Sotto l’ombra del pacifismo
Fino alla metà degli anni ottanta nessuno, a destra o a sinistra, prendeva in considerazione questa ideologia o teoria politica.
Poi, con la sconfitta del movimento operaio e studentesco e quindi di un’ipotesi rivoluzionaria ( nel ventennio 60-80 ), il pacifismo riuscì ad attrarre un certo numero di soggetti di sinistra privi di ogni punto di riferimento.
Lo stesso Partito Comunista per opportunismo non esitava, allora, ad appoggiare iniziative pacifiste di vario genere e del tutto propagandistiche: contro istallazioni di missili, basi militari, mostre e fiere di armamenti, ecc. Essendo comunque i pacifisti del tutto innocui venivano lasciati fare.
Del resto, per tutti gli anni di merda (Ottanta), la pace sociale regnava assoluta impedendo l’espandersi di qualsiasi movimento, compreso il pacifismo che potenzialmente, nelle sue forme più radicali, poteva creare qualche grana elettorale ai partiti di sinistra e cattolici.
Il pacifismo ebbe comunque un primo e significativo impulso già nel 1981 quando il governo del repubblicano Spadolini votò per l’istallazione dei missili nucleari nella base NATO di Comiso in Sicilia.
Poi il pacifismo la fece da padrone nel movimento che nacque in occasione della prima guerra della NATO contro l’Irak ( 1991 ), ma non incise sostanzialmente nei rapporti politici; il PCI si era appena sciolto e doveva riconfermare fedeltà alla NATO e le altre forze di sinistra veramente ostili alla guerra erano ancora minoritarie o ideologicamente ostili al pacifismo.
E’ con la seconda guerra del golfo ( marzo 2003 ) e con il movimento “No global “, che il pacifismo diventa l’ideologia dominante della sinistra cosi detta “antagonista”. Quello che rimaneva, nel popolo di sinistra, del marxismo venne allora sostituito con la nuova utopia della pace, che si presentò come l’idea nuova e trainante per la lotta contro guerre e liberismo.
Il pacifismo, dopo la distruzione del movimento no global, di cui era parte essenziale, riapparse ( nel 2007) con la disastrosa caduta del secondo governo Prodi, ma solo istituzionalmente in forma simbolica e di propaganda elettorale.
Gli stessi partiti che avevano fatto parte del governo: Federazione dei Verdi, Partito dei comunisti italiani, Rifondazione Comunista e sinistra Democratica, si presentano al voto come: “ Sinistra arcobaleno “ cercando di mimetizzare col simbolismo pacifista la propria partecipazione al governo. Il risultato fu disastroso e l’alleanza si sciolse subito dopo le elezioni. Dal 2009 ad oggi, con lo scoppio della grande crisi economica e l’aumento dei conflitti sociali, il pacifismo dimostra finalmente il proprio volto ideologico di strumento al servizio del sistema capitalistico e della democrazia liberale borghese. Dopo la manifestazione di Roma del 15 0ttobre, secondo i vari partiti opportunisti: Rifondazione, Comunisti italiani e dei sindacati vari, la manifestazione sarebbe stata rovinata da una minoranza di violenti che, secondo loro, sarebbero i peggiori nemici del movimento. A dimostrazione dell’inconsistenza politico-teorica del pacifismo assistiamo quindi al paradosso dell’incontro fra un’idea di fratellanza con i residui staliniani della sinistra, che proprio dal pacifismo si trovano agli antipodi.
Forza e debolezza del pacifismo.
Il pacifismo trae la sua forza effimera dalla mancanza di una direzione politica delle classi subalterne, andando a riempire il vuoto creato dal tradimento delle direzioni storiche del movimento operaio.
Il discorso dei pacifisti è questo: “ l’unico modo per cambiare le cose è usare dei metodi nuovi, perché con la violenza ci si mette sullo stesso piano dei violenti e finisce che si diventa come loro “. E’ un discorso reazionario e revisionista, come se i partigiani fossero da mettere sullo stesso piano dei fascisti (sic!), ma che all’interno del revisionismo dilagante può funzionare.
