La cultura nella Russia della rivoluzione – Parte 2

Il Proletkult e il dibattito sull’«arte proletaria»

IL DIBATTITO SULLA PROFESSIONALIZZAZIONE DELLE ARTI

Altra questione che attanagliava il Proletkult fin dagli albori era se fosse opportuno rendere i corsi, i laboratori e le attività del Proletkult professionalizzanti o meno. Due scuole di pensiero, anche qua, si contrapponevano. Chi era convinto che la professionalizzazione dell’artista fosse un male, sosteneva di conseguenza che il tempo degli operai non potesse essere dedicato all’arte a tempo pieno, poiché l’arte nasceva direttamente dall’esperienza lavorativa e sociale degli operai. Era ovviamente una visione strettamente legata alla convinzione, radicata e imprescindibile, che fosse necessario creare una “arte proletaria”, figlia di speculazioni filosofiche più che di prerogative materiali; tant’è che il proletariato stesso si mostrava in gran parte disinteressato e indolente a esse, affermando che fosse impossibile dedicarsi ad imparare, studiare e creare l’arte nel momento in cui le ore passate in fabbrica privavano l’uomo delle energie mentali necessarie a poterlo fare [1].

Lo scontro su questo terreno all’interno del Proletkult, unito all’avversione di gran parte degli intellettuali nei confronti della professionalizzazione dell’arte e dei suoi soggetti, portò un gruppo di operai a fondare una nuova organizzazione di carattere letterario [2]: i Kuznitsy, fondati col patrocinio del Narkompros, che si contrapponeva con forza ai precetti ideologici del Proletkult. L’organizzazione dei Kuznitsy presto estese i propri compiti fino a diventare una sorta di sindacato degli autori e artisti operai, proponendosi di tutelarne gli interessi e le ambizioni artistiche e professionali. La “vera arte proletaria” non solo non nasceva, ma non poteva nascere proprio per via dell’eterogeneità del proletariato stesso, che si riscopriva non solo classe unita dagli stessi interessi economici e politici, ma classe eterocomposta dal punto di vista umano, con singolarità vogliose di scoprirsi nei propri gusti artistici, nelle proprie vie di espressione e nelle singole peculiarità: il ruolo del proletariato in quanto classe doveva essere quello di liberare gli strumenti utili ad esprimersi, diffonderne l’uso e la conoscenza e rendere infine libera l’espressione artistica di ogni proletario: il fermento che sarebbe dovuto scaturire da queste condizioni avrebbe dovuto creare le condizioni che avrebbero fatto nascere, per davvero e in modo del tutto spontaneo, l’ambita “cultura proletaria”.

Dopo il congresso del 1920 la professionalizzazione delle arti entrò ufficialmente nel programma del Proletkult, con l’obiettivo di promuovere da una parte le eccellenze attraverso borse di studio e progetti dedicati, e dall’altra permettere a tutti gli artisti proletari non professionisti di sviluppare le competenze adatte a diventarlo.

«Tutti gli studenti devono capire che senza afferrare la logica dell’arte, senza padronanza, la loro espressione creativa sarà debole; spesso scopriranno solo un’America già scoperta». [3]

Tuttavia il Proletkult si dirigeva verso un periodo di profonda crisi, e in particolare fu la lotta serrata contro il Narkompros a minare l’autonomia dell’organizzazione e a destabilizzarla. Già nel 1919 il Narkompros votò [4] praticamente all’unanimità per avviare un dialogo con l’organizzazione al fine di assorbirla o legarla a sè, in quanto si sosteneva che i compiti che essa svolgeva si sovrapponessero inutilmente a quelli del Narkompros, con inutili dispiegamenti di forze, sdoppiamenti di compiti e responsabilità, in una fase delicata della rivoluzione. Questa drastica prospettiva allarmò il Proletkult da cima a fondo. I circoli locali espressero totale disappunto, percependo questa svolta come un immotivato tentativo di sopprimere l’autonomia delle organizzazioni. Inoltre secondo i proletkultisti, sciogliere l’organizzazione avrebbe avuto pesanti ricadute sul proletariato.

