule inesistenti di partecipazione dal basso; come la democrazia partecipativa ad esempio, che si rivelò una bella formuletta per rivendicare da parte dei partiti della cosiddetta sinistra radicale ( PRC, Verdi e Comunisti Italiani) le suddette poltrone. Poltrone di governo insieme ai manganellatori di Genova ai tempi del G8 , di Acerra contro le proteste per le discariche, degli attivisti dei comitati NO DAL MOLIN e anti- TAV , degli operai che occupano le fabbriche che chiudono e di ogni movimento ( appunto) che metta in discussione, anche solo in apparenza, l’ordine costituito.
E’ innegabile, che i movimenti svolgono una funzione fondamentale su questioni specifiche riguardanti bisogni reali e quindi immediatamente avvertibili, ma non appare altrettanto visibile la necessità di un soggetto politico organizzato e dotato di memoria storica che unifichi i movimenti con un programma politico generale, in grado di chiarire i nessi sistemici fra degrado ambientale, guerra , sfruttamento dei lavoratori e politica economica capitalistica, cioè un partito.
Il partito comunista.
La ragione di questa diffusa cecità sinistra viene da lontano e riguarda il crollo nella corruzione ( tangentopoli) del sistema partitico, su cui si basava la particolare socialdemocrazia italiana dal dopo guerra alla fine degli anni ottanta. Fino ad allora i partiti avevano ben rappresentato le articolazioni di classe della società italiana all’interno del compromesso costituzionale fra capitale e lavoro, reso possibile dalla vittoria sul fascismo, dalla discesa in campo di vaste masse popolari e dall’arresto della globalizzazione capitalistica con la divisione del mondo in due blocchi economici distinti.
La fine della guerra fredda, la crescita apparentemente inarrestabile dell’economia, l’integrazione della sinistra politica al sistema economico, l’illusione della ricchezza per tutti, il nuovo che avanza, spazzava via ogni memoria storica, ogni struttura precedente, trasformando progressivamente i partiti di sinistra ( PCI e PSI ) in gruppi di potere, in apparati tecnoburocratici al servizio della ristrutturazione globale. Niente di nuovo, la storia vicina e lontana di quest’ibrido macchiavellico che è il social-riformismo è la storia di un’infinita serie di infamie consumate sulla pelle della classi lavoratrici, ma invece di trarne insegnamento, i “micro-borghesi” (anche quelli in buona fede che non ambiscono a poltrone) si comportano come niente fosse successo, continuando nell’ ipocrita illusione che finalmente il Bertinotti o il Vendola di turno convinceranno i lupi a comportarsi da agnelli e tutti vivremo felici e contenti scambiandoci segni di pace.
E’ la crisi della socialdemocrazia che ancora oggi continua agonizzante a riproporre alleanze subalterne e ininfluenti fra classe lavoratrice e borghesia buona , con il solo risultato di ostacolare la formazione di una sinistra autonoma dalla politica borghese, di un punto di riferimento politico per le classi lavoratrici e per i movimenti. Ora la sfiducia popolare nei partiti, visti come un costoso aggregato di burocrati è funzionale ai partiti della borghesia per compiere il disegno della definitiva americanizzazione delle proprie organizzazioni (Partito democratico ) e nel frattempo è funzionale alla passivizzazione subalterna della gente di sinistra e delle classi lavoratrici provocando confusione : fra organizzazione e burocratizzazione, fra democrazia e assemblearismo, fra assunzione di responsabilità rispetto ad un programma condiviso e limitazione del libero arbitrio. Sicchè, la crisi della forma partito, considerata obsoleta, è lin effetti la crisi dei partiti di natura socialdemocratica, come lo era il PCI e come lo sono quelli della cosiddetta sinistra radicale che tutto sommato credono nello stato borghese-liberale e nelle sue istituzioni , ovvero dei partiti di massa nati all’indomani della seconda guerra mondiale.
Ma questo non ha niente a che fare con l’organizzazione di un partito comunista autonomo da ogni compromissione di sistema e che vuole chiaramente una società di liberi ed uguali, attraverso il progressivo e autentico coinvolgimento delle classi lavoratrici e dei movimenti. La costruzione di un vero partito comunista è perciò, al contrario dei luoghi comuni paramovimentisti, pseudoanarcoidi, ( gli anarchici veri sono ben altra cosa ) una forma organizzativa necessaria e assolutamente al passo con i tempi per rifondare la sinistra. Del resto solo chi non ha la minima idea di come funziona la politica, può trovare somiglianza fra un partito di sinistra autentico (Partito Comunista dei Lavoratori )e i partiti opportunisti ( Federazione della sinistra, Sinistra Ecologia Libertà di Vendola), partiti popolusti – giustizialisti ( Grillo, IDV di Di Pietro ) e partiti disegnati al governo per conto della borghesia (gli altri ).
