Caro amico G.
Nella mia precedente ti ho proposto alcune parole il cui significato è necessario conoscere bene per capire la politica: Stato, istituzioni, rapporti sociali di produzione, ecc. Di queste la più importante, con la quale c’entrano più o meno tutte le altre, è ”lo Stato”.
Che cosa è lo Stato? Vediamo cosa dice il vocabolario: ”Persona giuridica territoriale sovrana, costituita dalla organizzazione politica di un gruppo sociale stanziato stabilmente su un territorio”.
Significa che lo Stato non è un’entità materiale, ma un insieme di leggi che definiscono ciò che è lecito (e ciò che non lo è) e che si materializzano nelle istituzioni preposte ad emanare, attuare e controllare il rispetto di queste leggi: organi legislativi, esecutivi e giudiziari.
In un certo senso ogni Stato, presente e passato, è la risultante degli Stati precedenti, un prodotto della storia e perciò in continua trasformazione, relativamente ai cambiamenti della società.
Per questo ogni Stato è diverso dall’altro, in quanto ogni comunità umana è il prodotto di un territorio, di una cultura e dei suoi conflitti: interni e con gli altri Stati.
Ma con questo non ti ho detto nulla che già tu non sappia, o che tu non possa facilmente sapere, nulla di come si concretizza lo Stato nella vita di ogni cittadino soggetto alle leggi dello Stato in cui vive.
A questo punto però ci troviamo di fronte ad una tautologia (1). Perché, se è vero che ogni Stato è diverso dall’altro, è ovvio che saranno diverse anche le leggi che in ogni Stato i cittadini devono rispettare.
Insomma, oltre una generica definizione formale, sembrerebbe che lo Stato non abbia un’identità precisa e sia, perciò, il prodotto naturale dell’umanità.
Questa è l’idea che oggi passa il convento; mettere in discussione l’esistenza dello Stato è considerata un’eresia, esattamente come mettere in discussione l’economia capitalistica di mercato, perché anche essa è considerata come la conseguenza della propensione naturale degli uomini a scambiarsi le merci.
Eppure tutti noi abbiamo una precisa percezione dello Stato. Sappiamo che quando abbiamo a che fare con lo Stato, c’è poco da scherzare.
Se violiamo una legge sappiamo che potremmo pagarne le conseguenze, più o meno gravi esse siano.
Infatti lo Stato, ogni Stato esistente ed esistito, dispone di un esercito di professionisti della violenza: Giudici, Prefetti, Polizia, Carabinieri, Guardie reali, Sceriffi, ecc.
I nomi cambiano ma la sostanza è la stessa: detengono in nome dello Stato il monopolio della violenza. Nessuno all’infuori di loro ha il diritto di usarla a chicchessia e per nessuna ragione; anche la legittima difesa è sottoposta al giudizio dello Stato.
Ovvio che c’è una bella differenza fra uno Stato totalitario e uno democratico, ma sempre e comunque l’organo di garanzia del rispetto delle leggi non riguarda tutti i cittadini, ma agisce al di sopra di essi secondo meccanismi propri ed estranei al resto della comunità .
Secondo gli adoratori dello Stato ciò è un bene; in quanto esso sarebbe un’entità superiore all’egoismo dei singoli e neutro rispetto ai conflitti sociali, ovvero il garante del bene comune e dell’ordine sociale: lo Stato etico.
Gli adoratori di sinistra dello Stato riconoscono che l’azione dello Stato non è affatto neutra e che le leggi di fronte alle quali tutti dovrebbero essere uguali, in realtà, per alcuni sono più uguali che per altri.
Ma questo,secondo loro, non dipende dallo Stato, in quanto tale, ma dalle leggi che andrebbero cambiate in senso democratico.
Questi riformistiadoratori della Costituzione e della democrazia purchessia, non colgono il succo della questione, cioè che lo Stato, come ogni altra cosa o affare umano, si è formato all’interno dei conflitti fra gli uomini e perciò è stato plasmato, in ogni sua articolazione, dai vincitori di questi conflitti, o meglio dalla classe vincitrice in ogni periodo storico. Ne consegue che, nei fatti, il supposto bene comune è il bene della classe dominante.
Così come nell’antichità classica gli Stati erano dei proprietari di schiavi e gli Stati medioevali dei re e dei feudatari padroni della gleba, gli Stati moderni (più o meno democratici) appartengono alla classe borghese: ai proprietari delle fabbriche e del denaro. Nel corso dei secoli è cambiata la classe dominante, ma non lo Stato come strumento di oppressione delle classi subalterne.
Questa è la sostanza dello Stato che non è mai cambiata: un gruppo di uomini armati al servizio dei potenti.
La sua origine non è naturale, cioè insita nella natura umana, come vorrebbero farci credere i suoi adoratori. Gli uomini delle società tribali preistoriche hanno fatto a meno dello Stato per un periodo di tempo molto più lungo di quanto l’umanità abbia vissuto sotto il dominio dello Stato. Addirittura alcune di esse, seppur estremamente ridotte, sono sopravvissute fin quasi ai nostri giorni.
Di fronte a questa verità storica, gli adoratori dello Stato, etico o democratico purchessia, non si scompongo. Dicono: “Ma allora gli uomini erano barbari e primitivi”
Se per primitivi s’intende meno evoluti di noi, certo che lo erano, ma nel senso che l’umanità era giovane e doveva imparare ancora molto dell’ambiente in cui viveva.
