La realtà della negazione e la negazione della realtà – Una sintesi
A cura di Falaghiste
Questo scritto è la sintesi di un testo (pubblicato il 27/12/2021 sul sito-Info-Aut- informazioni di parte-) con inserimenti di alcune mie considerazioni e modifiche. Preciso che il paragrafo finale, il primo paragrafo e parte del secondo sono di mia penna e che ho cambiato l’ordine dei paragrafi. Mentre le modifiche minori non ho ritenuto opportuno evidenziarle, nella convinzione che gli autori e i traduttori, dato che l’originale era scritto in greco, non mi esporranno al pubblico ludibrio. In verità il testo originale era molto più lungo e approfondito, oltre che già rielaborato per essere fruibile ai lettori italiani. Insomma, mi sono permesso di partecipare a un lavoro collettivo, in maniera marginale e riduttiva, ma forse rendendolo meno impegnativo. Aggiungo infine che il titolo originale era molto significativo, per cui ho deciso di riproporlo tale e quale.
Presentazione
La realtà della negazione e la negazione della realtà
Tempo fa, nel corso di una accalorata discussione sulla pandemia, un compagno storicamente ostile ai vaccini mi accusò, in quanto favorevole alla vaccinazione, di essere complice dello stato e del capitalismo. Gli risposi, ironicamente, che anche la sinistra no-vax non era in buona compagnia, data la presenza consistente dei fascisti nelle mobilitazioni contro i vaccini. Lui ribatté che ciò era già accaduto in passato, alludendo al referendum per l’introduzione del sistema elettorale maggioritario, in cui la sinistra radicale e la destra estrema si erano schierati contro. Non aveva capito che le motivazioni erano opposte e contrarie: per noi il maggioritario rappresentava un restringimento degli spazi di agibilità politica del movimento operaio, mentre per la destra, che allora raccoglieva pochi voti, significava l’espulsione dal Parlamento. Ovviamente, dopo che le destre si unificarono nel Polo della libertà, l’estrema destra si convertì al sistema maggioritario.
Ecco, che cosa è l’estremismo: una malattia infantile del comunismo e dell’antagonismo libertario, che si esprime nell’incapacità di vedere oltre le apparenze, nel non saper distinguere, fra opportunismo reazionario e lotta per l’emancipazione, anche, quando possibile, all’interno delle istituzioni borghesi. Sicché, capita di trovare sul Web documenti, emanati da non meglio precisate assemblee militanti, che dispensano una stravagante sequela di banalità, essenzialmente senza contenuto e ripetute fino alla nausea: lo Stato è un apparato mostruoso, le classi dirigenti hanno degli interessi, la tecnologia non è neutrale eccetera. Tali modalità di pensiero sono dotate di un automatismo a prova di errore, che traduce ogni critica nei loro confronti in una conferma della loro “verità”: di come siano presi di mira, vilipesi e messi a tacere per essersi opposti allo spirito dei tempi. La mancanza di logica emerge come strada diretta verso il martirio barricadero dell’individuo perennemente in balia di forze oggettive, e di fatto incapace persino di costruire un’apparenza di esistenza collettiva al di là dell’illusoria aggregazione di individualità. La libertà individuale non riesce a sfidare il quadro fondante della sua impotenza, estromettendo anche ogni obbligo, impegno, responsabilità e conseguenze legate all’esistenza collettiva.
Il fatto eccezionale che una percentuale senza precedenti della popolazione mondiale fosse costretta nello stesso momento a confrontarsi con la crisi in corso, non ha contribuito che in minima parte a ridimensionare l’orizzonte limitato di molti antagonisti. Così, in una situazione in cui i governi di tutto il mondo, nel promuovere la “responsabilità individuale”, cercavano di mantenere aperta l’economia e tentavano di distrarre l’attenzione dall’ovvio collasso dei sistemi sanitari pubblici, dopo decenni di “razionalizzazione” (cioè asfissia fiscale), molti antagonisti hanno reagito mettendo in discussione la nozione stessa di salute pubblica.
