PER LO SVILUPPO DEL MOVIMENTO STUDENTESCO PRO-PALESTINA

Sostenere la protesta! Contrastare repressione e intimidazione! Allargare la base di massa del movimento!

La guerra di annientamento condotta da Israele contro il popolo palestinese di Gaza suscita una reazione di rigetto tra moltissime studentesse e studenti. Troppo grande è lo scarto che ognuno avverte tra le immagini di morte, distruzione, umiliazione che si abbatte ogni giorno su una popolazione affamata, e la rappresentazione ufficiale della guerra come “diritto di difesa” di Israele. Troppo grande il contrasto tra la recita ipocrita delle preoccupazioni umanitarie per i palestinesi e la continuità dei rifornimenti militari allo Stato oppressore da parte delle cosiddette “democrazie”, a partire dagli USA. Una complicità di cui è partecipe lo Stato italiano e il suo governo.

La repulsione di tutto questo si è espressa nella protesta che attraversa le università attorno alla richiesta della cancellazione degli accordi tra Italia e Stato israeliano, e delle conseguenti collaborazioni accademiche a sfondo tecnologico-militare. Una protesta che in queste settimane si sta allargando sul piano internazionale, a partire dalle lotte nei campus degli USA. Si tratta di una protesta importante e di una rivendicazione giusta. L’industria militare italiana, a partire dal gruppo Leonardo, non solo vende armi a Israele ma finanzia ove può la ricerca scientifica indirizzandola a scopi militari. “Le università non entrano in guerra, non si schierano né da una parte né dall’altra” ha dichiarato la ministra Bernini. La verità invece è che vengono spesso coinvolte dagli interessi economici e militari dell’industria bellica. Gli stessi che i governi italiani tutelano.

Contro la protesta studentesca si è levato un coro di (finta) indignazione non solo da parte del governo Meloni, ma anche di tanta parte dell’“opposizione” liberale e della sua stampa di riferimento. Chi denunciando l’“antisemitismo”, chi addirittura evocando lo spettro del “terrorismo”. Ipocrisia pura. Il vero aiuto all’“antisemitismo” lo dà chi identifica il popolo ebraico con lo Stato sionista, la grande storia dell’ebraismo con la storia di una impresa coloniale. Quanto al “terrorismo” è il termine che descrive esattamente la pratica dei bombardamenti, dei rastrellamenti, della tortura, da parte dello Stato di Israele: una pratica che certo non inizia il 7 ottobre, ma ha accompagnato la storia secolare dell’occupazione sionista della Palestina.

Si sta cercando dunque di costruire una barriera di recinzione attorno alla protesta studentesca col metodo dell’intimidazione preventiva. Là dove non sono bastati i manganelli della polizia, come a Pisa, Firenze, Roma, si cerca di delegittimare le ragioni delle studentesse e degli studenti, attraverso una operazione volgare di demonizzazione. L’ambasciata di Israele, e la sua azione di lobby, è parte attiva di questo clima.

Si può e si deve reagire a tale operazione lavorando ad estendere la protesta studentesca, ad allargare la sua base di massa. Sinora l’azione di protesta è stata condotta da una avanguardia combattiva, preziosissima ma ancora limitata. Le sue ragioni trovano corrispondenza col sentimento filopalestinese della maggioranza dei giovani e della stessa opinione pubblica, ed è un fatto importantissimo. Ma la massa degli studenti, a parte alcune eccezioni, non è stata ancora coinvolta. Questo limite va superato.

In ogni università crediamo vadano promosse assemblee di facoltà e di interfacoltà, cercando di coinvolgere le studentesse e gli studenti in prima persona. La simpatia sinora prevalentemente passiva va trasformata in partecipazione attiva. Le assemblee studentesche possono e debbono diventare il luogo di confronto, di approfondimento, di definizione della stessa piattaforma di lotta del movimento. Ed anche di designazione, ove possibile, delle delegazioni studentesche che vanno a incontrarsi o scontrarsi coi senati accademici.

Pensiamo che i diversi soggetti organizzati oggi operanti nell’avanguardia studentesca (collettivi e associazioni) dovrebbero unire le proprie forze nel promuovere questo vero e proprio salto del movimento studentesco, in direzione dell’allargamento della sua base di massa. È ciò di cui hanno paura le classi dirigenti. La paura, non a caso più volte evocata, di “un nuovo ‘68”. La paura, insomma, che la mobilitazione pro-Palestina possa diventare quello che fu mezzo secolo fa la mobilitazione per il Vietnam. Un fattore di politicizzazione di centinaia di migliaia di giovani, e di maturazione di una pulsione anticapitalista e antimperialista più generale.

Siamo ancora molto lontani da questo. Ma crediamo si debba lavorare a questa prospettiva. La questione non è sapere se questo o quell’altro soggetto studentesco (Cambiare Rotta-PaP, FGC, o altri) farà (legittimamente) nuovi proseliti per la propria organizzazione. La questione è se si svilupperà un movimento studentesco di massa, con sue forme unitarie di autorganizzazione democratica, e una sua strutturazione unitaria nazionale. Un movimento di massa nel quale ogni organizzazione potrà sostenere il proprio punto di vista e le proprie proposte.

Per quanto ci riguarda lavoreremo in questa logica: una logica unitaria e di massa. E al tempo stesso, proprio perché interessati allo sviluppo del movimento, crediamo sia giusto presentare apertamente le nostre posizioni, le posizioni del marxismo rivoluzionario.

Lottare per estendere al massimo la mobilitazione al fianco del popolo palestinese significa avere chiaro che la liberazione della Palestina implica necessariamente la distruzione rivoluzionaria dello Stato sionista unita ad una prospettiva di estensione della rivoluzione proletaria a tutto il Medio Oriente. Solo una Palestina libera dal sionismo, una Palestina laica, una Palestina socialista, può realizzare l’autodeterminazione del popolo palestinese, a cominciare dal diritto al ritorno di milioni di palestinesi cacciati dalla propria terra fin dal 1948. Solo questa Palestina, riconoscendo i diritti nazionali della minoranza ebraica, può consentire la pacifica convivenza di arabi ed ebrei. In prospettiva storica, solo una rivoluzione socialista può liberare l’umanità e tutti i popoli oppressi dalla piaga del capitalismo e dell’imperialismo, e quindi da ogni forma di colonialismo e di guerra. Il sostegno ai palestinesi e alla loro resistenza può e deve connettersi a questa prospettiva storica di liberazione.

• Allargare la base di massa del movimento studentesco pro Palestina

• Per l’autorganizzazione democratica del movimento e una sua strutturazione nazionale

• Estendere ed unificare la mobilitazione al fianco della resistenza del popolo palestinese

• No alla repressione dello Stato: costruire strutture unitarie di autodifesa

• Per la fine dell’assedio e del massacro di Gaza, no all’invasione di Rafah

• Per la liberazione della Palestina e la distruzione rivoluzionaria dello Stato di Israele

• Per una Palestina libera, laica e socialista nell’ambito di una Federazione socialista del Medio Oriente

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