Ed è appunto questo il problema: la regressione generalizzata della conoscenza politica a livello di massa ,che diventa facile preda di ogni truffatore, tramite il quale, si riconsegna inevitabilmente e inconsapevolmente al sistema. Attualmente sul fronte movimentista agisce il popolo viola e in parallelo il movimento di Grillo con al fianco Di Pietro come sponda istituzionale. I viola e i grillini si vantano di non essere partiti ma organizzazioni nate dal basso, che rappresentanmo veramente i cittadini. Tra questi è facilmente rilevabile un intreccio ideologico e politico basato sulla comune attenzione sul problema ambientale per un verso, e il giustizialismo dall’altro. Il movimento Viola, che l’IDV finanazia e orienta politicamente,è lo strumento egemonico per raccogliere consenso, come, su scala più vasta, fu il movimento no glabal per Bertinotti.
Essi stanno privando della medaglia dell’opportunismo poltronaiolo gli oramai screditati partiti nati dallo sfascio di Rifondazione Comunista : Federazione della sinistra ( Fra Rifondazione comunista e Comunisti italiani ) ma, non ancora Vendola che ( Senza falce e martello” sostituita da libertà e pacifismo” ) è riuscito in aree del centro sud a riciclare furbescamente la propria immagine . Così egli può ambire ad un nuovo patto con il PDemocratico in virtù di un consenso elettorale sufficente per poltrone più alte di quella che attualmente occupa come presidente della regione Puglia; un’altra piccola meteora che si esaurirà nel giro di poche tornate elettorali.
L’esempio più eclatante della subalternità del popolo viola a Di Pietro riguarda la sua politica nei confronti del PDemocratico. L’IDV dopo la disastrosa esperienza dell’ultimo governo Prodi, in cui Di Pietro fu ministro, ruppe con il PDemocratico e si posizionò su una linea intransigente antiberlusconiana che gli consentì di raccogliere un notevole consenso sottraendo voti al PD e alla Sinistra radicale. L’apice di questa politica fu la manifestazione di Roma (contro la legge sul legittimo impedimento ) che rivendicava lo svolgimento del processo contro Berlusconi e che coinvolse una notevole massa popolare. Questo gli consentì di raccoglere ancora consenso e passare come l’unico vero oppositore della destra, ma sopratutto di proporsi di nuovo come patner necessario per un Pdemocratico già in crisi. Siccome, però, il PD non aveva ( e non ha ) nessuna intenzione di far cadere Berlusconi ) era necessario che Di Pietro abbandonasse l’opposizione intransigente al governo e di fatto tradisse la ragioni dell’entusiastica mobilitazione del popolo viola. La campagna di aggressione della destra contro Di Pietro, dopo il Duomo in faccia a Berlusconi, influenzò sicuramente il suo riposizionamento moderato, ma confermò contemporaneamente che l’ IDV può, strumentalmente e solo in alcune circostanze, alzare la voce, ma sostanzialmente fa parte dello stato Liberal-borghese come Berlusconi e il Partito Democratico.
Il movimento di Grillo, invece, costituisce ideologicamente un conglomerato sincretico di luoghi comuni più o meno stratificati nel senso comune popolare: i sacri confini della patria, i partiti sono tutti ladri, giustizialismo (qui si avvicina a Di Pietro ), ecologismo borghese- antistatalista ( Produciamoci da soli l’energia ) ecc. Il tutto proposto in chiave grottesca da un comico- Guru; che non si candida alla elezioni ( per quanto ancora ? ) ma che vende il suo marchio di garanzia ( Cinque stelle ) a liste locali in cambio della coerenza programmatica alle sue idee, piuttosto confuse ma totalizzanti. Alla faccia della democrazia e del movimento dal basso. In Emila Romagna, nelle recenti elezioni regionali, le sue liste hanno avuto un discreto successo come del resto anche nelle precedenti elezioni comunali. A Forlì, per esempio, un movimento di agricoltori benestanti:”il clandestino” già esistente prima della venuta di grillo e che aveva coltivato in passato relazioni con i Verdi, ha ottenuto il 5% alle elezioni comunali in virtù di un programma minimal-progressista ed ecologista, imbrogliando molti suoi elettori sinceramente di sinistra anche attraverso una campagna elettorale ben sponsorizzata da aziende di prodotti ecologici. Ciò non toglie , che essi abbiano riempito il vuoto lasciato dai partiti di sinistra, conducendo lotte popolari: contro contro la costruzione di una centrale elettrica e contro il raddoppio degli inceneritori, ma appena giunti nel nuovo consiglio comunale si sono dimostrati disposti a trattare con gli eredi della vecchia giunta ( PDemocratico ), contro cui si erano schierati in precedenza. Solo all’ultimo momento, per un intervento dello stesso Grillo, il clandestino non è entrato in giunta, ma comunque poco c’è mancato. In compenso non hanno avuto problemi a votare a favore di un leghista alla presidenza del consiglio comunale (carica che spetta all’opposizione ). Insomma è lecito supporre che il movimento grillista sia composto da una sommatoria di piccole lobby locali o transfughi trombati di verie provenienze che lui stesso faticherà a controllare, e questo non centra niente con la presunta purezza del suo movimento, ma c’entra eccome con la guerra fredda fra bande, che nel capitalismo viene fatta pagare ai lavoratori. Niente di nuovo e tanto meno dal dal basso! .
