Alla riscoperta della formidabile Rivoluzione messicana (1910-1920)
[seconda e ultima parte]
di Elder Rambaldi
A fine dicembre 1914, inizio gennaio 1915, tutto il territorio nazionale era un immenso campo di battaglia. Se all’inizio, dal punto di vista militare, la situazione era completamente a favore degli eserciti contadini, man mano che il tempo passava la situazione cambiava. A cominciare dal 1915 iniziò un lungo, accidentato ed inesorabile riflusso rivoluzionario delle masse contadine, segnato certo anche da grandi ed eroiche lotte, ma più che altro sulla difensiva.
A fine gennaio 1915 Obregon riesce a riconquistare la capitale. Due mesi è durata l’occupazione contadina. L’esercito zapatista, che neanche disponeva delle sue forze migliori per fronteggiare Obregon, si ritira senza presentare particolari combattimenti, per loro la capitale è una cosa quasi estranea, con poca importanza (sic!). Viene così inoltre spezzata la continuità territoriale e militare tra villismo e zapatismo. Garza e la “nuova” Convenzione si rifugiano a Cuernavaca, in territorio zapatista.
Ma non fu solo l’aspetto militare, l’assenza di una strategia appropriata e la debolezza che ne è scaturita, a determinare una crisi sempre più crescente della direzione contadina. Anzi, le ragioni di questo riflusso rivoluzionario vanno soprattutto ricercate negli aspetti politici e sociali. La verità è che tra le masse si faceva strada la disillusione verso la Convenzione, il suo regime, e verso le direzioni contadine che, oltre a dimostrarsi scompigliate e caotiche, furono soprattutto inconcludenti, incapaci di dare risposte concrete anche alle esigenze più basilari dei contadini, a partire per esempio dall’emanazione di una legge che regolarizzasse la presa e la redistribuzione delle terre. Incapaci anche di una politica sociale in favore degli operai e dei settori urbani della città, che pur avendo simpatia per Villa e Zapata, avevano bisogno di qualche segnale concreto per stringersi realmente a loro. Niente di tutto questo. La base sociale, che non può vivere di soli ideali, si stancava e si allontanava.
Dal lato borghese invece si ha una dinamica per cui, pur conoscendo un percorso che porta a destra (prima Obregon che lascia il governo della convenzione e si riunisce a Carranza, poi l’ala giacobina della borghesia che scioglie nei fatti la convenzione e si riappacifica a Carranza ed Obregon), è Carranza a seguire Obregon, e lo stesso Obregon a soffrire della pressione dall’ala radicale della borghesia. E qui avviene il bello (si fa per dire). Il ruolo delle parti si scambia. I costituzionalisti infatti, già a partire da Veracruz (e poi nella capitale), non solo si riarmano militarmente, ma anche politicamente. Per loro è prioritario riconquistare i contadini ed i settori popolari, occorre competere con la direzione politica di Villa e Zapata (sempre più in crisi). Occorre quindi fare delle concessioni. Prima di tutto viene varato un nuovo e avanzato programma politico che sembra prefigurare una specie di dittatura bonapartista del Primer Jefe dell’esercito Costituzionalista (Carranza). Questo programma politico che guida la lotta a livello nazionale prevede importanti misure sociali in favore ai contadini, ai lavoratori ed ai settori poveri della popolazione. La borghesia si proclama e si maschera da rivoluzionaria, appella le direzioni contadine di Villa e Zapata, immobili sul piano politico, come reazionarie. L’annientamento di queste sintetizzano i nuovi fini militari.
Il 6 gennaio 1915 Carranza vara quindi finalmente la legge di riforma agraria che, smantellando l’impianto delle leggi per la creazione dei latifondi (portate avanti fin dal 1876), prevede il ritorno e la redistribuzione delle terre ai contadini attraverso meccanismi di presentazione di titoli legali ed espropriazioni verso i latifondisti porfiriani. La stessa legge intende anche sostenere la piccola proprietà privata e l’accumulazione di capitale, favorendo uno strato di contadini benestanti che possa socialmente sostenere la borghesia urbana. Dall’altro lato questa legge, attraverso cavilli e scorciatoie, favorirà anche l’arricchimento di un settore di ufficiali, funzionari e politici costituzionalisti, che formeranno una nuova classe di latifondisti e una nuova casta di “rivoluzionari”. Anzi, nella realtà ci furono pochi passi concreti nella redistribuzione delle terre ai contadini, la politica reale di Carranza (come fu quella di Madero) andrà in verso opposto. Ma questa misura, portata avanti come bandiera dai costituzionalisti, attraeva la base sociale villista: era qualcosa di significativo e di concreto, contro la nebulosa politica di Villa e del governo convenzionalsita. Più resiliente era invece la base sociale zapatista che contava già nel proprio territorio di disposizioni e garanzie più profonde, ma ne usciva più isolata e più debole senza il villismo.
