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Respingere la macelleria sociale imposta da Tremonti&Co.

Articolo di Banda Corbari – Maddalena Robin “Tutti al mare…” recitava una vecchia canzone e mentre gli italiani obbedienti vanno a “mostrar le chiappe chiare” gli omini al governo lavorano freneticamente, rinunciando addirittura alle ferie per prepararci il regalo di ferragosto.

A nulla è valso il grido di allarme dagli Stati Uniti, dove le manovre di abbattimento hanno smantellato tutti i servizi possibili ed immaginabili e quei pochi diritti che erano rimasti alle fasce più deboli della popolazione, riducendole così alla miseria più nera, senza che il più lieve cenno di protesta si sia levato da parte dei sindacati americani, che al pari di quelli europei, sono buoni solo ad intrallazzare e a proteggere gli interessi delle aziende, calpestando allegramente i diritti dei lavoratori in nome della “pace sociale”.

La folle corsa di quel prototipo con il motore taroccato che porta il nome di globalizzazione è finita; dopo aver reso possibile i meccanismi perversi di allocazione del denaro e trasformato i mercati finanziari (ma dietro la parola mercati ci sono sempre gli avvoltoi della speculazione) in gigantesche cattedrali costruite su impegni e debiti, castelli di carte che hanno basato le loro fondamenta su patrimoni piramidati con ingenti rischi esposti alla leva finanziaria, siamo giunti allo stadio evolutivo terminale: il Default, che altro non significa se non “fallimento”.

Per mesi e mesi i mezzi di “disinformazione” si sono lavati la bocca con questa parola spiegandola come una “questione tecnica”, un fatto naturale e ineluttabile delle leggi economiche, nascondendo così la realtà: ossia che ci troviamo a fronteggiare una “questione sociale e di classe” di dimensioni enormi, dove la totale irrazionalità del capitalismo e le dinamiche della sua crisi sono impietosamente portate alla luce. Ma un responsabile bisogna trovarlo, ed ecco che la propaganda di potere trova la sua scappatoia ed attribuisce il debito pubblico all’eccesso di concessioni ai lavoratori e agli strati popolari, colpevoli di essere vissuti al di sopra delle proprie possibilità; assunto che “non solo è totalmente falso ma capovolge esattamente i termini della questione. È stata proprio la progressiva defiscalizzazione delle classi proprietarie, pagata dal peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, ad accompagnare strutturalmente la crescita del debito pubblico. Basta guardare l’evoluzione del regime fiscale in Italia negli ultimi 20 anni e la parallela redistribuzione della ricchezza a vantaggio di rendite, profitti, patrimoni. Detassazione delle classi proprietarie, aumento del prelievo fiscale sul lavoro dipendente, espansione della grande ricchezza immobiliare e finanziaria e sua concentrazione in poche mani: questi sono i dati che hanno accompagnato la crescita del debito pubblico. Perché? Perché il vuoto dei conti pubblici (nazionali e locali) aperto dalla detassazione del capitale è stato compensato dal ricorso sempre più largo dello Stato all’indebitamento verso le banche, le quali prima beneficiate dai tagli fiscali, poi beneficiate dal pagamento degli interessi sui titoli, hanno anche per questo allargato la propria presa sul grosso della società italiana e dei suoi gangli vitali, allargando il processo di accumulazione di ricchezza” [cit. Bancarotta degli stati o bancarotta dei lavoratori? Abolire il debito pubblico verso le banche di Marco Ferrando]

Per avere certezze è meglio puntare su chi è abituato da una vita a fare sacrifici, a tirare la carretta e a metterci il culo ogni volta che il governo di turno ha la necessità di far quadrare i propri conti (e garantirsi un pranzo alla bouvette con un primo che costi un euro e cinquanta); ossia lavoratori dipendenti, pensionati e piccoli imprenditori, i cosiddetti “poveri cristi”.

Trovato il colpevole si può procedere alla “punizione” ed ecco la rapina di 80 miliardi, che ha distrutto tutto lo stato sociale, concepita nel mese di luglio dalla lurida corte dei faccendieri compattata nell’interesse comune della salvaguardia dei loro interessi; Berlusconi Tremonti e Bossi in testa, ma anche il Presidente della Repubblica Napolitano, che ha svolto il ruolo di commissario per conto di Bankitalia, nonché le cosiddette “opposizioni” parlamentari ( Bersani, Casini, Di Pietro) che non solo non si sono “opposte”, ma hanno fornito alla macelleria antipopolare un lasciapassare decisivo e complice. Ma tutto ciò non basta! Così, in un delirio, che non si sa se sia deliberata cinica intenzione di prendere in giro con un che di surrealista o l’ennesima manifestazione patologica della faccia oscura del pianeta Italia,quella che esprime le ignobili figure che ci governano, Giulio Treconti (il padre della finanza creativa) e l’omino alla presidenza si sono inventati la supermegamanovra aggiuntiva, per evitare il crac finanziario arriva la più pesante manovra antipopolare del dopoguerra: il DECRETO-LEGGE 13 agosto 2011, n. 138, approvato il 12 agosto, intorno alle 21, dal consiglio dei buffoni con il plauso della BCE e di Confindustria.

