Tranvieri o forconi: rivoluzione o reazione
di PCL Romagna · Dicembre 11, 2013
Questo dato naturalmente non è sufficiente a inquadrare la natura sociale e politica del Movimento 9 Dicembre . Ma non è irrilevante se si vuole capire la sua dinamica. …….
LA CRISI DELLA PICCOLA BORGHESIA E LA CRISI DEL MOVIMENTO OPERAIO
La crisi capitalista e le politiche dominanti non colpiscono solo la classe operaia, ma anche larghi settori delle “classi medie” ( padroncini del trasporto, dell’agricoltura, del commercio, dell’artigianato), a loro volta socialmente differenziate al proprio interno. La crisi del mercato, l’usura delle banche, l’aumento delle tasse per finanziare il debito pubblico a a vantaggio del capitale finanziario, producono nel loro insieme un impoverimento di questi strati sociali.
Qui sta il bivio. O il movimento operaio sviluppa una propria alternativa alla società capitalista e alla sua crisi, sulla base di un programma di lotta anticapitalista che dia la vera risposta alla sofferenza sociale degli strati inferiori delle classi medie. O l’insofferenza sociale di queste classi rischia di essere capitalizzata da ambienti sociali e politici reazionari contro il movimento operaio.
Gli avvenimenti in corso sono al riguardo indicativi.
Il movimento operaio italiano conosce una grave crisi sociale e politica, per responsabilità delle sue direzioni politiche e sindacali. Non sono mancate e non mancano lotte operaie importanti di resistenza all’aggressione capitalista e alle politiche di austerità. Ma le sinistre politiche e sindacali non solo rifiutano di unificarle sul terreno di una programma generale di mobilitazione contro la dittatura del capitale, ma si adoperano per frammentarle, contenerle, disperderle. Emblematico il caso recentissimo dei tranvieri. La loro rivolta ha bloccato Genova per cinque giorni, è passata per Firenze, minacciava di propagarsi nell’intera Italia. Poteva realmente innescarsi un movimento radicale di massa contro le privatizzazioni e le politiche di austerità e sacrifici, capace di porsi come riferimento egemone di classe di tutte le sofferenze delle masse oppresse e di ampi strati della stessa piccola borghesia. Ma proprio per questo le burocrazie sindacali si sono affrettate a spegnere la miccia di Genova, a garanzia della borghesia italiana.
A questo punto lo scenario della mobilitazione cambia volto sociale e protagonisti politici. Un insieme eterogeneo di piccole organizzazioni padronali e dei loro capi si prende la scena, e si presenta come bandiera di una “rivoluzione”.
Il programma della .. rivoluzione non porta nulla di buono per i lavoratori, i precari, i disoccupati.
Sul piano sociale coltiva un immaginario mitologico che unisce “abolizione di Equitalia”, “ritorno alla lira”, “sovranità nazionale”: che in un quadro capitalista significherebbe solamente un nuovo saccheggio di salari e piccoli risparmi, e una nuova aggressione a welfare e servizi sociali ( in un paese in cui oltretutto è il lavoro dipendente a reggere sulle proprie spalle il grosso delle tasse) in perfetta continuità col presente. E ciò senza nessun reale cambiamento per la stessa piccola borghesia: che forse otterrebbe più mano libera nell’evasione di contributi e sfruttamento in nero, ma continuerebbe ad essere strozzata dal potere immutato di capitalisti e banchieri . I veri detentori della “sovranità”: altro che sventolio del tricolore.
Sul piano politico questa miscela sociale e ideologica è il naturale brodo di coltura di forze reazionarie. L’anatomia dei gruppi dirigenti della..”rivoluzione”, parla chiaro. Capi di organizzazioni padronali che vengono dal bacino della Lega Nord ( in particolare dell’indipendentismo veneto), dall’ambiente fascistoide laziale ( in particolare a Latina), dall’autonomismo siciliano ( benedetto dal capitalista Zamparini, supersfruttatore di lavoratori precari nei suoi supermercati). Un personale di avventurieri che, nella crisi delle vecchie organizzazioni di categoria e della politica borghese, cercano di coltivare i propri sogni di gloria ( al più..elettorali, come già i Forconi in Sicilia). Chi può meravigliarsi se in questo movimento si gettano a piene mani Forza Nuova, Casa Pound, Movimento Sociale Europeo, Militia? Non hanno ad oggi l’egemonia. Ma quello è il terreno naturale su cui possono piazzare la propria bandiera. Nè è ragione di meraviglia se il sindacato di polizia UGL, fiero difensore dei torturatori della Diaz al G8, solidarizza pubblicamente col movimento. Sta nelle cose.
Il fatto che a questo movimento si possano aggregare in qualche caso settori studenteschi o disoccupati ( come spesso accade nei movimenti reazionari di massa), non cambia la sua natura. Semmai accresce le preoccupazioni, e misura una volta di più la crisi di egemonia del movimento operaio.
NE’ CON LO STATO NE’ COI FORCONI.
PER UN’ALTERNATIVA PROLETARIA AL POTERE DEI CAPITALISTI E DEI BANCHIERI
Il PCL non sta né con lo Stato, né col Movimento 9 Dicembre.
Non abbiamo alcun pregiudizio a intervenire a sostegno di rivendicazioni progressiste di strati impoveriti di piccola borghesia. L’abbiamo fatto col movimento dei pastori sardi, l’abbiamo fatto un anno fa con la lotta dei tassisti. E’ parte della lotta per un blocco sociale alternativo, entro una logica di classe. Ma altra cosa è porsi a rimorchio di una dinamica reazionaria. Non siamo stati coi Forconi in Sicilia, non stiamo oggi coi loro prosecutori.
Al tempo stesso proprio quanto sta avvenendo pone una volta di più l’esigenza e l’urgenza di una svolta anticapitalista del movimento operaio. Abolire il debito pubblico verso le banche ( con garanzie per il piccolo risparmio), nazionalizzare le banche, senza indennizzo per i grandi azionisti, e unificarle in un’unica banca pubblica sotto controllo sociale, sono la condizione decisiva per liberare milioni di famiglie dall’oppressione del capitale finanziario, dalla stretta del credito, dal cappio di mutui usurai. Se il movimento operaio si battesse per queste rivendicazioni potrebbe prendere la testa della rabbia sociale e di rivolta di settori ampi di piccola borghesia, disgregando il blocco sociale reazionario, e chiudendo lo spazio di manovra della demagogia fascistoide. Ma una simile battaglia di massa implica la lotta per un’alternativa di potere. Che spazzi via il governo del capitale, i suoi partiti, il suo Stato. Solo una Repubblica dei lavoratori può liberare assieme alla classe operaia la maggioranza della società: è’ l’unica reale rivoluzione possibile.
Il PCL si batte e si batterà, in ogni movimento di classe o progressivo, per questa prospettiva.
“Giunta militare” o governo dei lavoratori: queste parole d’ordine indicano simbolicamente due prospettive contrapposte, due opposte dinamiche di classe. Il bivio strategico tra rivoluzione e reazione percorre, in forme diverse, l’intero scenario italiano, in un quadro di massima crisi sociale, politica, istituzionale.