Obregon (con Carranza) inoltre dispose altre importanti misure in favore dei lavoratori e dei settori poveri della popolazione, utilizzando anche organismi sindacali come intermediari sociali e caricando le spese che ne derivavano sulle spalle dei capitalisti, dei commercianti e del clero. La resistenza di questi settori a pagare il dovuto fu combattuta attraverso incarcerazioni e, in alcuni casi, fucilazioni.
Caso emblematico fu quando il governo di Carranza, intenzionato a ricevere l’appoggio del settore operaio, prese le difese degli operai elettricisti della Compagnia Telefonica e Telegrafica Messicana che erano entrati in sciopero contro l’impresa, e arrivò a decretare l’esproprio ed il controllo operaio affidato al sindacato.
Carranza, seguendo una politica nazionalista, promulgò inoltre disposizioni per controllare gli investimenti esteri e concessioni per lo sfruttamento di terre, petrolio e miniere. Gli Stati Uniti, preoccupati del corso intrapreso dai costituzionalisti, minacciarono gli stessi di ripercussioni nel caso in cui fossero stati toccati gli interessi dei propri concittadini, accusando allo stesso tempo Obregon e Carranza di anarchismo.
Le parti quindi si invertono, o almeno così sembra. Di sicuro agli occhi delle masse messicane, e agli occhi di una visione superficiale, come può esser quella di un riformista, che prescinde dal carattere di classe dei blocchi politici e dalla conoscenza dei caratteri del giacobinismo.
Del resto “la borghesia concede qualcosa solo quando ha paura di perdere tutto”. La classe operaia messicana, debole ed inesperta, invece si fece abbindolare (in maniera disonesta). Pochi giorni dopo l’atto di cessione della compagnia telefonica al sindacato, una volta ottenuta una prima fiducia da parte degli operai, il governo riuscì ad ottenere la compromissione dei sindacati della Casa del Obrero Mundial (COM) nella lotta contro il villismo. In cambio di promesse di miglioramenti alle condizioni di vita e di lavoro dei proletari, i sindacati, attraverso un patto firmato il 17 febbraio 1915, si impegnavano a reclutare ed organizzare propri battaglioni, denominati “batallones rojos” (battaglioni rossi), per incorporarli nell’esercito costituzionalista e combattere l’esercito di Villa.
Per concentrare le forze nella campagna militare contro il villismo, il 10 marzo 1915 Obregon decise di evacuare con le sue truppe Città del Messico, che venne ripresa il giorno dopo dall’esercito zapatista. Era l’unica possibilità per intraprendere l’inseguimento di Villa verso il centro del paese e presentargli lì battaglia in condizioni non sfavorevoli. Era un calcolo ben misurato, ma certo non privo di rischi. Obregon immaginava infatti, come fu nella realtà, che gli zapatisti non se ne sarebbero fatti nulla della capitale, e sapeva che la forza della Division del Norte era in declino. L’esercito Villista aveva ancora possibilità di recuperare, se fosse andato a prendersi Tampico e la regione petrolifera, se si fosse fatta forte nel Nord e successivamente si fosse scontrata ad Obregon. Era quello che proponeva Angeles, ma ancora una volta Villa non gli diede credito e decise di andare direttamente incontro all’esercito di Obregon per sconfiggerlo. Di fronte all’avanzata di quest’ultimo Villa non poteva pensare di abbandonare i suoi contadini, non concepiva la tattica, ma solo sentimenti di solidarietà ed orgoglio.
Lo scontro tra Villa ed Obregon si consumò quindi in quattro grandi e spettacolari battaglie decisive, tra il 6 aprile ed il 10 luglio 1915. Battaglie tutte perse da Villa. Il 10 luglio ad Aguascalientes infatti fu definitivamente sconfitta la gloriosa Division del Norte, da qui in poi in continua ritirata verso nord (Chihuahua) ed in dissoluzione.
L’11 luglio i costituzionalisti (con le truppe di Pablo Gonzales) ripresero Città del Messico mentre gli zapatisti abbandonarono la capitale senza presentare combattimenti. Le forze di Obregon prendono man mano possesso delle zone del centro e del Nord del paese. Ormai la guerra contadina, sia al nord che al sud, tornava alle sue forme regionali.
Il governo della Convenzione era sempre più debole, attraversato anche da crisi interne. Dopo una fase di scontro tra il presidente Garza (villista) ed il segretario all’agricoltura Manuel Palafox (zapatista), nel giugno del 1915 la Convenzione decise di nominare nuovo presidente Francisco Lagos Chazaro (villista). Ma il 10 ottobre la Convenzione, spostatasi a Toluca, si divise definitivamente: i villisti a nord ed gli zapatisti a sud, con Palafox e gli zapatisti che cercavano di mantenere un’apparenza di un governo nazionale legittimo, fittizio.
