Comunicati stampa PCL Forlì-Cesena
MA CHE C… STATE FACENDO (E DICENDO)? Vol. 2
Apprendiamo dalla stampa locale che è stato firmato l’ennesimo accordo bidone dai sindacati complici; questa volta i fortunati padroni che hanno incassato la benevola non belligeranza di CGIL-CISL-UIL sono quelli della ALPI di Modigliana.
L’azienda ha ottenuto quello che voleva: potrà disfarsi di 90 lavoratori considerati di troppo, i quali avranno in cambio qualche migliaio di euro di liquidazione e un pò di ammortizzatori sociali (tanto quelli li paghiamo noi attraverso le tasse, mica la ALPI…), con la poco serena prospettiva di allargare la massa dei disoccupati, una volta cessata la mobilità.
Così, mentre l’azienda comincia inesorabilmente il suo cammino verso ulteriori ridimensionamenti e/o delocalizzazioni produttive, ci tocca pure leggere dichiarazioni lunari di sindacalisti e politicanti locali, tutti contenti e fieri nel presentare questa desertificazione industriale galoppante come un “buon risultato”.
Anche per Thomas Casadei, consigliere regionale del PD e sostenitore della sinistra interna, “si tratta di un buon accordo”.
I lavoratori e le lavoratrici non sanno che farsene di “buoni accordi” che li espellono fuori dai cancelli delle fabbriche lasciandoli in mezzo alla strada a fare le ragnatele!
Forse sarebbe l’ora di lanciare l’offensiva operaia, che raccolga attorno a sè le istanze della classe lavoratrice tutta e degli altri soggetti subalterni ai capitalisti, liberandosi dall’abbraccio mortale di burocrati sindacali, politici riformisti e rappresentanti delle istituzioni, unicamente interessati al mantenimento della pace sociale.
Se infatti la pace sociale permette di raggiungere i sopracitati “buoni accordi” (buoni solo per i padroni e i loro lacchè), ovvero licenziamenti e miseria, noi preferiamo i “cattivi accordi” (gli industriali e i loro giornali li chiamerebbero così): noi preferiamo stare dall’altra parte della barricata, quella di chi dice che l’unico costo da tagliare è quello del profitto e non quello del lavoro, e che gli unici a dover essere licenziati sono proprio i licenziatori, cioè i responsabili dell’attuale crisi, e non i loro dipendenti!
Basta con la concertazione e i tavoli di discussione in provincia, l’unico modo per salvaguardare il nostro lavoro e la nostra vita è riprendere la pratica del conflitto sociale attraverso l’occupazione di tutti gli stabilimenti che si comportano come la ALPI (a partire dalla Electrolux!).
“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.” (B. Brecht)
Libertà d’espressione…a pagamento!
Ci risiamo: ogni volta che abbiamo la necessità, come Partito Comunista dei Lavoratori (PCL), di organizzare in città un banchetto di raccolta firme (vuoi per una presentazione elettorale, vuoi, come nel caso attuale, per una petizione popolare) il Comune di Forlì ci ostacola e ci rallenta. I permessi di occupazione di suolo pubblico non ci vengono negati (sarebbe una cosa troppo “sporca”) ma vengono concessi dopo un’attesa di diversi giorni, se non settimane, e in seguito al pagamento di inique marche da bollo.
Per un banchetto di un metro quadro (tavolino e sedia) si spendono addirittura 32 euro in bolli, e questi ci vengono richiesti anche quando siamo costretti dalle stesse leggi statali a raccogliere le firme dei cittadini, se vogliamo presentare la nostra lista indipendente alle elezioni. Leggi anti-democratiche che danno il privilegio, per quei partiti rappresentati in Parlamento, di astenersi dal conquistare, firma dopo firma, uno spazio sulla scheda elettorale, mentre obbligano i partiti extra-parlamentari a barcamenarsi tra un banchetto e l’altro, sui quali il Comune si fa lautamente retribuire.
In pratica, mentre lo Stato esercita la sua coercizione tenendoti fermo da dietro, il Comune, dal davanti, ti spilla i (pochi) soldi dal portafoglio.
Chi parla quindi di libertà di espressione e di associazione politica con pari diritti per tutti, tutelati dalla Costituzione Repubblicana, non ha capito granchè. Questo vale forse sulla carta, ma nella sostanza non è affatto così: se scendiamo nel concreto della realtà, abbandonando per un attimo le parole “alate” dei padri costituenti, ci rendiamo conto che un partito, ad esempio, come il PD (al governo della nostra città) gode di ampi locali, sedi accoglienti, spazi nei media. Per farsi conoscere non ha certo bisogno di predisporre banchetti nei punti nevralgici, e se lo fa, non ha sicuramente problemi nello sborsare i 32 euro di marche da bollo, potendo contare su milioni e milioni di euro di rimborsi elettorali e su ancora più milionarie donazioni dei grandi gruppi industriali e bancari del paese (dall’Ilva alla Monte dei Paschi, solo per fare due esempi).
Così non è, invece, per un partito proletario, come il nostro, che non gode dell’appoggio e dei finanziamenti né dello Stato né dei padroni, e che non è composto da ricchi proprietari ma, in larga parte, da operai e disoccupati.
Perciò, se proprio non potete fare a meno di estorcerci 32 euro a banchetto, almeno finiamola con la favola della “uguaglianza”. Nel capitalismo non ci sono i diritti, nel capitalismo ci sono solo i privilegi (per pochi) e i doveri (per molti).