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Clerical secolar power

Di rossosconclusionato
“ Alto e glorioso Dio illumina le tenebre del cuore mio “
S.Francesco
Nell’anno del Signore1209 Francesco d’Assisi si prostrò ai piedi di Papa Innocenzio terzo
affinché gli concedesse il patentino per fondare  il nuovo ordine monastico dei Francescani.
Ma gli alti prelati vaticani,  spaventati dall’esaltazione della povertà che Francesco esternava ad ogni predica,  proposero al Papa ( come era d’uso allora )
che gli fosse mozzata la testa e quindi, una volta ridotto il suo corpo in molti piccoli pezzi,
ognun’ fosse sepolto in un luogo diverso di terra sconsacrata.
Ma il Papa, che sotto le sottane c’ aveva  le palle (oltre che ciaveva proprio), li redarguì duramente.
“Stolti” gridò loro furente “ Ce ne fossero mille di Francesco d’ Assisi,
che insegna ai poveri a rimanere poveri…ma con gusto.
Mica fa’ come gli Albigesi che non riconoscono l’Autorità della Chiesa
o altri eretici che, ancor’ peggio, vogliono appropriarsi dei Nostri beni,
che svuotano le Nostre dispense,
che inchiodano i Nostri Vescovi alle porte delle Cattedrali.
Quest’uomo è un vero  Santo; ergo meritevole di ciò che Ci chiede”.
Così, Francesco  tornò dai suoi discepoli e disse :
“ Gioite fratelli ! Non siamo più eretici ma figli diletti di Santa Romana Chiesa.
D’ora innanzi potremo diffondere, in pace fra i poveri, la dottrina dei Poveri.
Insegneremo loro a vivere dei frutti del creato
che esso generosamente ci concede e…… null’altro chiedere “
E così fu… in effetti.
I poveri divisero con gli animali selvatici le carogne e i rifiuti, le radici e le erbe spontanee.
Esattamente come prima ma morendo di fame felici, certi del Paradiso.
E… non è mica poco !
E intanto Francesco, vagava per boschi e conversava del più e del meno con gli animali,
Ammansiva le fiere e componeva odi al Creato.
E ogni sera, nel suo alto eremo, si coricava in estasi nel giaciglio di gelida roccia
cullato dal canto di frate fringuello e sorella allodola, 
(anche d’inverno, ma lui era Santo e poteva )
Comunque, non tutti se la bevvero la questione della povertà così come il Santo la interpretava: pia e mansueta. Infatti, qualche decina di anni dopo la sua morte avvenuta nel 1226, esplose la rivolta dei Dolciniani.
 “Gesu e gli apostoli non avevano mai posseduto niente”
Fra Dolcino
Le notizie storicamente accertate sulla figura e l’opera di Dolcino sono poche e incerte e le fonti sono prevalentemente di parte avversa ai dolciniani………..

Secondo alcune di esse il suo vero nome era Davide Tornielli. Il suo effettivo luogo di nascita è sconosciuto, anche se viene convenzionalmente indicato in Prato Sesia; così come la data di nascita. Si suppone tuttavia che sia nato nell’alto Novarese (è stato affermato, infatti, che il cognome Tornielli sia originario di Romagnano Sesia, mentre una torre nel territorio di Trontano, inOssola, porta quel nome). Alcune ricostruzioni posteriori, per squalificarne la nascita, sostennero che Dolcino fosse il frutto dell’unione di una donna del posto con un prete, forse il parroco di Prato Sesia.
Nel 1291 Dolcino entrò a far parte del movimento degli Apostolici, guidato da Gherardo Segalelli. È dubbio in tal senso come la definizione di “frate”, con cui spesso anche Dolcino viene definito, debba essere intesa, perché non si è affatto sicuri che egli abbia mai pronunciato voti religiosi: si limitò forse ad autodefinirsi “fratello” nell’ambito del movimento ereticale. Gli Apostolici, in sospetto di eresia e già condannati da papa Onorio IV nel 1286, furono repressi dalla Chiesa cattolica e il Segalelli fu arso sul rogo il 18 luglio 1300.
La predicazione di Dolcino si svolse anzitutto nella zona del lago di Garda, con un soggiorno accertato presso Arco di Trento. Nel1303, predicando nei dintorni di Trento, Dolcino conobbe la giovane Margherita Boninsegna nativa di Cimego, donna che i cronisti posteriori, per sottolinearne il fascino in qualche modo perverso, concordano nel definire bellissima. Margherita divenne la sua compagna e lo affiancò nella predicazione.