Il 19 ottobre 1915 gli Stati Uniti riconoscerono il governo di Carranza e per il 31 dicembre 1915 tutte le città stavano sotto il potere dell’esercito costituzionalista. La Division del Norte, oltretutto progressivamente attraversata da molteplici diserzioni, a questo punto non esisteva più, almeno come corpo regolare.
Proprio a seguito del riconoscimento del governo di Carranza da parte degli Stati Uniti, della disillusione e del risentimento sorti in Villa dopo aver capito la reale politica degli Usa che favorì anche militarmente Obregon nella battaglia contro la Division del Norte (ed aveva anche usato Villa strumentalmente in funzione dell’indebolimento degli “anarchici” Carranza ed Obregon), il 9 marzo 1916 Villa decide di guidare più di 500 uomini oltre le frontiere del Messico attaccando e mettendo a ferro e fuoco il villaggio statunitense di Columbus (Nuovo Mexico), rientrando dopo poche ore in territorio Messicano. Nell’attacco che rase al suolo l’intero villaggio, e che rappresenta la prima e ad oggi l’unica “invasione” operata negli Stati Uniti, morirono 19 statunitensi e più di cento messicani.
Nella testa di Villa c’era la convinzione che Carranza stesse tramando con gli USA, prima dell’attacco infatti scrisse una lettera a Zapata invitandolo ad unirsi alla battaglia. Si vede ancora una volta qui l’ingenuità di Pancho Villa.
La risposta degli Stati Uniti non si fece attendere. Il 15 marzo 1916 iniziò la cosiddetta “spedizione punitiva” con 12.000 soldati che entrarono in Messico per inseguire e castigare Villa. La missione statunitense non riuscì a sortire gli obiettivi prefissati, si ritrovò invece impantanata, a fare i conti sia con la resistenza popolare sia con le truppe regolari messicane mandate da Carranza, che si oppose fin dal primo momento all’ingresso di truppe straniere. L’invasione statunitense che aveva pure ridato forza al contingente di Villa, cresciuto di numero, terminò in ritirata dopo quasi un anno dal suo inizio, quando gli USA si apprestavano ad entrare nella prima guerra mondiale.
Se il governo carranzista non perse tempo nel lanciare la lotta militare contro il villismo, nei confronti dello zapatismo dovette ritardare l’attacco e limitarsi verso questo ad azioni di contenimento. Un attacco combinato non era tra le possibilità dell’esercito di Carranza e d’altro canto lo zapatismo, autoconfinato nel Morelos, non preoccupava più di tanto militarmente. Non rappresentava la priorità.
Anche per questo i contadini del Sud poterono per un certo tempo godere delle loro conquiste e sviluppare nuove misure in un sistema che andava a prefigurare una Comune contadina. Un capitolo poco conosciuto (venuto alla luce nel 1969 grazie alle ricerche e agli studi John Womack).
Il Morelos infatti faceva eccezione, non seguiva l’ondata di riflusso rivoluzionario che si conosceva su scala nazionale dal dicembre 1914. Qui ufficialmente era ancora il governo della Convenzione a controllare il territorio e ad avere giurisdizione, ma ancor di più c’era il controllo diretto degli zapatisti, dei contadini in armi. Il loro uomo politico di spicco e referente era il generale zapatista Manuel Palafox, segretario all’agricoltura dello stesso governo della Convenzione, fin dalla presidenza di Eulalio Gutierrez. Rappresentava l’ala sinistra del governo ma anche l’ala sinistra dello zapatismo. Nello stato maggiore zapatista infatti erano presenti tre tendenze: oltre a quella di sinistra rappresentata da Palafox (socialisteggiante), c’era quella di centro rappresentata da Antonio Diaz Soto y Gama (che pensava di poter influenzare la lotta interna del carranzismo) e quella di destra rappresentata da Gilardo Magaña (filo conciliatore). In quest’epoca (1914 e 1915), l’epoca che coincide con la tappa di maggior espansione e sviluppo degli zapatisti, era Palafox, in alleanza con Soto y Gama, ad avere il sostegno dei contadini zapatisti, e di riflesso il sostegno di Zapata.