«I vari circoli del Proletkult si sono stabiliti efficacemente nelle fabbriche e negli stabilimenti e hanno preso piede nella classe operaia. Se li eliminiamo, sradicheremo la base dell’attività culturale-educativa tra i lavoratori».[5]

Nel 1919 i delegati del Narkompros e del Proletkult trovarono un ambiguo compromesso che rendeva i circoli locali del Proletkult delle sottosezioni della Divisione per l’Educazione degli Adulti (divisioni che facevano capo al Narkompros), ma che di fatto mantennero un’indipendenza sostanziale, sia economica che programmatica.


IL PROLETKULT E IL PARTITO COMUNISTA

Il Partito Comunista per lungo tempo evitò di discutere nei propri congressi della questione Proletkult, non sviluppando alcuna linea ufficiale. Per questo motivo i rapporti che le sezioni locali del PC stabilirono con le sezioni locali del Proletkult erano ovunque diverse e si passava da stretti e proficui legami alle più aspre antipatie. Tuttavia nel 1920, quando la guerra civile si avviava alla sua conclusione e diventava importante anche fare il punto sulla forma definitiva da dare ai vari organi culturali del nuovo stato sovietico, i membri del Partito Comunista discussero della questione. Lenin, che già nel 1919 aveva detto la sua e preso posizione contro i modi di promuovere la cultura del Proletkult, non vedeva di buon occhio le varie correnti estremiste che affermavano fosse necessario distruggere ogni riferimento e opera della cultura pre-rivoluzionaria; pensava che ogni pretesa di realizzare una sedicente “cultura proletaria” inventata di sana pianta, fosse un atto privo di senso slegato dalla realtà materiale. Al contrario ci si sarebbe dovuti avvalere delle personalità formate dal capitalismo e dal vecchio potere imperiale, le vecchie figure che già si avevano a disposizione disposte a lavorare con la nuova organizzazione statale, per formare un nuovo apparato d’istruzione e di produzione culturale e artistica. Insomma, dal nulla non poteva nascere nient’altro che il nulla. Sarebbe quindi stato inconcepibile privare nuovamente il proletariato delle risorse culturali di cui poteva finalmente disporre, dopo esserne stato a lungo privato, e percorrere la via della rinnegazione della cultura passata non era altro che un capriccio slegato da ogni necessità reale del proletariato, a cui sarebbe stata semplicemente negata ancora una volta l’emancipazione culturale, solo sotto altra forma. Inoltre la crescente influenza che Bogdanov (uno dei pochi personaggi di spicco del Proletkult non iscritto al PC) esercitava dall’esterno sul partito, indeboliva di fatto il centralismo democratico del PC e il suo potere decisionale. La svolta che allarmò Lenin e gran parte del Partito Comunista fu tuttavia la decisione del Proletkult di presentare un proprio ramo autonomo al II Congresso dell’Internazionale Comunista, col fine di estendere l’ideale della “cultura proletaria” in tutto il mondo, secondo i propri programmi, aggirando di fatto ogni dialogo con il Partito. [6]

Preoccupato soprattutto dalla composizione sociale piuttosto varia delle alte cariche del Proletkult e dalla possibilità che potesse essere finanziata da gruppi antibolscevichi, Lenin valutò di schierarsi con decisione contro la sua autonomia e convocò diverse riunioni del Comitato Centrale del Partito (il Politburo) per trovare il modo di subordinare definitivamente il Proletkult agli organi statali. Dopo vari tentativi il PC, forte della presenza di un’ampia fascia di militanti che militava anche nel Proletkult, riuscì a renderlo una divisione del Narkompros, dipendente economicamente eppure libero dal punto di vista decisionale artistico e didattico a livello locale.