Siamo così arrivati al taglio alle tredicesime dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche che non rispetteranno gli obiettivi di riduzione della spesa (obiettivi calcolati come? E definiti da chi?), al ritardo di due anni nel pagamento del TFR (l’indennità di buonuscita) sempre dei lavoratori statali, all’anticipo al 2016 dell’innalzamento dell’età di pensionamento delle lavoratrici private che la manovra di luglio fissava al 2020. Dalle prossime elezioni avverrà inoltre l’eliminazione di tutti gli Enti provinciali che governano un territorio con meno di 300mila abitanti (saranno 38 le Province eliminate, molte delle quali di recentissima istituzione) e sarà accompagnata dalla fusione dei Comuni sotto i mille abitanti, con sindaco anche assessore il tutto in preparazione di una totale distruzione dello stato sociale a livello locale. Ma non basta! Il neonato decreto-legge, in poche righe svuota e raggira definitivamente lo Statuto dei Lavoratori e all’articolo 8 sotto la dicitura Misure a sostegno dell’occupazione detta: “I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda possono realizzare specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio”.

Alla faccia delle misure a sostegno dell’occupazione! Il giusto titolo avrebbe dovuto essere “Misure a sostegno del padronato”. “L’articolo 18 non è stato toccato” sostiene il governo, ed è vero … hanno fatto molto di peggio! Diamo uno sguardo veloce allo Statuto dei Lavoratori, a partire dal suo bellissimo titolo “Legge 20 maggio 1970, n. 300 Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e nell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, al suo interno quella legge disciplinava, in modo compiuto preciso e puntuale la qualità della vita dei lavoratori, la salvaguardia dei loro diritti. Basti pensare, per esempio, all’art. 4 – Impianti audiovisivi, all’art 13. – Mansioni del lavoratore, all’art. – Reintegrazione nel posto di lavoro. Invece, con questa nuova norma predisposta dall’ignominiosa firma del Patto Sociale e già efficace, nell’attesa di essere convertita in Legge e ovviamente firmata ad occhi chiusi dal Presidente della Repubblica, sono raggirate tutte le tutele previste dallo Statuto dei Lavoratori e rimesse pienamente all’autonomia delle parti sindacali e negoziali, in altre parole del padronato. Infatti, poiché tale decreto riconosce ampi poteri alle parti, ora si potranno derogare tutte le discipline già previste nello Statuto dei Lavoratori, siano esse questioni correlate ai controlli nei confronti dei lavoratori, all’assunzione o al licenziamento. Da adesso i padroni, quelli che molti continuano a chiamare datori di lavoro, con la complicità dei sindacati minacceranno i lavoratori con il ricatto: “O firmate il contratto come da noi richiesto oppure chiudiamo baracca e tutti a casa. E dovete firmarlo alle nostre condizioni!”.

Queste le attuali condizioni… CHE FARE?Una risposta ci arriva dal mondo: la ribellione di Londra e la rivolta degli indignati spagnoli e greci sono la punta dell’iceberg di un potenziale enorme di ribellione sociale contro le politiche di miseria commissionate dai banchieri e dai loro governi ed anche Italia il malcontento è vicino a esplodere; ma, seppur giusto e doveroso, ribellarsi non basta. La rabbia popolare deve essere convogliata nella giusta guerra di classe. Solo un’autentica rivoluzione sociale, di massa e di piazza, potrà liberare l’Italia dalle sue classi dirigenti: industriali, banchieri, poteri Vaticani, e tutti i loro governi e i loro partiti. Un’azione organizzata che attivi uno sciopero prolungato e generalizzato di tutti i settori sino al ritiro della manovra economica di macelleria sociale, che ponga all’ordine del giorno l’abolizione del debito pubblico verso le banche, la loro nazionalizzazione sotto controllo sociale, l’investimento delle immense risorse così risparmiate nella difesa e sviluppo di tutti i beni comuni (lavoro, ambiente, sanità,istruzione, pensioni).  
QUESTA È LA STRADA CHE DOBBIAMO PERCORRERE COME COMUNISTI RIVOLUZIONARI.

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