I contadini del Morelos al principio della rivoluzione si erano mobilitati per veder riconosciuti i propri diritti legali di proprietà sulle terre. Nella lotta, armi in mano e padroni di sé stessi, acquisirono coscienza e misero in discussione l’intero sistema. Non solo furono capaci di applicare nella realtà, nel Morelos, il Plan de Ayala (liquidando i latifondisti), ma si spinsero addirittura oltre. Vennero liquidati i latifondi, la distribuzione delle terre fu fatto mediante commissioni agrarie (composte da giovani agronomi volontari). Nei casi di terreni in disputa, per arrivare alla risoluzione della contesa, la prassi prevedeva la discussione collettiva con i villaggi. Si espropriarono i beni dei nemici della rivoluzione (latifondisti, capitalsiti e clero), si nazionalizzarono, senza indennizzo, le raffinerie e le distillerie, e vennero poste sotto l’amministrazione di capi zapatisti. I profitti erano consegnati al quartier generale zapatista che li impegnava in spese di guerra ed indennizzi alle vedove dei soldati caduti. L’unica proprietà privata che rimase fu quella dei piccoli commercianti e dei piccoli contadini. Fin dall’inizio furono soppressi l’esercito regolare (con le sue caserme), la polizia, i funzionari ed il governatore. Fu cioè distrutto l’apparato del potere borghese, rimpiazzato dai contadini in armi organizzati militarmente sulla base dei luoghi di lavoro. L’Esercito Libertador del Sur, per ragioni di guerra, stabilì una serie di disposizioni riguardo rifornimenti, condotta delle truppe, comunicazioni, igiene, educazione. Il potere politico passò dalle haciendas alle municipalità dei villaggi, dove gli abitanti eleggevano i propri rappresentanti, senza la presenza di latifondisti e dei loro uomini politici. Ad imporsi fu l’autogoverno del popolo, con assemblee periodiche ed incarichi revocabili, mentre il governo della Convenzione era solo formalità. Il potere centrale si trovava nel quartier generale zapatista (che copriva non solo funzioni militari, ma anche politiche), una grande concentrazione e centralizzazione di potere affidata al segretario dell’Agricoltura, nel caso concreto a Manuel Palafox, plasmando così una dittatura rivoluzionaria. A tutto questo ci si arrivò in maniera “naturale”, grazie ai contadini e alla loro forza, alla loro esperienza di lotta e alla loro tradizione comunitaria, organizzati sotto una direzione indipendente dalla borghesia. Il potere e lo stato che si è costruito in Morelos si può definire come una Comune contadina (distinta dalla Comune operaia di Parigi) o una Repubblica contadina. Un caso più unico che raro nell’epoca dell’imperialismo, dovuto dalla parentesi di tolleranza militare del carranzismo e dalle peculiarità della rivoluzione messicana.
Come scrive Gilly: «se l’ala radicale del convenzionalismo (…) a fine del 1916, si chiamarono loro stessi giacobini – e lo erano – i capi zapatisti radicalisti con tutta ragione potevano essersi chiamati ‘gli eugali’ (gli eguali di Babeuf). Con la differenza che quelli del Morelos non erano un gruppo di cospiratori nel riflusso della rivoluzione francese bensì i dirigenti di una rivoluzione contadina convertita in potere locale».
Zapata non si prefiggeva di distruggere il regime capitalista. Non ne aveva coscienza. Infatti le idee e le misure originali del Plan de Ayala, per quanto radicali e rivoluzionarie fossero, erano comunque ancorate ad un contesto di regime giuridico democratico borghese e capitalista (a base piccolo borghese giacobina). E’ nel Morelos invece che, partendo dall’esperienza contadina, da vecchie concezioni precapitaliste e comunitarie, lo zapatismo arrivò, in maniera empirica quindi, a stabilire un regime rivoluzionario anticapitalsita e socialisteggiante. In tutto questo il ruolo del proletariato delle raffinerie di zucchero fu molto importante, se non decisivo, per arrivare a livelli di centralizzazione ed organizzazione della vita politica e sociale (e della lotta) nello stato del Morelos.
Ma non bastava. Nel Morelos c’era sì un potere contadino, ma era un potere a livello locale, territoriale, quindi limitato e temporaneo. Mancava la prospettiva di un altro potere nazionale, mancava la coscienza di risolvere la questione fondamentale della natura del potere, cioè il potere degli operai in alleanza con i contadini. Perché il materialismo storico ha insegnato che la soluzione è statale e nazionale, e non locale o particolare. Nel processo storico si impone la superiorità della città sulla campagna, è qui che vengono decise le sorti della rivoluzione. Il proletariato, per propria natura, è l’unico soggetto sociale in grado di poter saldare la rivoluzione, non il contadino con i propri costumi e inclinazioni da piccolo proprietario. Come diceva Lenin: “Se i contadini non seguono gli operai, marciano a rimorchio della borghesia. Non c’è e non può esserci un termine medio”. La temporanea indipendenza dei contadini e dei loro dirigenti in Morelos stava per terminare, in parallelo al termine dell’ascesa rivoluzionaria. Un bivio li attendeva: o come sfruttati stare dalla parte del proletariato e del socialismo o come proprietari (o aspiranti proprietari) stare dalla parte della borghesia e del capitalismo. Ed il proletariato, come detto, era assente.
