• Senza categoria

Di lavoro si muore perché di precarietà si vive.

Operaio morto alla Marcegaglia di Ravenna

di Maddalena Robin
Nella notte tra il 7 e il 8 aprile allo stabilimento della Marcegaglia a Ravenna, un operaio di 58 anni dell’impresa di facchinaggio Cofari ha perso la vita, dopo esser stato travolto da alcuni materiali pesanti in spostamento. L’operaio faceva parte di una cooperativa, che andava a sostituirne un’altra, che era stata allontanata, in seguito ad uno scontro molto aspro all’interno dell’azienda per via dell’abbassamento dei già precari standard di sicurezza. Questo omicidio, come tanti altri simili, è il frutto del profitto, dello sbrigarsi, dello sfruttamento del personale operativo. Inadeguata formazione, flessibilità, tutti fanno tutto, polivalenza, monoperatore, sistema premiante “ad personam” e clientelare, sono questi gli elementi che contribuiscono a far perdere quella specificità professionale e a generare oltre che confusione una competitività malsana.

L’ennesima morte annunciata, come tutte quelle che avvengono nei luoghi di produzione e sfruttamento, con una media di tre morti al giorno, in cui non son compresi tutti quelli che di lavoro muoiono lentamente, intossicati dai veleni usati quotidianamente. Pensiamo di uscir di casa per un salario, ma mettiamo a rischio la nostra vita in una guerra quotidiana che miete migliaia di vittime l’anno; migliaia di lavoratori, che escono di casa al mattino per un salario di merda e si ritrovano in una bara, migliaia di omicidi prodotti anno dopo anno nella giungla del mercato del lavoro in Italia, un lavoro che non è, nè sarà mai un bene comune.

Gli assassinii sul lavoro hanno diverse forme. C’è chi esce la mattina di casa e non torna più, morendo come una mosca schiacciata; c’è chi invece a casa torna tutte le sere, convinto che quella tosse sia solo colpa del freddo…e poi se ne va, ucciso da una malattia che poteva tranquillamente non prendere, ucciso da ciò che per anni ha respirato, lavorato, imballato, trasportato. Molti le chiamano “morti bianche” un eufemismo che va abolito, perché è un insulto ai familiari e alle vittime sul lavoro. Nessuna di queste morti è “bianca”, perché chi muore sul lavoro muore assassinato: assassinato dal profitto, dallo sfruttamento, dai meccanismi del capitale. Perché chi muore sul lavoro non sembra aver diritto nemmeno alla memoria, a meno che non abbia una divisa addosso.

Dobbiamo dire “no” al ricatto dei padroni, che ci fanno lavorare in condizioni di grave insicurezza, forti della crescente disoccupazione. Contro il ricatto del lavoro ci accomuna il dolore e la rabbia che continuiamo a provare, ma occorre trasformare la rabbia e in coscienza ed organizzazione in determinazione a lottare per difendere la vita, la nostra nuda vita. Morire di lavoro, di indifferenza, di nocività e di precarietà in nome del profitto a ogni costo è inaccettabile.

Lottiamo per impedire che tali ignominie si ripetano; lottiamo contro le morti sul lavoro e da lavoro. Lottiamo organizzati contro il padronato assassino.

Potrebbero interessarti anche...

Una risposta

  1. marla taz ha detto:

    un paese affetto da amnesia collettiva : MONTI prelevò circa un anno fà dalla busta paga dei dipendenti pubblici 70 euro , quindi ne vengono restituiti 10 che a fronte degli spropositati aumenti di tutti i beni di consumo , farmaci al primo posto, ed al blocco contrattuale da 6 anni , più che un aumento è l'ennesima presa per il culo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.