I compiti dei comunisti nella nostra epoca
Il brano è di Nouriel Roubini, economista della New York University. Noi comunisti stagionati abbiamo assistito nei decenni a periodici funerali della teoria marxista, officiati dalla stampa e dagli accademici borghesi, seguiti da resurrezioni, celebrate sempre negli stessi ambienti. Sarebbe puerile rallegrarsi di questo rinnovato interesse, analogo a quello, nei primi decenni del secolo scorso, dei generali francesi per la lingua tedesca, e dei generali tedeschi per il francese: conoscere l’avversario, per potergli far meglio la guerra. Nel caso specifico, Roubini, lungi dall’avvicinarsi al marxismo, come potrebbe credere qualche ingenuo, raccomanda ai governi di non tirare la corda, perché il proletariato, oggi narcotizzato dall’opportunismo e dalla propaganda borghese, potrebbe risvegliarsi e combattere.
Ancor più pericoloso è spesso l’interesse per il marxismo della piccola borghesia. Non sono tutti bottegai, vi sono anche transfughi che diventano militanti allo stesso titolo di quelli di origine operaia, ma sono una minoranza. I più, coscientemente o in buona fede, distorcono la teoria marxista, adattandola agli interessi della loro classe. L’opportunismo non è una tara morale, è l’influenza della piccola borghesia, classe contigua ai salariati, su questi ultimi e sulle loro organizzazioni.
Lungi dall’esultare per questa apparente rinnovata popolarità del marxismo, i comunisti devono raddoppiare la sorveglianza, perché il pericolo di confusione cresce. Il marxismo non è lo strumento di un’accademica ricerca del vero, è un’arma, che può funzionare solo se è mantenuta libera da deformazioni dovute a influenze di altre classi. Se qualcuno è in grado di fornirci un’arma migliore, si faccia avanti, ma per ora non è apparso niente di convincente. Per questo, è sbagliato privilegiare in assoluto il lavoro compiuto in piazza o nelle lotte sindacali, e considerare con sufficienza la lotta teorica. Non si tratta di lotta fra idee. L’imperialismo, il totalitarismo che avanza, i rinati razzismi, fascismi, nazismi, non sono idee alle quali controbattiamo con le nostre, sono fenomeni sociali e storici, pronti ad aggredire i lavoratori. Il lavoro teorico serve a comprenderne le basi, per poterli meglio prevenire e combattere.
Per affrontarli, occorre un’analisi della situazione: “La valutazione della situazione non è un amminicolo che può andare con la moda come le gonne corte o lunghe, ma è la sostanza stessa della dottrina”, scriveva Bordiga. Considerazione attualissima, nonostante la forma arcaica di un termine. E aggiungeva: “Volete scendere in pieno problema della prassi, ma ciò si fa sempre male quando non si è ben esaurito il campo della interpretazione e valutazione”.(2) E’ importante cercare di capire le tendenze generali dello sviluppo storico. E’ l’esatto opposto del metodo opportunista, che attende le situazioni per adattarsi passivamente alle tendenze dominanti, privilegiando gli interessi del momento a danno di quelli veramente decisivi.
Bisogna capire che non c’è nessuna soluzione permanente nell’ambito del capitalismo – anche se con la lotta si possono ottenere importanti conquiste transitorie. Lo strumento più classico per illudere i lavoratori è rappresentato dalle campagne elettorali. Il banco vince sempre, la borghesia ha mille modi per condizionare i risultati, di comperare o ricattare gli eletti. Se poi fosse eletto qualche personaggio scomodo, c’è sempre il Pinochet di turno pronto a mettere le cose a posto. Le elezioni non possono sostituire la rivoluzione, non sono la via lenta e sicura verso il socialismo. Il regime borghese non si suicida, non offre ai lavoratori strumenti per il proprio superamento. Chi sostiene la possibilità di giungere al socialismo lasciando invariata l’attuale costituzione, non è comunista, al massimo è un socialdemocratico. I comunisti lottano per la repubblica dei consigli.