Come del resto anche noi abbiamo molto da imparare, anzi da imparare continuamente perché alla conoscenza non c’è fine.
Ma quegli uomini erano nostri simili, nel corpo e nella mente; semplicemente avevano accumulato meno nozioni di come è fatta e di come funziona la natura.
Non conoscevano le scienze e credevano nelle favole, ma come poteva essere altrimenti? Del resto, anche fra noi quanti sono quelli che credono nelle favole della propaganda politica al servizio dei potenti?
I sentimenti degli uomini primitivi erano come i nostri ed erano intelligenti come noi. Infatti, come un bambino impara di più nei primi anni che nel resto della vita, anche l’umanità degli albori ha imparato le cose fondamentali: il fuoco, la caccia, la pesca, le cure con le erbe e l’uso degli animali come forza lavoro e poi l’agricoltura e la pastorizia, trasformandosi da nomade a stanziale.
Queste scoperte sembrano poco ai nostri occhi, ma è da lì che è cominciata la marcia dell’umanità verso la liberazione dal dominio della natura.
Certo, la società moderna si è spinta oltre: ora è l’uomo a dominare la natura, con il rischio concreto di distruggerla e distruggere se stesso. Ma come potevamo giungere alla consapevolezza della fragilità degli equilibri ecologici senza prima comprenderli? Senza prima risolvere i problemi primari della sopravvivenza?
Insomma , nelle grandi questioni , è sempre stato un problema di evoluzione e non delle qualità immanenti (2) della specie umana.
Ebbene, questi nostri antenati vissero per decine di migliaia di anni senza lo Stato, senza la proprietà privata, senza polizia né prigioni. Non esisteva la divisione del lavoro, l’unica differenza era di genere: fra uomini e donne.
I maschi si occupavano dei campi e delle mandrie, cacciavano e facevano la guerra e le femmine facevano….. tutto il resto.
Non vuol dire che stessero meglio di noi o che erano meglio di noi: i loro sentimenti erano sicuramente più schietti e spontanei dei nostri, ma i loro modi di fare, dal nostro punto di vista, quasi animaleschi.
Poi, nacque lo Stato. Non improvvisamente, ci vollero secoli perché diventasse un qualcosa di somigliante al nostro concetto di Stato. E non nacque contemporaneamente, ovunque e nello stessa maniera e tantomeno nacque pacificamente; anzi si impose quasi sempre con la violenza. E con lo Stato alcuni uomini divennero padroni e altri schiavi e la famiglia divenne patriarcale per garantire la continuità della proprietà privata.
Ciò significa che lo Stato è un prodotto culturale di una fase evolutiva della nostra specie e per questo destinato a scomparire insieme alla proprietà privata, (così come scomparvero le società tribali senza Stato e proprietà privata). Questa è una certezza, ma il problema è come: per essere sostituito da forme più evolute di convivenza civile e modi di produzione dei beni in conformità alla conservazione dell’ambiente naturale e ai bisogni umani, oppure con il ritorno alla barbarie? Non la barbarie delle società tribali che era comunque un progresso rispetto agli uomini delle caverne ma, considerando i mezzi attualmente a disposizione, una regressione distruttiva di dimensioni immani.
Ecco… Il marxismo rivoluzionario non è solo un metodo di lotta per la giustizia sociale e per una società di liberi ed uguali, ma una teoria che pone il comunismo (e la distruzione dello Stato e della proprietà privata) come necessario per il progresso dell’umanità. Ora siamo giunti ad un bivio: o usare le immense risorse produttive a nostra disposizione per il benessere di ogni forma di vita e per la conservazione della materia, di cui è fatta l’umanità stessa ed è fatto il mondo, oppure…
E’ per questo che noi diciamo: o socialismo o barbarie!
Bene! A questo punto però siamo andati per le lunghe, forse un po’ troppo. Certo, avrei potuto essere meno prolisso, ma il dono della sintesi appartiene ai letterati e ai poeti ed io non sono né l’uno né l’altro. Per cui caro amico G. dovrai, se intendi leggere questa mia, impegnarti un poco, sempre che la cosa t’interessi. Sempre che io sia riuscito a suscitarti una qualche curiosità sulle ragioni per cui la politica, così come noi comunisti l’intendiamo, è un’attività di grande valore morale oltre che una fonte di conoscenza inesauribile. E la conoscenza, come strumento per cogliere, oltre le apparenze, la vera sostanza dei fatti e delle cose è anche un sostegno alla sopportazione della vita.
E con questo ti saluto.
P.S:
Se intendi approfondire gli argomenti trattati ti invito a leggere uno splendido libro: “L’origine dellafamiglia, della proprietà privata e dello Stato“ di Friedrich Engels. Lo trovi nella biblioteca teorica del nostro Blog, scaricabile gratuitamente.
È un libro impegnativo ma non difficile nel senso che non occorre avere particolari nozioni per capirlo.
Note:
1)“tautologia”:che dice la stessa cosa; affermazione vera per definizione, priva di valore affermativo che consiste nell’aggiunta di contenuto ripetitivi e ridondante:
Es. : ” IL cane è un quadrupede con quattro zampe”; “ I volatili volano “ ecc.
2)“Immanenza”: concetto filosofico metafisico ( antitetico alla trascendenza ) relativo a ciò che risiede nell’essere, che ha in se il proprio principio e la propria fine e, facendo parte di un soggetto, non può avere esistenza da questo separata.