L’emergenza di un sistema fallito
Al momento in cui scriviamo l’emergenza è in pieno svolgimento. Tra le province di Forlì-Cesena e Ravenna i morti sembrano essere 8, oltre a diversi dispersi. Migliaia le persone evacuate, tra cui anche nostri compagni, a causa dell’esondazione del Savio e del Montone. In ampie zone manca la corrente e non funziona la rete di telefonia mobile. Nelle zone collinari molte frazioni sono isolate per frane e smottamenti.
Impossibile per ora quantificare i danni, le immagini che giungono dai canali di informazione sono sconfortanti, i soccorritori lavorano senza sosta. Questo è il copione già visto in tante altre regioni italiane che ora colpisce il nostro territorio.
I sindaci di ogni parte politica e colore indaffarati con il cellulare in mano, ministri che sorvolano il mosaico marrone di fango e tetti, chiacchiere a volontà sui social, di gente che si cerca e si informa, e si arrabbia. Gente che non sa da dove passare per andare al lavoro, perché il padrone la fabbrica non l’ha voluta chiudere. Nemmeno davanti a questo.
Adesso la priorità è evitare altri morti e prestare soccorso. Non possiamo che invitare lavoratori e lavoratrici a non uscire per andare a lavorare, a rifiutarsi di lavorare in condizioni di insicurezza, a proteggersi a ogni costo, che il portafoglio del padrone aumenta lo stesso tutti i giorni.
Per noi, questa ennesima tragedia non può essere vista in altro modo che un fallimento di un sistema, il sistema capitalistico.
Fino a poco tempo fa a Forlì il dibattito pubblico verteva su un paio di temi principali: da un lato di come fare per rendere la città un’attrazione turistica, dall’altro dell’ennesimo mega-mercato da costruire in zona periferica. Dell’ennesima cementificazione selvaggia. Di un ristorante sushi da trecento coperti, di un nuovo McDonald’s e di chissà quante altre mostruosità fra parcheggi, appartamenti e allegati vari, una operazione che vede alleati il mega-commercio, l’edilizia, la speculazione fondiaria e le banche, nell’estremo e disperato tentativo di moltiplicare i capitali da spartire.
La natura ci ricorda quanto il capitalismo sia miope. Non vede più in là del proprio profitto.
Gli alvei dei fiumi, gli argini e i fossi del territorio sono da tanto tempo carenti di manutenzione e controlli. Di prevenzione neanche l’ombra, o quando c’è è del tutto insufficiente. “Non ci sono i soldi” ci hanno sempre ripetuto gli amministratori di ogni parte politica e colore, e il personale degli enti preposti è insufficiente. Tanto per allargare il discorso, è drammatico notare che la parte del PNRR dedicata al risanamento ambientale è una presa in giro, più o meno come l’aumento dei salari di Renzi e Meloni.
Per i banchieri, i soldi devono rendere rapidamente.
Per i costruttori è più redditizio riversare nel terreno montagne di materie prime, invece di dedicarsi al governo del bene più prezioso e insostituibile, l’ambiente naturale.
Per i gruppi commerciali l’importante è vendere.
E per i politici, al loro servizio, l’importante e fare “sistema”, per rilanciare lo sviluppo dell’economia.
Cosa c’entra in tutto questo la maggior parte della popolazione? Coloro che vivono del proprio lavoro e che non sono responsabili di questa catastrofe? Niente! Mettendo un segno su una scheda ogni tanto non decidono nulla, ma i disastri li pagano loro.
I disastri li paghiamo noi.
Tra pochi giorni, quelli necessari per il lutto di facciata, torneremo a sorbirci la retorica della maschia unità contro le avversità di una natura matrigna, del “ce la faremo”, del “volemose bene”, della “Romagna che torna a essere terra di turismo” e le varie narrazioni che puntano a farci credere di essere tutti ugualmente vittime e ovviamente nessuno responsabile.
Invece i responsabili ci sono, hanno nomi e cognomi, ma soprattutto una professione. Quella degli sfruttatori: dei lavoratori, della natura, del territorio, delle risorse.
Quello che succede qui, in Romagna, ha un legame profondissimo con quello che succede in ogni altra parte del mondo, dove gli eventi meteorologici straordinari si susseguono alimentati da un cambiamento climatico fuori controllo.
Dal fango nello scantinato di casa, alla deforestazione amazzonica, una crisi globale non può che richiedere una soluzione globale, un rovesciamento radicale di un sistema che è il diretto mandante, esecutore e becchino di questa ennesima crisi.
Il capitalismo è fallito. E questo fatto non può più essere ignorato, per quanto vogliano farcelo credere da anni, con ogni sorta di menzogna. Solo una riorganizzazione ecosocialista della società può mettere gli interessi dei molti davanti a quelli dei (soliti) pochi, una rivoluzione che metta gli esseri viventi, umani e non, e l’ambiente davanti al profitto.