Una volta sconfitta la Division del Norte, alla fine del 1915, le forze del governo Carranzista virarono nella lotta contro gli zapatisti nel Morelos e nella reazione verso il movimento operaio, sancendo, agli inizi del 1916, la rottura dell’alleanza che era sorta un anno prima. La borghesia ora non aveva più bisogno del sostegno degli operai, passava così alla repressione verso la sua avanguardia che, attraverso i sindacati, aveva intrapreso diverse lotte e scioperi in risposta alla crescente crisi economica. Furono sciolti i “battallones rojos” e furono incarcerati diversi dirigenti della COM, dominata dalla corrente anarco sindacale.
Il 31 luglio 1916 i sindacati proclamano lo sciopero generale, a guidarlo sono proprio gli elettricisti della compagnia di telecomunicazioni, gli stessi che l’anno prima si opposero alla creazione dei battallones rojos, nonostante proprio loro avessero ottenuto una delle maggiori concessioni, ma frutto anche della loro stessa lotta. Questi lasciano al buio l’intera capitale. Allo sciopero, che durò tre giorni, il governo risponde violentemente: viene impiegato l’esercito che assalta le assemblee ed i locali dei sindacati, le riunioni vengono sciolte con la forza, viene decretata la legge marziale e la pena di morte per gli scioperanti. Il dirigente della lotta Ernesto Velasco fu effettivamente condannato a morte (poi rimesso in libertà nel febbraio 1918). Lo sciopero venne sconfitto, la COM si dissolse. Il movimento operaio aveva intrapreso l’offensiva quando era isolato, quando il movimento contadino era ormai in riflusso.
Se Carranza conduceva la repressione verso il movimento operaio, Obregon (suo ministro di guerra) giocava il ruolo di conciliatore, di dissuasore. Obregon infatti continuava a mantenere un ruolo non organico a Carranza, facendo una propria politica e cercando l’appoggio nei dirigenti operai. Insomma, rappresentava un riformismo di sinistra.
La campagna militare contro lo zapatismo non fu di breve durata come fu quella contro il villismo (8 mesi), ma lunga e costosa. Sia per la resistenza dello zapatismo basata sulla guerra di guerriglia, sia per sua la forza derivante dalla profondità del radicamento sociale tra i contadini in tutto il Morelos. A condurre l’offensiva non fu l’abile generale Obregon che evitò oculatamente di intervenire in quello scenario per non stabilizzare i propri equilibri, il proprio ruolo, dentro il campo radicale del costituzionalismo, il quale propendeva più per soluzioni negoziali con gli zapatisti. A capo delle operazioni fu posto il mediocre, e sicuramente più reazionario e sanguinario, generale Pablo Gonzales, con circa 30.000 uomini.
Il 29 aprile 1916 quindi la capitale del Morelos, Cuernavaca, fu circondata dalle truppe costituzionaliste e la città fu presa un paio di giorni dopo. Stessa sorte toccò a molti altri villaggi della zona nei giorni successivi, tanto che per metà di giugno la gran parte di questi era sotto il controllo governativo. I combattenti zapatisti dovettero riparare sulle montagne, ma con l’intento di riorganizzare la resistenza. La repressione, condotta dalle truppe di Gonzales, si contraddistinse per i suoi metodi sanguinari e repressivi, che ricordavano quelli del vecchio esercito federale: saccheggi, incendi di interi villaggi, incarcerazioni, deportazioni, fucilazioni, assassini, indistintamente per combattenti e civili. La nuova amministrazione militare annullò tutte le conquiste dei contadini, inclusa la suddivisione delle terre fatta dalle commissioni agrarie e dagli stessi villaggi, annunciando allo stesso tempo che si sarebbero realizzate suddivisioni differenti sulla base della legge agraria carranzista del gennaio 1915. Gonzales dichiarò quindi conclusa la campagna militare, pensando di aver dominato definitivamente il Morelos.
Ma il generale carranzista si sbagliava, di grosso. I guerriglieri zapatisti si riorganizzarono, dal settembre del 1916 riscesero nei villaggi per combattere, trovando le masse contadine fermamente dalla loro parte. La nuova strutturazione attraverso piccoli distaccamenti guerriglieri (100-200 contadini armati) riusciva ad infliggere duri colpi all’esercito carranzista. I contadini rispondevano sempre più al terrore di Gonzales che man mano prendeva coscienza di non aver più il controllo della regione. Nel dicembre 1916, 8 mesi dopo l’inizio dell’occupazione del Morelos, le truppe costituzionaliste si ritrovarono demoralizzate e disgregate, non restava che procedere al ritiro. Cuernavaca fu riconquistata dagli zapatisti nel gennaio 1917.
