Entropia del sistema d’impresa – prima parte
Sulla questione dell’inquinamento, almeno da quando è diventata oggetto della sensibilità pubblica, si è creata una grande confusione; per un verso perché si trattava di un problema storicamente inedito e per l’altro perché metteva in difficoltà la cultura industriale del progresso come crescita continua della produzione. Così all’inizio degli anni ottanta, quando la produzione ebbe una straordinaria crescita a livello mondiale e diventò impossibile ignorare le montagne di rifiuti che si accumulavano ovunque, emersero forze politiche e movimenti di vario genere che denunciavano il problema e anche le forze politiche tradizionali dovettero prendere atto che esisteva veramente. Così se prima , chi si azzardava a criticare le industrie veniva trattato come un’ insano di mente e accusato di voler riportare l’uomo all’età della pietra, anche i “costruttori di pubblica opinione”: giornali, televisione, opinion-leader, si dovettero velocemente attrezzare per affrontare il problema. Naturalmente questa nuova sensibilità fu strettamente connessa agli interessi della borghesia che dopo secoli di saccheggio ambientale cominciò a rendersi conto che i rifiuti fin’allora considerati una diseconomia di sistema potevano diventare un’affare. Le crisi petrolifere, la crescita esponenziale del prezzo del greggio fece il resto. Già agli inizi degli anni novanta i padroni erano pronti a raccogliere i frutti dei loro crimini ambientali: i rifiuti erano diventati magicamente una risorsa e una fonte di profitto e perciò si poteva continuare a produrre merci più di prima.
Oggi non v’è politicante, industriale, mafioso, cardinale, militare, costruttore, che non voglia sempre precisare che : “Tutto deve svolgersi nel rispetto dell’ambiente”.
Il lessico ambientale si è diffuso ovunque, gli “Spalatori di merda” sono diventati operatori ecologici e le centrali nucleari producono energia pulita.
Le industrie producono materiali ecologici, anzi gli stati incentivano l’utilizzo dei nuovi materiali e congegni di vario genere per risparmiare energia e inquinare di meno ma, chissà perché, i disastri ambientali e il progressivo deterioramento della vita animale e vegetale continua come e più di prima, mentre l’ignoranza ecologica domina incontrastata.
L’ignoranza ecologica è un po’ come quella politica, significa che a livello di massa si ignorano le basi di un determinato processo di trasformazione, con la differenza che l’ecologia funziona secondo principi rigorosamente scientifici e quindi potenzialmente, una volta compresi, a disposizione di tutti. Teoricamente sarebbe più facile contestare la legittimità della ricchezza, del consumo smodato, ricorrendo ad argomentazioni di genere ecologico piuttosto che politico. Se accusiamo, per esempio, qualcuno che possiede la Ferrari di essere uno sfruttatore perché con il suo lavoro non avrebbe mai potuto acquistarla, alcuni diranno: “ E giusto, perché lui ha rischiato mettendo a frutto le sue capacità e creato ricchezza; una parte della quale è legittimo che si goda come vuole.” E’ una questione di punti di vista, una questione di classe e sarebbe molto difficile dimostrare scientificamente che il capitale con cui egli ha comprato la Ferrari è, in effetti, il lavoro dei suoi dipendenti del quale si è appropriato. Se invece noi diciamo: ” Il costo della Ferrari rappresenta un peso energetico per l’ambiente tale da non essere ecologicamente sostenibile come consumo energetico di un solo individuo”, possiamo dimostrarlo molto più facilmente perché è un valore calcolabile. . Non è una questione di punto di vista, ne che riguarda la morale o gli interessi di classe, ma la sopravvivenza di tutto il genere umano. Questo in teoria, però la maggior parte delle persone valutano le proprie difficoltà esclusivamente sotto il profilo economico e non vedono che ogni unità di capitale, ogni singolo centesimo che viaggia di mano in mano, rappresenta plasticamente la continua trasformazione della materia della quale noi siamo fatti ed è fatto il mondo. Il problema è che noi viviamo in un mondo che pretende di essere scientificamente razionale ma non lo è affatto. Nonostante tutti si appellino alla scienza come ispirazione e motore primario della produzione, in realtà la società capitalista confonde la scienza con la tecnologia e quindi il progresso con il consumo.
Nella cultura occidentale c’è una radice profonda a cui si può legare l’approvazione di massa dello sviluppo incontrastato e straordinario dell’impresa moderna (di stato o privata) intesa nel suo complesso. Significa il punto di coordinamento di un’insieme di risorse e di organizzazioni produttive che operano al di fuori di ogni controllo sociale. Questa radice risale a una concezione meccanicistica, che intende il progresso come un processo mediante il quale vengono soddisfatti gli interessi materiali, mentre il mondo naturale dominato dal “caos”, viene imbrigliato dall’uomo per creare un ambiente artificiale più ordinato. Quanto è maggiore la ricchezza accumulata tanto più ordinato dovrebbe essere il mondo. La scienza e la tecnologia sono gli strumenti per portare a fine questo compito e nell’impresa moderna convivono e si realizzano tutti gli elementi necessari per portare a compimento tale visione. L’impresa appare come un elemento ordinatore e progressivo tanto efficace da porsi al di sopra del conflitto sociale e ambientale che deve comporsi sul piano della cogestione. La ricchezza e la razionalità prodotte sono così semplicemente governate e redistribuite, naturalmente a valle del processo produttivo. Destra o sinistra possono avere idee diverse su redistribuzione e sistemi di governo, ma il cuore dell’economia, l’impresa capitalistica, rimane intatto e preservato dal conflitto. Ecco così operata una formidabile scissione fra: modo di produzione, assetto proprietario e finalità della produzione.
Ora, di fronte alla crisi, tutti i vari specialisti si occupano di come riparare il sistema ma non si avvedono che è lo stesso sistema che la produce; il meccanicismo che sta tuttora alla base del concetto di sviluppo, impedisce loro di adottare criteri di valutazione diversi da quelli economici.
Fin’ora le critiche ambientaliste all’economia d’impresa si sono limitate a questioni generali o al massimo ad alcune riflessioni sui settori più esposti come: la chimica, l’agricoltura, la produzione di energia, mai si sono spinte ad una critica complessiva e radicale del modo di produzione. E’ necessaria una svolta e il concetto di entropia ci fornisce la base scientifica per renderla condivisibile e necessaria. Se si assumesse un sistema di calcolo basato sul consumo delle risorse naturali non rinnovabili (calcolabile come quantità di energia dispersa) si potrebbe ancora adottare il criterio fondato sulla dimensione di scala, per cui quanto più si produce più si contiene il costo dell’oggetto prodotto? Un sistema di analisi basato sull’utilizzo delle risorse: lavoro, materie prime e energia basato sull’entropia, come dispersione sistemica di energia, distruggerebbe l’incredibile stoltezza di questo sistema e introdurrebbe valori quali: bilancio energetico, produzione sostenibile e valori d’uso come nuovi parametri necessari alla tutela dell’ambiente sociale e naturale.