Terremoto in Emilia
Le responsabilità sono evidenti a cominciare da quegli industriali che hanno obbligato i lavoratori a riprendere la produzione nonostante l’evidenza dei danni. Numerose le testimonianze dei familiari delle vittime tra cui quella di Abdel: “Mio cognato Mohamad mi chiamava ogni giorno e piangeva, mi diceva che non era sicuro, che aveva due figli a cui pensare e aveva paura ad andare a lavorare. I danni si vedevano, ma diceva che il padrone lo chiamava lo stesso”.
Responsabilità evidenti quelle degli sciacalli del profitto. Eppure oggi c’è chi vorrebbe azzerare le responsabilità e mettere sullo stesso piano vittime e carnefici in quanto entrambi colpiti da una “catastrofe naturale”. Non si può mettere sullo stesso piano chi è stato costretto a riprendere il lavoro in condizioni di pericolo, con chi dopo aver lesinato sui costi di costruzioni incurante dei rischi oggi si spinge persino a chiedere finanziamenti pubblici per ricostruire le fabbriche collassate sugli operai.
C’è da domandarsi inoltre cosa sarebbe accaduto se in nome ancora una volta del profitto fosse stato costruito il megadeposito sotterraneo di gas metano, fermato solo dalle lotte del comitato NO GAS di Rivara (frazione di S. Felice) che da diversi anni lotta contro il progetto di stoccaggio nel sottosuolo di una enorme quantità di gas, progettato della ERS con l’avvallo dei governi borghesi di ogni colore.
Per questo ci sottraiamo al coro isterico di unità nazionale e rivendichiamo la cacciata del governo Monti, che a distanza di una settimana dal primo sisma non è neanche in grado di offrire una tenda ai numerosi sfollati e che come unica risposta ha inviato camionette blindate dei reparti Celere al solo fine di mantenere il controllo sociale… situazione già applicata a l’Aquila dal governo Berlusconi.
Le sinistre non possono stare in silenzio e hanno il dovere di dire chiaramente che il vero sciacallaggio è quello quotidiano attuato dai padroni.
E’ necessario affiancare all’immediata azione di soccorso una comune mobilitazione per un piano anti-capitalista di svolta:
1. Immediata requisizione e recupero delle case sfitte e la loro assegnazione alle popolazioni terremotate;
2. Il pagamento dell’intera retribuzione per quei lavoratori residenti nelle zone terremotate e che erano in regime di cassa-integrazione;
3. La corresponsione di un salario minimo garantito per i disoccupati di almeno 1000 euro;
4. Un piano di ricostruzione in tempi certi con lo stanziamento dei fondi necessari da parte del governo e che tali fondi siano gestiti da organismi territoriali trasparenti che vedano la partecipazione diretta dei lavoratori;
5. Ricostruzione delle aziende colpite dal sisma, ma solo a partire dalla loro nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio.