Composizione ed equilibri del governo Renzi: alcune prime considerazioni
Il governo Renzi non è “il rimpasto” del governo Letta.
Il primo governo Letta nasceva come “governo del Presidente”nel quadro della continuità dell’unità nazionale del governo Monti. Il secondo governo Letta, dopo la rottura di Berlusconi, era anch’esso patrocinato e assistito direttamente da Napolitano. La stessa composizione ministeriale era in parte decisa da Napolitano, che di fatto nominava “suoi” ministri ( Saccomanni in primis) a garanzia dell’interesse generale di sistema. La supplenza presidenziale era la risultante della crisi politica degli equilibri borghesi.
UN “GOVERNO DEL PREMIER” INCOMPIUTO
Tuttavia il nuovo governo non è ancora il “governo del Premier” che Renzi vorrebbe. Non ha la base d’appoggio dell’”investitura “ elettorale, che secondo la legge truffa iper maggioritaria concordata con Berlusconi, darebbe al Presidente del Consiglio il controllo della maggioranza del Parlamento e dei gruppi parlamentari. La composizione del Parlamento resta immutata. La maggioranza politica che sorregge il governo è ancora la maggioranza di coalizione tra PD ,NCD, forze minori. I gruppi parlamentari del PD sono ancora a (vecchia) maggioranza “bersaniana”. La composizione del governo è un riflesso di tutto questo. Il Rottamatore ha dovuto comporre un equilibrio faticoso tra pressioni e interessi contraddittori, dentro un rapporto di forze certo mutato ma non ancora risolto.
Renzi ha dovuto lasciare a NCD, determinante per la maggioranza, i suoi tre ministeri, pur a fronte di una riduzione complessiva del numero dei ministri. Ha dovuto dare presenza e riconoscimento nel governo a tutte le componenti del PD, determinanti nei gruppi parlamentari. Ha dovuto trovare un compromesso delicato con Napolitano sui due ministeri chiave del Tesoro e della “Giustizia”, che presidiano rispettivamente le relazioni con la U.E. e con la Magistratura (nel primo caso rinunciando a un proprio diretto controllo politico sul ministero, ma al tempo stesso imponendo il siluramento di Saccomanni; nel secondo rinunciando a un uomo immagine ma meno controllabile a vantaggio di un ministro incolore del PD, più rilassante nei rapporti con Berlusconi ). Inoltre ha dovuto registrare, al piede di partenza, l’ indisponibilità ad entrare nel governo di diversi esponenti del suo mondo borghese di riferimento ( gli eroi della Leopolda Farinetti e Guerra, grandi mananger come Montezemolo, commis di Stato come Moretti): tutti in attesa di incassare i risultati del governo Renzi (cui plaudono), ma nessuno disponibile a buttarsi personalmente in un’avventura rischiosa, volendo prima verificare in ogni caso la solidità dell’impresa.
La risultante d’insieme è la composizione di un governo borghese che da un lato offre rappresentanza a poteri forti ( capitale finanziario, Confindustria, Cooperative..), dall’altro presenta numerosi ministri/e improvvisati/e che suscitano scetticismo negli stessi ambienti borghesi ( “governo Beautiful” ha titolato Sole 24 Ore). Peraltro sullo stesso versante di Confindustria, è significativa la scelta allo “sviluppo economico” del ministro Guidi, avversaria di Squinzi nel mondo confindustriale e vicina a Berlusconi politicamente: più una scelta di Renzi, utile per i suoi equilibri e spazi di manovra politico/ sociali, che non una rappresentanza diretta in quanto tale di Confindustria. In realtà il grosso della borghesia italiana promuove Renzi, lo incoraggia, lo spinge, ma mantiene al tempo stesso un margine di riserva. Vuole metterlo alla prova dei fatti . Vuole studiare il possibile punto di equilibrio tra i propri interessi generali e il personalismo autocentrato del nuovo leader: fonte di tante speranze borghesi, ma anche di qualche misurata diffidenza.
Sul piano politico più generale il governo Renzi dovrà misurarsi con la contraddizione tra le “due maggioranze” che lo sorreggono: la maggioranza politica vera e propria che gli voterà la fiducia ( PD, NCD, Scelta Civica) e il patto stretto con Berlusconi sulla riforma elettorale e istituzionale . Alfano ha bisogno di un governo di legislatura sino al 2018, per attendere il cadavere politico di Berlusconi e disporre del tempo necessario per costruire il proprio progetto. Per questo vuole anteporre il negoziato sulle riforme istituzionali ( dai tempi lunghi) al varo operativo della nuova legge elettorale che potrebbe aprire la via ad elezioni anticipate. E in più chiede una modifica della legge elettorale proposta sulle soglie di sbarramento, per rafforzare il proprio peso contrattuale e spazio di manovra. Berlusconi ha l’interesse esattamente opposto. Non può attendere passivamente la propria morte politica; preme su Renzi per la definizione tempestiva della legge elettorale, nella prospettiva di un voto anticipato entro un anno; si oppone a ogni modifica del patto sulla legge elettorale in funzione della demolizione politica di Alfano. Questa contraddizione è potenzialmente esplosiva per la navigazione e le prospettive del governo. Renzi ha stretto un patto con Berlusconi contro Alfano, e un patto con Alfano contro Berlusconi, offrendo a entrambi le proprie “garanzie”. Ma le “garanzie” di Renzi, come Letta sa bene, non sono granitiche. E i cerchi in ogni caso non si fanno quadrati.
LA VOCAZIONE “BONAPARTISTA” DEL RENZISMO
Renzi cercherà di sormontare le contraddizioni politiche della/e sua maggioranza/e con il proprio slancio populista . Cercherà di sottrarsi il più possibile al lavoro tradizionale di cucitura e ricucitura delle mediazioni politiche quotidiane, per coltivare il rapporto diretto con l’opinione pubblica interclassista, e fare di esso la leva politica della propria forza. Anche da questo punto di vista non siamo affatto alla “riedizione di Letta”. Renzi ha concentrato nelle proprie mani e nelle mani del proprio staff di fiducia ( Del Rio) una molteplicità di deleghe. Le userà nel modo più attivo. Da ex Sindaco, tenderà a vivere e gestire il governo come fosse la propria giunta comunale, i suoi ministri come i propri assessori. Non coltiverà la concertazione, né sul terreno politico, né sul terreno delle relazioni sociali e di classe. Da piccolo Bonaparte in pectore ( più per vocazione che per condizione, ad oggi) proverà ad elevarsi, in apparenza, al di sopra delle regole tradizionali e prassi consolidate, per affermare la propria iniziativa e le proprie scelte. Denuncerà le ”resistenze” e “lungaggini” della burocrazia dello Stato anche con apparenti contrapposizioni dirette. Cercherà di mascherare la politica di sfondamento sociale, che la borghesia gli commissiona, con misure populiste di ridimensionamento (reale o simbolico) dei “privilegi dei politici” e dei “costi istituzionali”, in concorrenza d’immagine con Grillo, e a tutto vantaggio della borghesia stessa. Proverà persino quando possibile , e nella misura del possibile, a fare qualche concessione sociale da dare in pasto all’elettorato di sinistra e alle illusioni progressiste, per ammortizzare l’impatto delle politiche d’austerità. La politica di Renzi potrà essere meno lineare di quanto molti si attendono.
Ma il populismo d’immagine non può vivere a lungo al di sopra delle proprie condizioni materiali, politiche e sociali. In un modo o nell’altro la realtà presenta sempre il conto. La profondità della crisi capitalista, italiana ed europea, restringe lo spazio di manovra di qualsiasi governo borghese. Una simulazione di equilibrio tra i blocchi sociali è troppo costosa per le finanze statali, tanto più alla vigilia delle forche caudine del fiscal compact . Renzi ha a disposizione una montagna di parole e di pose, ma la sua cassa è “vuota”. Mentre la borghesia che su di lui ha investito ( e che lo finanza) si attende una nuova reale accelerazione della propria offensiva contro il lavoro e l’incasso visibile di nuove risorse ( a partire dal cuneo fiscale). Il quadro contraddittorio degli equilibri politici e parlamentari porrà, a sua volta, nuove zavorre e condizionamenti all’azione di Renzi.
La contraddizione tra “il governo del Sindaco” e la ristrettezza delle sue basi materiali segnerà il nuovo esecutivo. Ed esporrà il Renzismo a una stretta difficile.
IL RENZISMO INTERROGA LA SINISTRA ITALIANA
Costruire una opposizione sociale e politica di classe, unitaria radicale e di massa, contro il governo Renzi e il suo progetto, è la prima necessità che si pone al movimento operaio e a tutte le sinistre politiche e sindacali. Ed è anche una possibilità reale.
La situazione politica è ancora fluida. Il progetto reazionario di Terza Repubblica che Renzi coltiva ha fatto un passo avanti, ma è ancora incompiuto, e ha davanti a sé un cammino complesso. Questa instabilità non durerà a lungo. Come questa fase transitoria si chiude dipenderà unicamente dal rapporto di forza che si produrrà sul terreno della lotta di classe.
La ripresa di una vera opposizione di classe, sociale e politica, al renzismo può risolvere a sinistra le contraddizioni politiche, scompaginarne il disegno di Renzi, aprire dal basso uno scenario nuovo e una nuova prospettiva per i lavoratori.
Senza questa svolta, le contraddizioni si chiuderanno sul versante opposto, quello di una stabilizzazione reazionaria ( quali che siano i passaggi e le forme): o in direzione di un vero Premierato Renzi, o in direzione di un ritorno di Berlusconi. Mentre sullo sfondo di un fallimento Renzi senza alternativa di classe si staglia anche il pericolo- tutt’altro che remoto- di una nuova avanzata del grillismo e del suo progetto plebiscitario.
L’alternativa tra rivoluzione e reazione che il terzo Congresso del PCL ha individuato, si conferma dunque, in ogni caso, come il bivio centrale di prospettiva. Che interroga e interrogherà tutta la sinistra italiana.