Ma per gli zapatisti non si trattava di una nuova fase di avanzata, ma semplicemente uno stallo dove prender fiato. Durante la lotta contro l’esercito borghese invasore si conobbe infatti una nuova selezione, nuove defezioni, tra i dirigenti zapatisti. In questa fase di resistenza, combinata al declino della rivoluzione sul piano nazionale, la tendenza di sinistra di Palafox retrocesse definitivamente, lasciando dominare la tendenza centrista di Soto y Gama.
Agli inizi di marzo 1917 invece, prendendo atto che la Convenzione era solo finzione e che ormai era defunta (l’ultimo suo documento, per altro politicamente arretrato e marginale, risale al 16 aprile 1916), si decise di decretarne formalmente la fine e affidare il governo centrale dello stato del Morelos al quartiere generale zapatista, ma nella realtà il governo effettivo rimase in mano ai municipi.
Gli zapatisti non erano ancora sconfitti, il Morelos era l’unica regione fuori dal controllo dei costituzionalisti, ma per sancire la vittoria della rivoluzione, cedendo anche alle pressioni dell’ala radicale del costituzionalismo che voleva vedere messe per scritto le promesse fatte durante il corso della lotta, Carranza convoca per novembre 1916 un Congresso Costituente, con lo specifico compito di riformare la Costituzione del 1857. Le elezioni, in quel contesto, non furono pienamente democratiche. I delegati eletti furono di fatto rappresentanti dell’esercito e del governo costituzionalista, nelle sue diverse tendenze. Tra i 200 deputati solo 3 venivano dal movimento sindacale e nessun rappresentante proveniva dallo stato del Morelos. L’assemblea si trova di fatto divisa tra due tendenze, quella conservatrice con a capo Carranza e quella progressista o radicale giacobina guidata da Francisco Jose Mugica e Salvador Alvarado (diventati nel frattempo governatori rispettivamente dello stato dello Yucatan e di Tabasco). I primi volevano una semplice modifica superficiale della Costituzione, più che altro negli aspetti amministrativi. I secondi volevano una revisione profonda della stessa, che introducesse profonde riforme politiche e sociali nella struttura giuridica del paese.
Ad avere la maggioranza dell’assemblea era l’ala radicale giacobina, che attraeva a sé anche il composito settore centrista e lo stesso Obregon, che tra le due fronde preferiva appoggiare quella più radicale piuttosto che quella di Carranza. Era cosciente che era necessario fare delle concessioni, per evitare un possibile ritorno di fiamma della guerra contadina, dove Zapata e Villa potevano riprendere una certa influenza, soprattutto dopo la politica repressiva di Carranza durante tutto il 1916.
La nuova Costituzione, approvata il 31 gennaio 1917, si ergeva come la più avanzata al mondo. Non era una costituzione socialista, il quadro del diritto borghese e della proprietà privata erano garantiti, ma dichiarava praticamente incostituzionali i latifondisti, decretava diritti sociali avanzati, favoriva e stimolava riforme nazionalizzatrici nei rami fondamentali dell’economia, prevedeva forti restrizioni alla Chiesa.
Tutto questo era il risultato di 6 anni di guerra contadina (che includeva l’esperienza della Comune contadina del Morelos), che trasformò profondamente la struttura e la coscienza del paese, il punto di arrivo, sul piano legale, della prima rivoluzione nazionalista vittoriosa in America latina.
Sia gli Stati Uniti sia Carranza si scagliarono subito contro questa costituzione. Quest’ultimo si attivò per depurarla, per non applicarla. Si sa, sono infine le reali relazioni di forza tra classi antagoniste che determinano la possibilità della vera applicazione delle conquiste sociali, e ci sarà da aspettare ancora del tempo perché le conquiste sancite nel 1917 si traducessero nella realtà, a dimostrazione anche che in una nazione dipendente nessuna promessa democratica si può compiere sotto il governo della borghesia nazionale.
Fu anche la vittoria dei giacobini nella costituente ad aver favorito la ritirata di Gonzales dal Morelos, non esclusivamente la controffensiva zapatista. Ma quello che non poté fare l’esercito costituzionalista lo fece l’isolamento politico del movimento che portò ad una crisi interna dirompente nella direzione zapatista (Otilio Montano fu condannato a morte per tradimento, Manuel Palafox fu espulso per condotta omosessuale), nonostante quest’ultima potesse contare del continuo ed instancabile appoggio dei contadini. La stessa linea politica dello zapatismo subiva un cambiamento, dal 1918 scompare pian piano dai documenti del movimento ogni riferimento al Plan de Ayala, è il segnale della sua morte politica.