Le malattie contagiose differiscono dalle altre malattie in modo sostanziale: sono per definizione, sociali. Presuppongono il contatto, la coesistenza e una comunità, per quanto alienata. Tuttavia, quello che la pandemia SARS-CoV-2 ci ha mostrato è come, nel periodo storico in cui ci troviamo, le relazioni sociali siano percepite come vuoto opprimente tra individui, chiusi e inviolabili. Individualità autodeterminate, non negoziabili, non contagiose. L’ autentica critica radicale punta a smascherare il vuoto reale, in questo caso costituito proprio da questa individualità, percepisce le relazioni sociali come relazioni, cioè come connessioni tra persone, indipendentemente dal fatto che queste non siano prodotte e riprodotte liberamente e consapevolmente. Questo non impedisce loro di essere relazioni. Né dà credito all’idea che il nucleo centrale della realtà sociale sia l’individuo.
Nessuno ha una relazione individuale con una malattia contagiosa. Ne consegue che nessuno può entrare in relazione con essa sulla base di decisioni puramente personali. Questo è ciò che ci permette di parlare di negazionisti, un termine utilizzato per descrivere tanto coloro che negano l’esistenza della pandemia o il pericolo che essa rappresenta, quanto coloro che rifiutano di riconoscere il carattere sociale della nostra esistenza all’interno della società capitalista.
Dietro l’uso di concetti come “autodeterminazione del corpo” e difesa del diritto di scelta individuale scorgiamo l’antropologia disperata di un’individualità soggiogata Se è vero che i legami sociali possono diventare un ostacolo, essi esprimono comunque delle connessioni tra le persone e sono quindi, potenzialmente, un campo di emancipazione. C’è un’ulteriore ambiguità dialettica dietro al concetto stesso di libertà individuale. Per quanto sia arrivato a rappresentare, storicamente parlando, un rifugio sicuro contro l’autoritarismo clericale e feudale, ha rappresentato ugualmente un veicolo per l’incorporazione delle relazioni sociali capitalistiche di separazione, mediate non dalla religione o dal diritto divino dei re, ma attraverso le categorie astratte della legge e del mercato.
Se il liberalismo si sforza almeno di conciliare il vuoto dell’individuo isolato facendo appello alle sue universalizzazioni astratte (la legge e il mercato), nessun tentativo del genere viene fatto oggi. Nel linguaggio dei diritti e della richiesta di autonomia tipico di un’individualità, intesa come proprietà privata inviolabile, il punto di vista dell’emancipazione sociale attraverso l’abolizione della società di classe e della proprietà capitalista viene abbandonato, precludendo così un attacco collettivo contro la combinazione di pericoli rappresentata da un virus infettivo e dal costo umano delle contraddizioni capitaliste.
Inoltre, coloro che inveiscono contro le restrizioni e le conseguenze negative dell’isolamento, rifiutando allo stesso tempo la realtà della pandemia, distolgono anche l’attenzione dal fatto che la libertà individuale, all’interno della società capitalista, è già qualcosa di formale e limitato. Nessuno sceglie liberamente e consapevolmente, dopo attenta riflessione, di andare a lavorare ogni mattina, né ha accesso diretto al modo in cui questo processo è organizzato. Le persone sono costrette a farlo per sopravvivere, e sono le loro lotte collettive a determinare i margini entro cui questa coercizione risulterà più o meno diretta e violenta. In questo contesto, il negazionismo non è (e non può essere) un campo di antagonismo contro la forma statale o i rapporti capitalistici in sé, ma un tentativo di proteggere una certa normalità contro un’oscura disarmonia (la pandemia globale). Per i negazionisti, la pandemia viene a rappresentare il brutto sogno di una società già incatenata, che lotta per il suo diritto al sonno.
Infatti, è evidente come molti di coloro che si mobilitano politicamente contro queste misure siano guidati da un’immagine mal interpretata della società capitalista, che essi considerano governata da Big Pharma, da Big Tech, dalle grandi banche, dai mass media e dai politici neoliberali. Ovviamente, in contrasto alla destra no-vax, i no-vax antagonisti cercano di dimostrare che coloro che si mobilitano contro le restrizioni e le vaccinazioni sono un soggetto di classe, che verrebbe strumentalizzato dalla destra estrema, poiché svenduto da una sinistra direttamente o indirettamente schierata dalla parte dello stato. Ma vanno anche oltre, accusando quelli che prendono sul serio la pandemia e i suoi pericoli come “servili”, “collaboratori dello stato”, “totalitaristi sanitari” e altre simili sciocchezze, tali negazionisti ignorano deliberatamente le critiche radicali alla gestione della pandemia, dichiarando in sostanza come l’unica vera opposizione all’attuale situazione derivi dal rifiuto delle chiusure, delle mascherine, del distanziamento sociale e dei vaccini. Essi pretendono di essere liberi, differenziandosi con arroganza dalla società “soggiogata” e proponendosi, ridicolmente, come “insorti” in un contesto senza insurrezione.
