Pd: un partito al servizio della classe dominante
La campagna del Pd contro le spese per gli armamenti è «pregiudiziale e demagogica»: lo afferma sul Corriere della Sera (7 giugno) Arturo Parisi, già ministro della difesa nel governo Prodi, oggi aderente al gruppo parlamentare Pd alla Camera. A suscitare le ire dell’ex ministro è la copertina de l’Unità del giorno prima, «Manovra di guerra», con l’articolo «Tagliano gli stipendi e comprano armi». Vi si annunciava che il Pd avrebbe chiesto al governo, con una risoluzione presentata alla commissione difesa del Senato, di rivedere la spesa militare in base a una politica di «verifica, trasparenza e risparmio». Parisi se la prende in particolare con l’affermazione, fatta nell’articolo, che i 71 programmi di armamento continuano a sottrarre miliardi al bilancio dello Stato.
Parisi rivendica in tal modo ciò che l’Unità invece tace: il fatto che il Pd, soprattutto con l’ultimo governo Prodi, ha attivamente contribuito all’aumento della spesa militare. Come già ricordato sul Corriere della Sera da un’altra voce autorevole, quella dell’ex sottosegretario alla difesa Lorenzo Forcieri, «il governo Prodi, in due sole finanziarie di rigore e risanamento dei conti dello stato, è riuscito a invertire la caduta libera delle spese per la Difesa, che sono aumentate dei 17,2% nel biennio 2007-08». Fu il governo Prodi a istituire, con la Finanziaria 2007, un «Fondo per la realizzazione di programmi di investimento pluriennale per esigenze di difesa nazionale, derivanti anche da accordi internazionali», con una dotazione di 1.700 milioni di euro per il 2007, 1.550 per il 2008 e 1.200 per il 2009. Un «tesoretto», aggiunto al bilancio della difesa, lasciato in eredità al governo Berlusconi.
E’ a causa di questa politica bipartisan che l’Italia si colloca al decimo posto mondiale come spesa militare, e al sesto come spesa procapite, con un ammontare annuo calcolato dal Sipri in circa 30 miliardi di euro. Più di una pesante finanziaria, pagata ogni anno con il denaro pubblico.
Emblematica è la storia della partecipazione italiana al programma del caccia F-35 della statunitense Lockheed, che solo ora l’Unità definisce giustamente «piano faraonico», ricordando che costerà all’Italia 15 miliardi di euro. Il primo memorandum d’intesa venne firmato al Pentagono, nel 1998, dal governo D’Alema; il secondo, nel 2002, dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007, dal governo Prodi. E nel 2009 è stato di nuovo un governo presieduto da Berlusconi a deliberare l’acquisto di 131 caccia che, a onor del vero, era già stato deciso dal governo Prodi nel 2006. L’Italia partecipa al programma dell’F-35 come partner di secondo livello, contribuendo allo sviluppo e alla costruzione del caccia. Si capisce quindi perché, quando il governo Berlusconi ha annunciato l’acquisto di 131 F-35, l’«opposizione» (Pd e IdV) non si sia opposta. Eppure già si sapeva che il costo del caccia F-35 era lievitato da 50 a 113 milioni di dollari per aereo.
Dopo aver definito quello dell’F-35 e altri programmi militari «roba da guerra fredda», ossia obsoleta, l’Unità sostiene che si continua a buttare miliardi in armi, «oltretutto (per fortuna) inutili». A questa affermazione si oppone Parisi, criticando la campagna del Pd contro le spese per armamenti dei quali «si denuncia pregiudizialmente e genericamente l’inutilità». Parisi non ha torto. Se questi armamenti fossero inutili, se fosse vero (come sostiene l’Unità) che «l’Italia ripudia la guerra», se fosse vero (come sostiene sempre l’Unità) che le 31 missioni in cui sono impegnate le forze armate italiane sono tutte di «peacekeeping», non si capisce perché dovrebbe acquistare 131 caccia F-35 destinati a missioni di attacco in lontani teatri bellici. Soprattutto i caccia a decollo corto/atterraggio verticale, spiega la Lockheed, sono i più adatti a «essere dispiegati più vicino alla costa o al fronte, accorciando la distanza e il tempo per colpire l’obiettivo». Grazie alla capacità stealth, l’F-35 Lightning «come un fulmine colpirà il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente». Un aereo, dunque, destinato alle guerre di aggressione.
Tutto questo viene ignorato dalla senatrice Roberta Pinotti, membro della commissione difesa, che dichiara di condividere l’impostazione di Parisi, assicurando che i dirigenti del Pd sono «consapevoli che la Difesa è uno dei compiti fondamentali dello Stato». Altro che tagli agli armamenti.
Opus dei e Massoneria
La vera cosa che ha fatto imbufalire i cattolici del Pd non è stata, ieri, il gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Gustavo Raffi, che al quotidiano Repubblica ha affidato la notizia-bomba di 4mila massoni iscritti al Pd, laddove i casi fin qui all’attenzione dei probiviri sono solo due. E neanche il segretario Bersani che, rompendo il silenzio sulla compatibilità fra massoneria e Pd, ha liquidato la questione con un «ci sono altri problemi ora». A far scattare Fioroni, Grassi e Castagnetti è stata un’affermazione di Luigi Berlinguer, presidente dei garanti. Il quale ha spiegato che da ora in avanti ogni militante Pd che aderisca ad altra associazione dovrà dichiararsi al momento dell’iscrizione, «che sia massoneria o Opus Dei», e fornirne lo statuto. Sacrilegio, profanazione. Per Beppe Fioroni «il presidente Berlinguer dovrebbe sapere che il ministro Scalfaro nell’86 e il ministro Amato nel 2007, rispondendo a un’interrogazione sull’Opus Dei, diedero risposte chiare: è una prelatura della Chiesa cattolica e non un’associazione, e senza vincoli di segretezza». Al pari della massoneria, quindi: almeno in teoria, e vale per entrambe. A difendere l’opera si scatena un’ex Pd di peso, Paola Binetti, doppia tessera dichiarata: «C’è malizia in chi fa il parallelo con la massoneria. L’Opus Dei è un’istituzione benedetta dalla Chiesa. Le sue attività sono note e di carattere formativo».
Insomma un partito di massoni e crociati… nient’altro che il peggior condensato della storia, e qualcuno pensa pure che sia un “partito” di “sinistra” (sic!). E altri come la federazione (Prc-Pdci) vedono questo aborto politico come un alleato naturale. Che pena!