Dolcino si rivelò dotato di grande fascino e comunicativa e, sotto la sua guida, il numero degli Apostolici riprese a crescere. Si attirò le ire della Chiesa per i contenuti della predicazione, apertamente ostile a Roma e a papa Bonifacio VIII, di cui profetizzava la prossima scomparsa.
Durante gli spostamenti effettuati in Italia settentrionale per diffondere le proprie convinzioni e accrescere il numero dei seguaci, Dolcino e i suoi furono ospitati tra il Vercellese e la Valsesia. Qui, a causa delle severe condizioni di vita dei valligiani, le promesse di riscatto dei dolciniani furono accolte positivamente. Per questo, dopo un breve ritorno nel Bresciano, approfittando del sostegno armato offerto da Matteo Visconti, nel 1304 Dolcino decise di occupare militarmente la Valsesiae di farne una sorta di territorio franco dove realizzare concretamente il tipo di comunità teorizzato nella propria predicazione. Dolcino si stanziò per un lungo periodo nella località denominata Parete calva situata presso Rassa (VC
Di qui, il 10 marzo 1306, tutti i seguaci, abbandonati dal Visconti, si concentrarono sul Monte Rubello sopra Trivero (poco distante dal Bocchetto di Sessera, nel Biellese), nella vana attesa che le profezie millenaristiche proclamate da Dolcino si realizzassero.
Contro di loro fu bandita una vera e propria crociata, proclamata da Raniero degli Avogadro vescovo di Vercelli e che coinvolse anche milizie del Novarese. I dolciniani resistettero a lungo, ma infine, provati dall’assedio e dalla mancanza di viveri, che la popolazione locale, divenuta oggetto di vere razzie, non poteva né voleva più fornire loro, furono sconfitti e catturati nella settimana santa del 1307. Quasi tutti i prigionieri furono passati per le armi; Dolcino, processato e condannato a morte, fu giustiziato pubblicamente il 1º giugno, dopo avere assistito al rogo di Margherita e del suo luogotenente Longino da Bergamo.

La setta degli “Apostolici”, fondata da Segalelli verso il 1260, rientra nel novero dei movimenti pauperistici e millenaristici che fiorirono numerosi in quel periodo.
Essi conducevano una vita con frequenti digiuni e preghiere, lavorando o chiedendo la carità, senza praticare il celibato forzoso: la cerimonia di accettazione dei nuovi seguaci prevedeva che pubblicamente si mostrassero nudi, per rappresentare la propria nullità davanti a Dio, come avrebbe fatto san Francesco; predicavano l’ubbidienza alle Scritture, che portava alla disobbedienza ai pontefici, la predicazione ambulante dei laici, l’imminenza del castigo celeste provocato dalla corruzione dei costumi ecclesiastici, l’osservanza dei precetti evangelici e la povertà assoluta. Quest’ultimo punto, ovviamente, portò alle ire della Chiesa di Roma ed i dolciniani stessi furono accusati di depredazioni e accaparramenti decisamente maggiori di quelli che furono strettamente necessari a garantire la loro semplice sopravvivenza.
Dolcino espose la sua dottrina in una serie di lettere (tutte ricostruite sulla base di documenti di parte avversa) indirizzate agli Apostolici: ispirandosi a Gioacchino da Fiore egli riteneva che la storia della Chiesa si dividesse in quattro epoche, e che fosse imminente l’avvento dell’ultima, un tempo finale in cui si sarebbe ristabilito finalmente l’ordine e la pace dopo le degenerazioni della Chiesa del tempo, e annunciò l’approssimarsi della fine dei tempi.
