Il caso Meinhof lo dimostra: lo Stato borghese è criminale
E sporco di sangue inizia quel 9 maggio del 1976, in cui Ulrike Meinhof, fu mostrata impiccata alle sbarre della finestra della sua cella nel carcere di Stammheim, a Stoccarda.
Al suo assassinio si devono aggiungere anche quelli di Holger Meins, morto nel novembre 1974 annientato da uno sciopero della fame, di Sigfried Hausner, morta il 4 maggio 1975 poichè lasciata senza assistenza sanitaria in carcere e di Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan Carl Raspe, uccisi nelle loro celle il 18 ottobre 1977. La versione ufficiale di questa strage fu suicidio: Baader e Raspe si sarebbero uccisi con un colpo di pistola alla testa, mentre Gudrun Ensslin impiccandosi, come Ulrike, con una coperta.
Tutti furono uccisi quando erano sottoposti al regime di isolamento totale acustico e visivo , al quale seppero sempre opporre una strenua difesa della loro identità politica e di esseri umani.
Le sbarre e le mura di Stammheim, che videro uccidere i compagni della RAF, sono le stesse che, nel presente, imprigionano i detenuti politici sottoposti al regime del 41 bis in Italia, rinchiusi nei moduli Fies in Spagna e costretti alla detenzione nelle celle di tipo F in Turchia.
Denunciare ogni abuso, a partire dal ricordo delle uccisioni di Stammheim, è fondamentale oggi, nell’epoca della crisi generale del sistema capitalista, per opporsi alle strategie borghesi della repressione interna e della guerra di occupazione e di genocidio sul piano estero.
“Se nell’isolamento non fai lo sforzo costante e continuo di definire la realtà e di definirla in modo materialistico: lotta- lotta di classe concepita come guerra-, impallidisci, ti allontani dalla realtà, ti ammali e assumi verso la realtà un rapporto malato. Questo significa tradimento oltre che resa incondizionata dinanzi alla realtà della tortura e di fronte allo sforzo che la resistenza ti richiede. Altrimenti, resistenza, è solo una parola.” [Da una lettera di Ulrike Meinhof, marzo 1976]