A fine 1918 l’influenza spagnola, che causa nel Morelos una vera strage tra la popolazione, precede il ritorno delle truppe (11.000 soldati) di Pablo Gonzales in una nuova offensiva. Sembra ripetersi la dinamica dell’invasione del 1916: i centri abitati vengono conquistati dalle forze costituzionaliste, mentre i guerriglieri zapatisti riparano nuovamente sulle montagne. Ma questa volta i rivoluzionari non riuscirono a riorganizzarsi e rispondere. La direzione zapatista conosce anzi (in conseguenza) una nuova svolta verso destra, indirizzandosi verso la ricerca di un avvicinamento, se non un approdo, all’obregonismo. E’ Gilardo Magaña ora ad aver guadagnato maggior influenza nella direzione, condizionando ed orientando il movimento e lo stesso Zapata, che nel febbraio 1919, nei propri documenti, investiva come capo supremo della rivoluzione un intellettuale liberale ex maderista e amico di Villa (in esilio negli Stati Uniti), Francisco Vázquez Gómez, avvallando inoltre l’impresa privata in tutta l’attività economica (industria, commercio, petrolio..) e rivendicando terre per la piccola proprietà individuale.
La morte politica del movimento era evidente. Il 10 aprile 1919 arrivò anche la morte del suo storico condottiero, il caudillo del Sud, l’Attila del Sud, Emiliano Zapata. Abbassando la guardia, in una disperata ricerca di nuovi alleati, venne tratto in un’imboscata e fucilato. I contadini del Sud avevano perso così la loro stella polare, si interrompeva la loro rivoluzione. La Comune contadina del Morelos non fu affossata in un sol colpo, ma cessò di esistere gradualmente.
Il 4 settembre 1919, dopo una breve fase di contesa nella direzione zapatista, Gilardo Magaña viene ufficialmente eletto dagli stessi capi come “successore di Zapata”. Anche se la base contadina non pensava di sostituirlo al suo vecchio leader, su di lui ricadde l’eredità dello zapatismo, o meglio di quel che ne restava. Continua così, attraverso trattative, il processo di avvicinamento al campo costituzionalista e l’integrazione al potere statale, fino a quando il 28 novembre 1919 Magaña accorda con Carranza la resa definitiva del movimento, in cambio di alcune garanzie per i suoi dirigenti. Una volta sconfitto lo zapatismo il governo carranzista agiva nel Morelos riconsegnando le vecchie haciendes ai vecchi proprietari porfiriani, stessa sorte anche per gli stabilimenti di raffineria dello zucchero.
A Nord le città erano tutte sotto il controllo governativo. Il villismo, dopo il ritiro della “spedizione punitiva” aveva continuato a perseguire un guerra di guerriglia nelle zone di montagna. Pancho Villa era isolato, più debole che mai e soprattutto senza programma.
Ma se l’opposizione contadina era pressoché annichilita, i problemi cominciarono a sorgere nel fronte interno della borghesia. Carranza certo contrastava le attitudini offensive degli Stati Uniti ma nel lato interno agiva in contraddizione e contro i principi usciti dalla Costituzione del 1917, in un orientamento restauratore e di apertura verso i vecchi possidenti porfiristi. Per questo lo scontento tra il settore radicale dei militari del nuovo regime si faceva sempre più manifesto, fino al punto di scoppiare in occasione della proposta di Carranza, a metà del 1919, di investire come suo successore alla presidenza, (candidato ufficiale), una figura aliena alla rivoluzione: l’ingegnere Ignacio Bonillas. A questo punto Alvaro Obregon, che nel 1917 si era ritirato a vita privata, rientra come protagonista nella scena per lanciare la sua candidatura alternativa, sostenuta da tutto il settore politico e sociale scontento del corso carranzista. Obregon prima strinse un’alleanza con la Confederazione Regionale Obrera Mexicana (CROM) (primo sindacato a carattere nazionale nato sulle ceneri della COM) e con il Partido Laborista Mexicano (nato nel 1919 dalla CROM e dal suo leader Morones), poi fece un’alleanza anche con Gilardo Magaña per avere l’appoggio degli zapatisti, in cambio di promesse su trattamenti personali e su future suddivisioni di terre per i contadini. Gli zapatisti, incluso Antonio Diaz Soto y Gama (che il 13 giugno 1920 fonda il Partido Nacional Agrarista, in sostegno a Obregon) si integrarono così completamente all’obregonismo.
Il 23 aprile 1920 Obregon lancia il suo Plan de Agua Prieta, dove dichiara di voler destituire con la lotta armata Carranza e nominare presidente provvisorio Adolfo de la Huierta (governatore di Sonora) prima di nuove elezioni. Carranza era isolato politicamente e militarmente. A metà di aprile la ribellione era già imperante, varie autorità civili e militari degli stati regionali procedevano a disconoscere Carranza. La lotta fu definitivamente vinta il 9 maggio 1920 quando Obregon, sconfiggendo con le sue truppe l’esercito costituzinoalista, entrò a Città del Messico, con Genovevo de la O (e gli zapatisti) al suo fianco. Carranza, in fuga, fu assassinato il 21 maggio nelle montagne di Puebla da suoi ex uomini di fiducia.