La Crociata contro Dolcino fu bandita, come detto, dal vescovo di Vercelli Raniero (o Rainero) degli Avogadro, con il beneplacito dipapa Clemente V nel 1306. A lungo si è ritenuto che i valligiani tra il Biellese e la Valsesial’avessero addirittura anticipata aderendo allo Statutum Ligae contra Haereticos (cosiddetto Statuto di Scopello), redatto già il 24 agosto 1305. Studi più recenti, tuttavia, hanno dimostrato che il documento è un falso, confezionato alla fine del sec. XVIII in ambienti clericali per dimostrare l’esistenza di un movimento popolare antidolciniano sin dalle origini della sua predicazione nel Biellese. Nello Statuto si pretendeva che numerosi rappresentanti delle genti delle tre principali valli valsesiane, riuniti nella chiesa di San Bartolomeo a Scopa, avessero giurato sui Vangeli di scendere in armi contro i dolciniani fino al loro totale sterminio. Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere l’eresia dolciniana – questo il senso della disposizione delle autorità ecclesiastiche – avrà rimessa la totalità dei peccati. Come detto, tuttavia, lo Statutum è un falso.[1]
Il movimento guidato da Dolcino contava, al massimo della sua espansione, tra i 5000 e i 10000 aderenti, benché simili numeri possano anche essere considerati l’esagerazione di alcuni autori: per fare un confronto, infatti, la città di Novara contava al tempo circa 5000 abitanti e l’alta Valsesia meno di 500. Nell’organizzazione della loro difesa i dolciniani costruirono fortificazioni le cui vestigia sul Monte Rubello sarebbero state ancora rinvenute da scavi archeologici recenti. Scorribande improvvise e sortite notturne nelle campagne della Valsesia e del Biellese permisero un misero sostentamento ai fuggiaschi, verso i quali crebbe però l’ostilità dei valligiani depredati. Un rigido inverno contribuì a ridurre ulteriormente le forze e le riserve alimentari. I vescovili dal canto loro potenziarono il proprio esercito assoldando, tra gli altri, anche un contingente di balestrieri genovesi.
Le alture circostanti, tra le quali il Monte Rovella, vennero fortificate con lo scopo di isolare Dolcino e i suoi seguaci. Nellasettimana Santa (23 marzo) del 1307, le truppe di Raniero riuscirono a penetrare nel fortilizio fatto costruire da Dolcino, dove ancora resistevano disperatamente gli ultimi superstiti del gruppo ormai falcidiato. Secondo le fonti di epoca successiva lo spettacolo che si presentò agli assalitori fu drammatico: gli assediati, per sopravvivere, si erano cibati dei resti dei compagni morti. Tutti i dolciniani, comunque, vennero immediatamente passati per le armi eccetto Dolcino, Longino e Margherita.
Dolcino fu processato a Vercelli e condannato a morte. L’Anonimo Fiorentino (uno dei primi commentatori della Divina Commedia) riferisce che egli rifiutò di pentirsi e anzi proclamò che, se lo avessero ucciso, sarebbe resuscitato il terzo giorno.
Margherita e Longino furono arsi vivi sulle rive del torrente Cervo, il corso d’acqua che scorre vicino a Biella, dove la tradizione identifica ancora una sorta di isolotto detto appunto “di Margherita”. Un cronista annota che Dolcino, costretto ad assistere al supplizio dell’amata, “darà continuo conforto alla sua donna in modo dolcissimo e tenero”. L’Anonimo Fiorentino, all’opposto, afferma che Margherita fu giustiziata dopo di lui.
Per Dolcino si volle procedere ad un’esecuzione pubblica esemplare: secondo Benvenuto da Imola (un altro antico commentatore dantesco), egli fu condotto su un carro attraverso la città di Vercelli, venne torturato a più riprese con tenaglie arroventate e gli furono strappati il naso e il pene. Dolcino sopportò tutti i tormenti con resistenza non comune, senza gridare né lamentarsi. Infine fu issato sul rogo e arso vivo a sua volta.
Nel 1907, per il seicentesimo anniversario della morte di Dolcino, alla presenza di una folla di diecimila persone riunitesi sui luoghi dell’ultima battaglia, un obelisco alto dodici metri fu eretto in memoria dei dolciniani. Promotore dell’iniziativa era stato Emanuele Sella, letterato ed economista che vantava trascorsi in seno al socialismo: fu soprattutto lui a suggerire un accostamento tra le istanze dolciniane e quelle socialiste, ma già l’anno successivo, nel 1908, le celebrazioni andarono pressoché deserte.
Nel 1927 l’obelisco fu abbattuto da un gruppo di fascisti. La volontà di riedificare il monumento acquistò grande valore simbolico dopo la caduta del regime fascista e nel 1974 un monumento più piccolo fu edificato nello stesso punto del monte Rubello. Da allora ogni anno, nella seconda domenica di settembre, viene organizzato un convegno dolciniano.
Nel 1977 Dario Fo e Franca Rame fecero tornare in auge, con la commedia teatrale Mistero Buffo, nella giullarata di Bonifacio VIII, la leggenda di Dolcino e del suo maestro, visti come precursori del socialismo. Nel 1980 Umberto Eco inserì nella trama del celebre romanzo Il nome della rosa due personaggi (il cellario Remigio da Varagine e il suo aiutante Salvatore) che vengono giudicati (ed infine condannati al rogo) per il loro passato di seguaci dolciniani.
Il settecentesimo anniversario della morte di Dolcino ha posto in essere, tra la fine del 2005 e l’inizio del 2007, varie manifestazioni in suo ricordo.

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