Nel 1920 venne pubblicato nella rivista della Pravda il testo concepito dalle riunioni del Comitato Centrale del PC, che di fatto accusava il Proletkult di essere popolato da idealisti e da anti-marxisti; nel documento si affermava inoltre che il Partito non era intervenuto prima sulla questione a causa della guerra civile, a cui tutte le forze del partito erano state dedicate.[7] Fu questo attacco a essere decisivo, soprattutto sul piano dell’immagine, per il Proletkult. I dirigenti dell’organizzazione tentarono di rispondere con altrettanto impatto, ma la loro posizione non venne mai pubblicata sulla Pravda. Il contenuto della lettera tendeva a riaffermare l’assoluta dedizione per la causa bolscevica dell’intero Proletkult e metteva in evidenza quanto il legame stabilito col proletariato a livello territoriale fosse il più stretto che si potesse avere, cosa che nessuna altra organizzazione era riuscita a fare. Il proletariato nutriva fiducia nel Proletkult ed era numericamente sempre maggiore al suo interno. Si evidenziava inoltre che Bogdanov aveva una cattedra come professore all’Università di Sverdlov, controllata dal Partito Comunista, e che le sue opere erano pubblicate dalla stampa governativa; per questo tutte le accuse nei suoi confronti decadevano sul nascere e non avevano senso di esistere, risultando addirittura paradossali. Si evidenziava una forte discrepanza e paradossalità tra le accuse del PC e il reale stato delle cose, dovuto a «malintesi [che] derivano ovviamente dal fatto che il partito ignora il nostro reale lavoro; un’avvicinamento e maggior interessamento del partito nei nostri confronti potrebbe e dovrebbe eliminare ogni malinteso». [8] Nonostante questi vani tentativi di riprendere in mano la situazione, il Proletkult si vedeva sempre più vicino alla fine della sua esistenza quale organizzazione indipendente.


L’ERA PLETNEV E I TENTATIVI DI RIORGANIZZAZIONE

Immediatamente venne convocata una assemblea per discutere delle ricadute pratiche che la totale insubordinazione del Proletkult al Narkompros avrebbe portato; ciò che venne alla luce fu nient’altro che il caos del quale l’ormai ex organizzazione era completamente succube: Lebedev-Polianskii, Presidente Nazionale, tentò di arginare l’eccessiva influenza dei proletkultisti che stavano avendo anche nel Partito Comunista, temendo che questi avrebbero potuto emarginare del tutto Bogdanov e avrebbero cambiato la direzione e le prospettive culturali che avevano fin dagli albori contraddistinto il Proletkult. Era fermamente convinto che, per tenere a galla l’organizzazione nonostante i limiti imposti dall’assorbimento al Narkompros, si dovesse abbandonare la propaganda e l’educazione, di cui già si occupavano altre divisioni del Narkompros, e darsi un carattere distintivo promuovendo esclusivamente la ricerca scientifica e la creatività artistica del proletariato: arte e scienza a prescindere dalle diverse vedute avrebbero dovuto permeare l’intero nuovo stato proletario.

Tutto ciò fu vano: Lebedev-Polianskii finì in minoranza e si dimise dalla sua carica di Presidente Nazionale, che venne rilevata da Pletnev, il quale, acceso sostenitore dell’asservimento del Proletkult allo Stato, non rinunciò tuttavia alle prerogative storiche del Proletkult. Rifiutò le richieste del Narkompros di abbandonare i circoli locali per lavorare esclusivamente nelle scuole e nelle università, e anzi premette ancor di più perché fossero stanziate risorse per espandere la rete di circoli locali e ampliarne la portata culturale, includendo nell’offerta dei circoli l’arte come le scienze.