Pochi giorni dopo Adolfo de la Huerta venne eletto presidente provvisorio dallo stesso congresso in carica (che appoggiava Obregon fin prima della caduta di Carranza). Fu lui a questo punto a cercare la resa delle ultime forze contadine ribelli, quelle di Villa. Se in un primo momento Villa rifiutò qualsiasi accordo, continuando assieme a pochi altri una guerriglia isolata e periferica senza indirizzo, alla fine il 28 luglio 1920 si accordò con il governo per la resa e la deposizione delle armi, sua e dei suoi compagni. Villa, il Centauro del Nord, così si ritirava a vita privata, il governo in cambio gli concedeva una hacienda nello stato di Durango ed una scorta personale formata da 50 uomini (dipendente dal ministero di guerra). La sua “pensione” durò appena tre anni, il 20 luglio 1923 morì sotto una raffica di spari, caduto in un’imboscata (si pensa organizzata da un proprietario terriero o addirittura dallo stato maggiore obregonista) durante uno spostamento con l’auto.
Il 5 settembre 1920 le elezioni presidenziali, senza sorprese, confermarono la vittoria di Obregon. In discontinuità con i precedenti, il regime obregonista si impose seguendo la postura già conosciuta del leader, cercando cioè di sviluppare una nuova borghesia appoggiandosi sul consenso delle masse operaie e contadine a cui offriva concessioni. Le organizzazioni sindacali, attraverso la loro burocrazia, giocavano un ruolo centrale per la saldatura del regime, incorporandosi sempre più organicamente allo stato. Inoltre, assieme ad una enorme concentrazione del potere presidenzialista, l’esercito assumeva una funzione politica. Tutte queste caratteristiche costituirono le basi su cui i successivi governi borghesi (piccolo borghesi) messicani si modellarono. Quello di Obregon era ancora una bonapartismo politicamente moderato (del resto lui era un centrista, non un giacobino). Gli antichi possidenti per esempio erano sì esclusi dal potere, ma le loro proprietà, nella loro maggioranza, non furono intaccate. Le esperienze che si conosceranno successivamente, soprattutto con l’ascesa al potere dell’ala giacobina dei giovani ufficiali del carranzismo, cioè con Lazaro Cardenas presidente (1934-1949) in simbiosi con con il suo mentore Francisco Mugica, avevano equilibri spostati più a sinistra e furono in grado questa volta di tradurre in realtà la Costituzione del 1917 e di emanare misure radicali. Trotsky definirà questo regime come bonapartismo sui generis (alcuni marxisti rivoluzionari ci aggiungono “di sinistra”), certo non erano dittature rivoluzionarie piccolo borghesi / giacobine avanzate. Proprio Cardenas ospitò Trotsky in Messico nel 1937 (allora esiliato).
La borghesia continuava negli anni a parlare in nome della rivoluzione, quella fatta dai contadini. Se l’inizio della Rivoluzione messicana è universalmente conclamato nella data del 20 novembre 1910, con l’appello all’insurrezione armata di Francisco Madero contro il regime di Porfirio Diaz, la data della sua fine, da un punto di vista di classe, si deve fissare nel 28 luglio 1920, con l’arresa di Villa. Contro altre visioni della storiografia che la fanno terminare nel momento dell’emanazione della nuova costituzione (5 febbraio 1917) o nella data dell’uccisione di Carranza (21 maggio 1920), nascondendo la discontinuità tra la rivoluzione contadina e quella borghese, nascondendo il ruolo antirivoluzionario, dal punto di vista della dinamica anticapitalista, del costituzionalismo e della sua ala giacobina che schiacciò villisti e zapatisti.
Bibliografia:
La revolución interrumpida, Adolfo Gilly, Ediciones Era, 1994
Messico rivoluzionario, da Zapata al Chiapas, Alessandro Aruffo, Massari Editore, 2002
La revolución, l’avventurosa storia della rivoluzione messicana, Emanuele Bettini, Hobby & Work, 2006
Apuntes para una interpretaciòn de la revoluciòn mexicana, Martin Juarez (Estrategia Internacional n.24, 2007)
La revolución Mexicana – Ivan Hirsch (Prensa Obrera, 2020)
Qué ha sido y adónde va la revolución mexicana, Octavio Fernandez, in Clave n.3-4, 1939
Dentro e fuori la Storia: le soldaderas della Rivoluzione Messicana, Camilla Cattarulla, in Confluenze, rivista di studi iberoamericani, vol.8, n.1