Ci sono vecchie e nuove ideologie che pretendono di sostituire, o almeno modificare il marxismo, dalla decrescita al nuovo modello di sviluppo, alla rinascita della nazione, con relativa uscita dall’euro. Tutti queste soluzioni, che affermano di superare o almeno di umanizzare il capitalismo, lasciano invariate le sue categorie, salario prezzo, profitto, rendita, interesse…
Oggi la situazione è complessa, non è facile trovare la strada giusta, e sono inevitabili le polemiche anche tra comunisti. Le esperienze del passato, visto che i grandi rivoluzionari degli anni venti sono morti da un bel pezzo, sono contenute in documenti, e quindi hanno buon gioco gli avversari del marxismo a paragonare i comunisti ad archivisti o ad antichisti che consultano vecchi papiri. Sbaglia chi pensa che sia un lavoro inutile o chi lo contrappone all’appoggio alle lotte immediate dei lavoratori. Sono due aspetti indispensabili e complementari della stessa lotta. Senza teoria rivoluzionaria non c’è lotta rivoluzionaria.
La rivoluzione non è vicina, non solo perché la reazione dei salariati all’offensiva padronale e governativa non è ancora adeguata, ma anche perché manca un elemento fondamentale, il partito politico compatto e potente in grado di guidare i lavoratori. Ma le condizioni della controrivoluzione si stanno disgregando, e si avvicina un periodo meno sfavorevole alla lotta radicale. E’ possibile intravedere le condizioni per una futura rivoluzione proletaria?
La rivoluzione russa avvenne in un momento in cui si preparava il trapasso tra l’egemonia mondiale inglese e quella americana. L’Inghilterra non era più in grado di schiacciarla, la Germania, che aveva l’esercito più potente, aveva troppi avversari con cui lottare, gli Stati Uniti erano troppo occupati a portar via i mercati alla Gran Bretagna e non si erano ancora assicurati l’egemonia mondiale.
Un trapasso analogo si sta profilando nella nostra epoca, gli Stati Uniti dovranno cedere il primato a un’altra nazione, verosimilmente la Cina. Intanto, si è verificato quanto previsto da Marx: in assenza di una vittoria rivoluzionaria in Europa, l’asse economico del mondo si è spostato dall’Atlantico al Pacifico, le cui acque bagnano i tre paesi col più alto PIL, USA, Cina e Giappone. Il passaggio dell’egemonia dagli USA alla Cina dovrebbe essere lungo e difficile, anche perché gli USA, consapevoli del futuro declino, cercano di assicurarsi un vantaggio, occupando tutte le zone petrolifere. Il Napoleone da salotto Sarkozy si gloria dell’impresa libica, ma ha dovuto chiedere l’aiuto dell’America. Non ha imparato niente dalla storia. In due guerre mondiali Francia e Inghilterra hanno chiesto il soccorso USA, ma hanno perduto gli imperi coloniali e sono regredite al ruolo di medie potenze. Sarkozy l’Africano sarà il valletto che annuncia l’arrivo di Africom, il comando per le operazioni USA nel continente africano, che potrà trasferire la sua sede da Stoccarda a Bengasi o a Tripoli, e sarà la fine dei sogni africani dell’Eliseo.
Queste offensive americane certamente ritarderanno il passaggio dell’egemonia mondiale alla Cina. Anche la probabile bancarotta americana creerà giganteschi problemi a Pechino, primo creditore, ma non invertirà il processo. D’altra parte la Cina sembra ben determinata a non seguire l’esempio tedesco e giapponese nelle guerre mondiali, preferisce attendere sulla riva del fiume il passaggio del cadavere dell’avversario, ma non è detto che possa evitare sempre la guerra.
Tutto questo ci permette di formulare un’ipotesi provvisoria, che bisogna approfondire: come nel 1917, nel corso del trapasso dell’egemonia mondiale dalla Gran Bretagna agli USA, fu possibile la vittoria dell’Ottobre, così il lungo trapasso tra il primato USA e quello cinese potrebbe essere nuovamente un periodo favorevole alla rivoluzione. Se, però, i rivoluzionari si faranno sfuggire questa occasione, e la nuova egemonia avrà modo di consolidarsi, di rivoluzione si riparlare nel XXII secolo.
Michele Basso 27 agosto 2011
NOTE 1. Nouriel Roubini: “Karl Marx aveva ragione. Ad un certo punto, il capitalismo può auto-distruggersi15.08.2011 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSANDRO PAGANINI. Fonte: Marx Was Right. Capitalism May Be Destroying Itself. 2. Lettera di Bordiga del 13 giugno 1948 a Ottorino Perrone (Vercesi), e per conoscenza a Ludovico Tarsia e Alfonso Covone. In Sandro Saggioro, “Né con Truman né con Stalin, Storia del Partito Comunista Internazionalista (1942-1952)”.