Storicamente il pacifismo non è certo una novità, anzi è un’idea del tutto arcaica e astratta della lotta politica, di origine religiosa (cristiana ) quindi priva di analisi ed acume politico (inteso modernamente ).
Un pensiero semplice fatto per i “semplici”, impermeabile, un po’ ottuso, facilmente strumentalizzabile e da sempre utile alle classi dominanti. Oggi il pacifismo si diffonde fra i “micro-borghesi di sinistra” che vorrebbero un mondo governato dalla giustizia e dalla fratellanza ma senza cambiare quasi niente del potere politico, se non elementi del tutto formali e marginali, ma soprattutto senza rischiare personalmente niente, anzi ( in alcune circostanze per alcuni di loro ) trarne vantaggi.
Essi dicono che: con la comprensione, con la parola, vale a dire “Il verbo“, si possa convincere i potenti a condividere con gli altri la loro ricchezza, a diventare buoni insomma.
E’ un pensiero regressivo dove l’essere sociale è un prodotto della coscienza, che a sua volta deriva dalla fede, come se le persone evolvessero ascoltando omelie e non ottenendo tramite la lotta politica ( di classe ) condizioni materiali migliori.
Il pacifismo, in quanto pensiero arcaico avulso dalla modernità, non è in grado di produrre autonomamente nessun tipo di teoria o cultura politica, ma s’inserisce fra socialdemocrazia e cristianesimo sociale, con puntate nell’ecologismo, nel liberalismo progressista, nell’utopismo eretico medioevale. Questo sincretismo ideologico è rivendicato, dai pacifisti che ne sono coscienti, non come un limite, ma come indice di democrazia, apertura e disponibilità verso gli altri. Essi dimostrano spavento se ravvisano uniformità d’idee e intenti, confondendo condivisione con imposizione e indottrinamento e in questo fiancheggiano l’antipartitismo più reazionario. In una discussione politica stringente emerge il carattere fondamentalmente individualista del pacifismo. Parteciparvi è straordinariamente educativo, oltre che divertente ed istruttivo: mettendoli di fronte ad un’analisi dei fatti argomentata, si vede che le risposte ( dei pacifisti in buona fede ) non sono logiche ma idealistiche e politicamente infantili, oltre che molto diversificate.
L’aspetto divertente è la possibilità di identificare almeno quattro tipi di pacifisti, significanti lo stato del pacifismo post manifestazione del 15 ottobre.
I Santi: Sono quelli che dichiarano che non userebbero violenza in ogni caso, anche per difendere un familiare: i pacifisti integrali. Sono pochissimi e siccome il loro credo non è facilmente verificabile, sono da considerarsi esistenti solo in teoria.
I Pacifinti: Sono come quelli che dicono “ Io non sono razzista però i negri….”. Loro dicono: ” Io sono pacifista ma…se avessi potuto, avrei sparato contro chi a Roma manifestava violentemente”. Sono integralmente dalla parte della Polizia e dello Stato. Mettono in imbarazzo gli altri pacifisti ma probabilmente sono più di quanti si dichiarano.
I Buoni: Sono persone stimabili e in buona fede, piccoli borghesi e di sinistra; l’anima migliore del pacifismo. In loro si concentra la parte meno attaccabile del pacifismo ma sono estremamente strumentalizzabili e privi di acume politico, nonostante siano in genere piuttosto istruiti. Rappresentano anche il nucleo storico del pacifismo e la sua crisi ( da quando esso è diventato puntello ideologico per la repressione di regime), ma non si accorgono di niente.
Gli opportunisti: Sono quelli che Roma volevano una parata ordinata, con i soliti comizi dei capi e relativa propaganda televisiva per prendere i voti e andare a scaldar poltrone, dopo le prossime elezioni. Sono dirigenti politici e sindacali ( con galoppini annessi ) a cui il mondo va bene così e non hanno nessuna intenzione di operare per cambiarlo. Anzi, all’occorrenza sono disponibili a difendere strenuamente le così dette istituzioni democratiche. Nel pacifismo non sono la maggioranza ma i “giochi” li fanno loro; usano il pacifismo e il movimento per i propri interessi di bottega.