Dal loro scranno di eccellenza, ridicolizzano la paura generata da una malattia contagiosa, mentre allo stesso tempo elevano la propria ansia verso le biotecnologie e la sorveglianza a livelli esasperati. Nelle mobilitazioni no-vax, vedono (e celebrano) “rivolte” contro la distopia tecno-scientifica. Non si riesce a capire come un discorso politico costruito sulla “ricerca” online, sugli algoritmi e sull’ingigantimento da social media delle posizioni più assurde, possa essere descritto come una sorta di risveglio contro un futuro tecno-distopico di sorveglianza di massa. Inconsapevolmente, nel contestare la gravità “costruita” della SARS-CoV-2, i negazionisti rivelano essenzialmente il desiderio di tornare ad una normalità antecedente alla “dittatura sanitaria” e all’imposizione dell'”apartheid”, quando nessun certificato veniva richiesto dai moderni dottor Mengele e la vita sociale poteva essere goduta senza restrizioni o esclusioni. In altre parole, un ritorno alla vita prima del Coronavirus. Inoltre, essi si contraddicono: paragonando la situazione attuale al nazismo non fanno altro che banalizzare la peggiore dittatura della storia moderna.
Insomma, questa politica scellerata della sinistra no-vax, si pone come ostacolo a una vera unità della classe lavoratrice, che metta in discussione il sistema vigente nei suoi fondamenti. Anzi, genera confusione nella sinistra anticapitalista, ne aggrava la frammentazione e si presta come capro espiatorio per celare la gestione criminale della sanità pubblica da parte dello stato e del governo: tagli ai posti letto, chiusure di ospedali, mancanza di prevenzione, distruzione degli ambienti naturali, che favorisce la diffusione dei virus, eccetera. Insomma, se le cose non andranno bene, se i provvedimenti contro la pandemia risulteranno inefficaci e contraddittori, la colpa sarà dei no-vax” e non del sistema economico vigente. E ciò, aprirà la strada per provvedimenti ancora più autoritari nei confronti di coloro che legittimamente, ma non razionalmente, diffidano dei vaccini o non si vogliono vaccinare. Ben fatto, compagni!
Al contrario di ciò che emerge dal delirio dei movimenti no-vax, il capitalismo non è un blocco di interessi omogenei, governato da misteriose consorterie, ma, al contrario, un rapporto sociale incentrato sul rapporto conflittuale e contraddittorio fra capitale e forza lavoro. Nel contesto del dispiegarsi di una pandemia senza precedenti, per esempio, la necessità di riprodurre una forza lavoro sana e produttiva può entrare in conflitto con l’esigenza immediata di una prosecuzione senza interruzioni dello sfruttamento capitalista. Questa contraddizione è emersa rapidamente sia nei termini di un conflitto sulla linea politica da assumere, sia nella natura contraddittoria delle politiche perseguite; tantopiù in un governo di unità nazionale, come quello guidato da Draghi, dove il conflitto fra le tendenze concorrenziali e l’interesse comune a preservare il sistema possono portare alla paralisi legislativa.
Lo Stato è responsabile dell’attuazione di una serie di politiche per sostenere l’accumulazione capitalista, come l’aumento della produttività del lavoro, l’adattamento della forza lavoro ai bisogni del capitale, il perfezionamento della divisione del lavoro e la riduzione dei costi di riproduzione della forza lavoro. La coesistenza di queste tendenze è diventata, durante la pandemia, esplosiva. In ultima istanza, le politiche che hanno prevalso non hanno rappresentato altro che un temporaneo bilanciamento di queste contraddizioni, senza mai essere in grado di superarle. Il fatto che lo Stato abbia imposto queste misure in modo autoritario e irrazionale è espressione della sua incapacità a risolvere la natura contraddittoria di obiettivi che andrebbero invece conseguiti simultaneamente, per ottenere le migliori condizioni per la riproduzione del capitale. Tuttavia, è veramente assurdo che ci siano ancora persone incapaci di comprendere come minimizzare il contatto sociale di fronte ad una malattia trasmissibile sia una misura ragionevole, applicabile tanto in un moderno stato capitalista, quanto in una società feudale o anche in una comunista, e non una qualche espressione di totalitarismo strisciante.