Ma cosa significa: “Dal basso?”. L’interpretazione comune è che, vista la corruzione e incapacità del ceto politico di professione, è auspicabile che i cittadini ,fuori dai partiti , si organizzino per cambiare veramente le cose. Ma come? Con internet naturalmente, che permette uno scambio diretto e orizzontale di idee e proposte, senza capi e capetti che pensano solo alla propria carriera politica. Democraticismo, una bella dose di populismo, il vecchio assemblearismo riproposto virtualmente e qualche fogliolina di anarchismo antisistemico che non guasta mai. Perfetto ! Ma è solo un imbroglio perchè le cose non funzionano così.
Primo, che la classe politica sia corrotta non c’è dubbio, ma essa rispecchia la corruzione dell’attuale sistema del capitalismo italiano, nella sua forma storicamente determinatasi e in progressiva degenerazione dal dopoguerra ad oggi. La corruzione, l’evasione fiscale, la criminalità, l’avidità diffusa come valore sociale fondante, producono inevitabilmente una classe politica dello stesso genere. Per quanto riguarda invece l’incapacità del ceto politico, è vero semmai il contrario. Il ceto politico borghese ha una capacità straordinaria di riciclarsi, di riproporsi in veste nuova, mondato da responsabilità storiche e ciò gli permette di ottener sempre il consenso per governare, da parte un popolo che, pur non apprezzandoli, li vota sistematicamente. Niente di nuovo , il trasformismo è la qualità storica delle classi dirigenti italiane specialmente nei momenti di passività sociale; cioè quando i bisogni delle classi subalterne non trovano un punto comune di riferimento politico e programmatico.
Insomma, i movimenti esprimono, bisogni reali, ma i movimenti progressisti che in qualche modo contengono elementi ostili al sistema se non riescono, dopo una prima fase spontaneista
a produrre un gruppo dirigente, in grado di tradurre programmaticamente le proprie rivendicazioni , sono destinati a subire l’influenza dei partiti borghesi e quindi a disperdersi come neve al sole, una volta svolto il loro compito inconsapevole di manovalanza elettorale. Si tratta di un limite fisiologico della società civile, che può esprimere bisogni , ma di per se ,non è in grado di ragionare a livello strutturale, ovvero non è in grado di produrre una cultura politica. D’altro canto, all’interno della società civile, convivono tracce delle culture politiche passate, sotto forma dei sopra citati luoghi comuni, modi di dire, allocuzioni e, in potenza, anche il divenire di nuove culture politiche. Tutto ciò si esprime, torna alla luce, si attualizza in rapporto con il mutare della lotta fra classi sociali. Nella società civile ristagna la reazione come la rivoluzione, nel perpetuarsi della trasformazione dei modi di produzione all’interno della società borghese. E’ stupefacente come spesso venga considerato più democratico un movimento di un partito, quando quasi sempre tutto viene deciso da un gruppo di individui carismatici, dove non esiste un programma vero ma una lista della spesa, dove non vi sono congressi ne elezioni dei dirigenti, ma proclami e chiamate alla armi, esattamente come nei partiti più reazionari. Che ci piaccia o no, la politica si fa ,prima costruendo un gruppo dirigente e poi viene il resto. Ci vuole esperienza, conoscenze tecniche e intelligenza; pensare che all’interno di un’organizzazione tutti siano uguali, che tutti ( anche l’ultimo arrivato, privo di esperienza )debbano avere un pari diritto a decidere, non solo è funzionalmente devastante, ma apre la via all’arrivismo di chi possiede strumenti dialettici e talenti carismatici migliori e li usa esclusivamente per soddisfare la propria ambizione personale ( gli opportunisti ). L’idea che tutti a prescindere dalla loro esperienza e conoscenza siano in grado di valutare una certa scelta politica è l’ideologia borghese che si autolegittima tramite le elezioni politiche generali. Ma, quanti cittadini sono veramente in grado di valutare le conseguenze sulla loro vita, per esempio: delle privatizzazioni, del sistema elettorale maggioritario, della precarizzazione del lavoro, del trattato di Maastricht , ecc. Una sparuta minoranza, in una dittatura che si spaccia per democrazia.
La lotta contro l’antipartitismo borghese che avvelena la sinistra, che porta al disimpegno, al perpetuarsi dell’ignoranza politica è una lotta per l’egemonia che dovrà assolutamente essere vinta.
E questo , non centra con il settarismo o con l’isolazionismo ideologico, ma al contrario, significa esporsi con la massima trasparenza all’altrui giudizio, misurarsi nel concreto delle lotte per la giustizia sociale, nella ricerca di una nuova unità politica. E’ il contrario dell’opportunismo elettorale , che prima si finge strumento acritico dei movimenti e poi con il suo apparato va al governo con gli avversari dei movimenti stessi. Ed è ,alla fine, anche una lotta culturale per superare l’incredibile e subalterno individualismo che permea oggi in ogni poro chi si considera di “sinistra”.