Rivoluzione o reazione
L’esercito dello spettacolo che controlla i media, modulando il messaggio secondo la qualità dell’utenza, si sta adattando alla situazione. Un nuovo oppio dei popoli laico e feroce: dai quotidiani alla fiction, alle trasmissioni di approfondimento “ intelligenti “, propaga un piagnisteo nazional-patriottico che sostituisce l’apologia dell’arricchimento ad ogni costo col dizionario obsoleto del vangelo. Il martirio delle classi popolari sull’altare del Dio denaro viene subdolamente associato al supplizio di Gesù sulla croce; agli operai è concesso il palcoscenico televisivo solo se piangono o si dimostrano miti. Del resto, i nuovi rapporti di produzione si affermano sempre prima che si formi un’idea sociale di essi; nella sfera pubblica come in quella privata, nel senso comune, le vecchie culture sopravvivono a lungo dopo la fine delle cose che descrivono. Ma, prima o poi, lo scarto temporale fra: materialità e intelletto, fra essere sociale e coscienza, fra realtà e pubblicità, tenderà a ridursi con l’avanzare di un nuovo “spirito dei tempi”; se ancor più reazionario o rivoluzionario dipenderà dagli esiti del conflitto sociale.
Sono tempi interessanti e, se non fosse per lo schifo dilagante,ci sarebbe da ridere parecchio nel veder sciogliersi finalmente il matrimonio contro natura che ha visto alleati la borghesia e il proletariato industriale dal secondo dopoguerra fino ad oggi. Un matrimonio non certo felice ma che, dalla Costituzione del ’48 che lo celebrò, ha fatto il vuoto intorno a se, soprattutto a sinistra. Nella prima repubblica DC, PCI e PSI e nella seconda, Berlusconi , Bossi e il PD, hanno imbarcato, sulle galere della borghesia, generazioni di rematori proletari verso l’illusione dello sviluppo infinito dell’economia di mercato e ( aimè ) verso l’inevitabile naufragio dove i rematori, incatenati agli scranni periranno.
Ora che questa storia volge al termine arriva un momento fondamentale della crisi globale in versione Italiana: l’accelerazione dei processi di trasformazione produttiva e della divisione del lavoro, non consentono più una definizione istituzionale e politica che crei consenso per via democratica (elettorale) e il nuovo governo ne è la soluzione. Si riattualizza il lessico Marxista che la pubblicista borghese ha cercato univocamente, ancora una volta senza riuscirci, di relegare nel dimenticatoio. Borghesia e proletariato ( nella loro composizione reale) tornano ad essere le due classi centrali, i due poli di riferimento opposti per le altre classi sociali. Per il proletariato si riapre la prospettiva del socialismo. La proposta della rivoluzione e la dittatura del proletariato tornano ad essere logicamente proponibili mentre si dissolve la credibilità di un compromesso capitale-lavoro e degli istituti che lo contemplavano formalmente. La dissoluzione del parlamentarismo italiano ( come già accadde col fascismo ) anticipa ulteriori processi di disgregazione delle istituzioni della democrazia borghese in altri stati europei e minaccia l’unità monetaria europea. L’opzione fra Rivoluzione o reazione, socialismo o barbarie, assume plasticamente, nel divenire della crisi, contorni assolutamente concreti che ci proiettano drammaticamente dentro un futuro di conflitti e violenza, ma contemporaneamente nella probabilità di un nuovo e, questa volta vincente,: “ assalto al cielo”.
L’egemonia di una determinata classe sociale ( e del suo Stato ) si compone di due elementi permanenti: consenso e costrizione, se cala il consenso alle politiche dominanti cresce relativamente l’autoritarismo. Se il governo riuscirà a stabilizzare la crisi, mantenendo l’attuale frammentazione delle lotte proletarie e dei movimenti nel mare della passività sociale, nazionalismo , localismo e razzismo, risorgeranno alla grande. A questo servirà la Lega, ma anche i partiti populisti e qualunquisti (Grillo e Dipietro, ma anche Vendola ), che si preparano a subentrare sperando in un probabile calo di consenso di quelli governativi. Per il momento presidiano un’ opposizione di maniera, ma non durerà a lungo. Se questi borghesi opportunisti verranno chiamati alla repressione non esiteranno un attimo a farsi avanti; del resto ai padroni non i mai interessato il nome dei partiti al loro servizio.
Dunque la borghesia dispone di varie opzioni politiche per continuare la guerra contro le classi popolari mentre il proletariato è attualmente privo di una direzione politica che spinga la sua parte migliore ad imbracciare gli strumenti della lotta di classe traendo a se il resto della classe. Ad una situazione potenzialmente rivoluzionaria: crisi economica, crisi politica, crisi istituzionale, crisi culturale della classe dominante, non corrisponde ancora una politica delle classi subalterne in grado di lanciare una controffensiva di massa vincente. La borghesia fa pagare la sua crisi ai lavoratori perché i sindacati li tengono incatenati al vecchio patto concertativo costituzionale già morto e sepolto da un pezzo. Anche la CGIL si avvia nel vicolo cieco dove perirà, ma insiste nell’unica cosa a cui è antropologicamente votata: una contrattazione tragicamente, inefficace e sempre perdente. Ogni tanto indice qualche ridicolo sciopericchio canonico di poche ore o di un giorno al massimo e poi… il vuoto. I partiti di sinistra che dicono di voler rappresentare i lavoratori ( federazione della sinistra e in parte Vendola ) non fanno di meglio che appellarsi grottescamente al PD perché cambi la sua politica. Tutti questi fanno riferimento ad una repubblica democratica che esiste soltanto nel loro immaginario piccolo borghese e deviano la rabbia operaia verso impossibili ravvedimenti del Governo Monti per una” manovra più equa”. L’estrema sinistra è frammentata in piccoli gruppi che non condividono la centralità delle classi lavoratrici, l’importanza di un programma e di un partito che le unisca.
Rompere con i partiti borghesi e con il loro Stato è il compito che spetta all’ avanguardia cosciente delle classi lavoratrici, come primo passo verso il partito proletario. Organizzarsi nel partito rivoluzionario, non significa solo sostenere un programma opposto e irriducibile alle leggi economiche capitalistiche, ma esserne portatori e interpreti coscienti. E’ difficile, faticoso e spesso frustrante. Sapere che vogliamo il socialismo come base di partenza per una società migliore non ci aiuta nel definire la tattica per raggiungerlo. Siamo perciò continuamente costretti dagli eventi ha ridefinire le nostre azioni e questo mentre nuotiamo contro corrente, rischiando continuamente di disperderci nell’inconsapevolezza politica della nostra stessa classe sociale. Eppure, nonostante questo, nonostante ci irridano, nonostante pesi come un macigno il nostro fardello, la storia ci è di conforto: sappiamo che la via della rivoluzione sociale si può aprire solo all’interno di precise condizioni politiche ed economiche, che cominciano ad esserci tutte. Sappiamo inoltre che i lavoratori, che non hanno lo Stato a loro disposizione, hanno bisogno di un Partito per diventare forza politica; come strumento di comprensione e liberazione contro l’oppressione economica, politica e culturale e (comunque vada) come esperienza formativa ed esistenziale ineguagliabile; spendibile in ogni momento della vita.