A meno che non si sia mentalmente sopraffatti dall’immaginario di un apparato tecno-distopico che sorveglia e raccoglie dati destinati “ad addestrare i robot” e a sviluppare gli innumerevoli algoritmi che determineranno, al nostro posto, ciò che facciamo, possiamo e desideriamo, bisognerebbe intendere la scienza, allo stesso tempo, come una forza produttiva, come conoscenza sociale espropriata e come un processo di produzione trasformato in un processo scientifico. Ma il processo produttivo non rappresenta soltanto un processo di valorizzazione, ma anche un processo di produzione di valori d’uso. E questi valori d’uso soddisfano i bisogni tanto della produzione capitalistica di merci quanto della riproduzione della forza lavoro. Chiaramente, la scienza “appare come un attributo del capitale sul lavoro produttivo”, come “il potere del capitale sul lavoro vivo” (Marx) e da qui nasce la lotta che i proletari conducono contro le macchine e contro la scienza, intesa come una forma di potere del capitale e come forma di alienazione. Ma allo stesso tempo, essa è una forza produttiva sociale che soddisfa i bisogni umani e, nel caso della medicina e della farmaceutica, il bisogno più elementare: quello della salute. I negazionisti di destra e di sinistra cercano di contrastare le prove scientifiche rispetto ai pericoli della pandemia (e dell’efficacia dei vaccini) utilizzando le parole di altri scienziati, evidenziando come il negazionismo sia esso stesso un risultato dell’evidenza scientifica, con la differenza che gli scienziati “critici” verrebbero calunniati e messi a tacere proprio perché non in linea con l’approccio ufficiale.
Un aspetto interessante è il tentativo simultaneo di politicizzare e de-politicizzare questo approccio alternativo e non sottomesso. Esso, da una parte denuncia il discorso scientifico ufficiale (OMS, CDC, ecc.) come profondamente politico; cioè, al servizio della linea generale (apartheid, esclusione, cittadinanza di serie B, ecc.), mentre è scandalosamente indifferente alle posizioni politiche degli scienziati da esso promossi.
Il risultato è doloroso, compagni generosi finiti a farsi impressionare e a riproporre le parole di scienziati le cui posizioni vanno dal neoliberismo pro-mercato all’estrema destra. Naturalmente senza contare i ciarlatani puri e semplici e i truffatori, che approfittano finanziariamente della paura e dell’insicurezza diffusa, a cui essi contribuiscono. Criticare tali punti di vista, tuttavia, non significa sposare un’accettazione acritica della parola degli esperti, né trasmettere una cieca accettazione degli scopi limitati della scienza, ma rivendicare la scienza come proprietà pubblica, liberata dal processo di valorizzazione e al servizio dell’umanità.
Contro la gestione statale della pandemia, che è diretta contro gli interessi e i bisogni proletari, dobbiamo promuovere la lotta collettiva per la soddisfazione dei nostri bisogni, che include ma non si limita alla vaccinazione universale. Invece di difendere le auto-illusioni dei negazionisti, che mascherano la propria indifferenza verso la pandemia con mobilitazioni contro l’autoritarismo del governo, dobbiamo esigere l’accesso universale a tutte le possibilità preventive e terapeutiche. Come disse un gruppo di lavoratori della sanità in sciopero nel maggio 1968, “una vera lotta contro la malattia, che implica una notevole estensione dell’idea di medicina preventiva, diventerebbe rapidamente politica e rivoluzionaria, poiché sarebbe una lotta contro una società inibitoria e repressiva”
Concludo consigliando ai compagni no-vax, dalle poche idee e ben confuse, di farsi un giro in qualche presidio di lavoratori davanti ad una fabbrica, che lottano contro il padrone che vuole delocalizzare la produzione dove gli conviene; ce ne sono parecchi attualmente in giro per l’Italia. Se lo facessero con spirito libero, questi cultori della propria libertà si accorgerebbero dove si trova davvero la lotta di classe.