Scienza e tecnologia nella società capitalista
La scienza e la tecnologia vengono poste fuori della società, come se l’uomo addivenisse casualmente alla conoscenza e non tramite scelta; come se il sapere venisse concesso per un capriccio o per un premio divino e al posto dei profeti ci fossero i padroni delle macchine e della moneta. Così assistiamo anche al crollo del dogma progressista liberale e social-democratico per cui la crescita tecnologica corrisponde al progresso sociale, materiale e culturale. Quello che Marx aveva dimostrato nel “Capitale”, si rivela in tutta la sua stupidità distruttiva: più si dispiega la potenza tecnologica capitalista, più il mondo frana nel susseguirsi delle crisi economiche e sociali. Eppure, nonostante questo fallimento sia sotto gli occhi di tutti, l’economia capitalista di mercato continua a venirci spacciata, dai banchieri e dai governanti loro servi, come l’unica possibile. E’ un falso ideologico e quindi granitico, che cerca una morale per la propria iniquità appellandosi ad una presunta verità naturale,oggettiva ed universale dell’economia di mercato.
Così anche la scienza, negli ultimi trent’anni di capitalismo arrembante, è stata completamente asservita all’economia; invece che conoscenza, è diventata unicamente tecnologia, privandosi di quello che primariamente la qualifica: la sapienza delle conseguenze sociali che le sue applicazioni tecnologiche comportano. Con il riaffermarsi della neutralità della scienza e della tecnologia, è stato facile assolvere i responsabili dei peggiori crimini scientifici di ieri e di oggi: le tecnologie militari, i pesticidi, i concimi chimici ecc. Queste sono tutte cose inutili, anzi dannose per l’umanità, ma ci sono state spacciate come indispensabili per il progresso. Al revisionismo storico-politico, per cui i partigiani sono diventati gli assassini e i criminali le vittime, si è affiancato quello scientifico che ripropone: l’energia nucleare, la crescita degli armamenti. Ma i sostenitori della neutralità della scienza insistono: “qualsiasi scoperta di un nuovo principio scientifico è comunque una nuova conoscenza e quindi in essa risiede sempre una potenzialità progressiva”. Questo teoricamente è vero ma la realtà è ben diversa. Essendo moltissimi, vasti e costosi i terreni della ricerca scientifica, bisogna sempre stabilire delle priorità. E’ inevitabile quindi, che molti campi di ricerca diventino marginali o addirittura vengano abbandonati; è una questione che riguarda un preciso modello sociale. Per esempio, durante la crisi petrolifera degli anni settanta, vi fu un’accelerazione della ricerca nel campo del risparmio energetico che poi fu abbandonata quando il prezzo del greggio calò nuovamente.
Nel nostro sistema la borghesia è la depositaria del mandato democratico di produrre le merci e siccome le merci: ” vengono acquistate liberamente dai consumatori nel mercato”, in esse risiederebbe, come nell’ostia lo spirito santo, la soluzione migliore possibile, (etica e funzionale), per soddisfare i desideri dell’uomo . Insomma, il solo fatto che una merce venga venduta testimonierebbe la sua validità sociale; è come se ogni individuo (al momento dell’acquisto) si ponesse il problema di prevedere come l’oggetto appena acquistato contribuirà alla felicità sociale. Sulla base di questo postulato, la ricerca scientifica dov’essere al servizio delle imprese e quindi della qualità delle merci che esse vogliono produrre e, se questo necessita di un grande impiego d’energia e di materie prime, la scienza andrà in quella direzione, cioè verso la ricerca della potenza e lo spreco di energia.
Non è una questione morale di “bontà o cattiveria”, che in economia sono valori inesistenti, ma di sistema economico e relative tecnologie produttive. Il controllo della scienza, dei suoi indirizzi e dei suoi fini è un campo di battaglia fra classi sociali e non c’è nessuna possibile mediazione; se la vogliamo al servizio dell’umanità dobbiamo sottrarla dal controllo della borghesia, con ogni mezzo possibile.