Estratto da un articolo di Marco Ferrando sul n. 6/2012 del “Il giornale comunista dei lavoratori “
Il ritorno alla monete nazionali viene sostenuto, in Europa, da settori riforminsi – stalinisti ( KKE in Grecia ) o, su scala minore da piccoli gruppi e associazioni quali, in Italia: Sinistra Popolare di Rizzo o” il movimento popolare ” di liberazione di Moreno Pasquinelli.
Nel suo contenuto di merito è una posizione truffaldina, non sarebbe la fine dei sacrifici ma una nuova occasione di saccheggio per il capitale finanziario e la borghesia industriale( i lavoratori inglesi non fanno meno sacrifici di noi sotto la sovranissima sterlina). Anzi porterebbe a un aggravamento dei sacrifici sotto il peso di una massiccia svalutazione monetaria( in Italia come dovunque) e senza più la protezione della scala mobile.
Peraltro, i settori della borghesia che, anche in Italia, propugnano il ritorno alla lira non hanno di certo un timbro progressista: pensano solo ad ingrassare i propri profitti grazie al vantaggio della svalutazione della moneta ( con conseguente calo del potere di acquisto dei salari ) che li avvantaggerebbe nelle esportazioni.
Su questo fronte sono in prima fila “Libero”e la Lega Nord.
Purtroppo non sono posizioni di nicchia. Il principale economista italiano schierato su questa posizione ( a favore del ritorno alla lira) è Paolo Savona: un uomo dell’ establishment, con un passato in Bankitalia e Confindustria, già collaboratore di Berlusconi e consulente dei governi capitalisti di Prodi e Berlusconi e propugnatore di maggiori sacrifici per le masse in funzione del rilancio del capitalismo italiano.
Ci sono anche studi riservati di banche e ambienti governativi che cercano di predisporre reali piani di uscita dall’unione qualora fallisse l’Euro e tutti sul versante della continuità della rapina a proprio vantaggio( vedi le proiezioni della Banca USB ).
Anche un settore minoritario del capitale tedesco respinge i costi di un “riequilibrio continentale” ( vedi l’opposizione delle casse di risparmio tedesche alla unificazione BCE della vigilanza bancaria) puntando ad un ruolo autonomo della Germania sul mercato in Asia. Perciò in via teorica non si può escludere che simili posizioni, oggi minoritarie, possano essere sospinte, un domani,dall’aggravamento della crisi dell’unione, tanto da convincere settori più larghi delle classi dirigenti dei vari paesi imperialistici europei.
Ma non è solo per questo che va esclusa e combattuta ogni forma di sudditanza”populista”, all’interno del movimento operaio, a simili interessi e posizioni.
Attribuire alla natura della moneta, invece che al capitalismo, la ragione della crisi e delle ingiustizie sociali è un errore profondo, perché non significa sviluppare la coscienza dei lavoratori ma confonderla.
Non significa contrastare l’egemonia reazionaria su settori di massa, ma trovarsi a rimorchio (anche avendo intenzioni opposte) proprio di quelle culture che dispongono di mezzi propagandistici infinitamente potenti e che cercano di rivolgere il malcontento delle masse verso diversivi mitologici e populisti.
La verità delle cose è che l’alternativa non è fra euro e lira, ma fra capitale e lavoro, tra il potere dei capitalisti e dei banchieri e il potere dei lavoratori. Tutte le operazioni d’ingegneria monetaria che aggirano questo nodo, sono un inganno, sia che impugnino il miracolo degli Euro-bond e della riforma della BCE, ( come vorrebbero Vendola e Ferrero ) , sia che sventolino la bandiera del ritorno alla lira come “sovranità nazionale” che, nel capitalismo, è sempre la sovranità dei padroni, tanto più in paese imperialistico come l’Italia .
In realtà il problema non è la “sovranità nazionale “ ma l’identità del “sovrano”: il lavoratore o il capitalista.
In altri termini quale classe comanda la società ? Quale classe comanderà la moneta e in funzione di quale interesse sociale? Questo è il problema di fondo che tutti i riformisti eludono: il nodo del potere politico.