Per il territorio russo non erano anni semplici. L’economia era al tracollo, si dovevano fare i conti con la ricostruzione e la riorganizzazione dopo la guerra civile, ed erano i tempi della Nuova Politica Economica (da qui in poi NEP): i fondi da destinare alle organizzazioni erano assai esigui. Nonostante tutto Pletnev riuscì a mantenere l’indipendenza delle sezioni locali del Proletkult, mantenendo slegato il bilancio da quello del Narkompros che, come tutti gli apparati statali, in quel periodo era in forte difficoltà economica. I fondi di cui il Proletkult disponeva venivano solo in piccola parte destinati ai circoli locali, e le parole di Pletnev, «La cultura socialista può crescere solo a partire da una organizzazione costruita dai lavoratori stessi» [9] risultarono nient’altro che un miope slogan. Le politiche di Pletnev erano votate a cercare di salvaguardare e autoconservare il Proletkult in quanto organizzazione, mentre la realtà dei fatti evidenziava che le sezioni locali continuavano a calare drasticamente in numero e in qualità. Pletnev tuttavia vedeva in questa recessione del Proletkult l’opportunità di eliminare tutti gli elementi piccolo borghesi dall’organizzazione, e riaffermava che il Proletkult non poteva e non doveva essere una organizzazione di massa, ma solo e soltanto dell’avanguardia artistica puramente proletaria. Inoltre riuscì a rendere all’interno del Politburo ancora più pesante l’importanza del Proletkult, che diventava sempre più influente all’interno del Partito. Pronunciandosi contro la NEP, che faceva un passo indietro rispetto alle politiche di transizione socialiste, il Proletkult assunse il ruolo di “difensore ideologico” del comunismo.

Nonostante tutto, la situazione economica del Proletkult si aggravò così tanto fino al 1922, che si decise di richiamare un’assemblea generale con delegati da tutte le parti della Russia per discutere di importanti modifiche alla struttura stessa del Proletkult: vennero chiuse tutte le sezioni locali che avessero gravi problemi economici, che si fossero allontanate dalle direttive del Comitato Centrale, che avessero pochi partecipanti. Con la chiusura di tutti questi circoli considerati di secondaria importanza, si puntava ad aprire e finanziare invece i circoli delle zone industriali più importanti, laddove erano presenti gli artisti più talentuosi e al contempo più vicini al proletariato urbano. Anche questo tentativo fu vano: nessuno dei circoli che avrebbe dovuto essere aperto vide realmente la luce, e quelli già esistenti versavano nelle stesse deleterie condizioni precedenti la riforma.


LA NUOVA ORGANIZZAZIONE

Col passare del tempo il Proletkult aveva perso il controllo sulla maggior parte dei circoli, da quelli provinciali a quelli cittadini, e nel 1924 ne erano rimasti ormai solo undici ad esso direttamente collegati. Il Proletkult diventò una sorta di patrocinante di iniziative di circoli indipendenti (che spesso e volentieri erano ora in mano ai sindacati locali), forniva linee guida su come organizzare i circoli locali e si proponeva di formarne gli insegnanti. Aveva perciò smesso di rivolgersi solo ai circoli del Proletkult (anche per necessità, vista ormai la quasi totale assenza di legami col territorio) e iniziava a rivolgersi al proletariato tutto, col tentativo da una parte di tornare a egemonizzare parte dell’attività culturale dell’Unione Sovietica, e dall’altra di non abbandonare i suoi principi: istruire il proletariato, in qualunque modo.

Le linee guida offerte ai circoli erano drasticamente differenti rispetto a quello che era il Proletkult delle origini: nelle linee guida si consigliava di specializzare ogni circolo in una determinata materia che fosse scientifica, culturale, artistica. Si diede in questo periodo particolare risalto all’emancipazione della donna, con laboratori e progetti a tema, specialmente con lavori teatrali originali concentrati su contenuti che spingessero verso il superamento dei principi maschilisti di cui era zuppa la società russa. Il Proletkult era riuscito a rinascere sotto altra forma e con più vivacità, tuttavia venne accusato dai sindacati di concentrare eccessivamente le forze su attività ricreative e secondarie, dimenticando che ancora tanto era il lavoro da compiere riguardo l’alfabetizzazione e lo studio diffuso delle materie più basilari.

Nel 1925 il Proletkult andò sotto controllo sindacale e abbandonò il Narkompros. Iniziò l’ennesimo periodo di riadeguamento delle linee guida. I tanti circoli che con l’indebolimento del Proletkult erano finiti sotto controllo sindacale ora erano di nuovo vicini al Proletkult, e questo si impegnò di conseguenza per adeguare i programmi di ogni singola sezione locale alle necessità del territorio: laddove era ancora alto il tasso di analfabetismo, si procedeva con programmi di alfabetizzazione; laddove c’era un bacino attento alle questioni economiche, si esortava a studiare modi innovativi di gestione della produttività; laddove i partecipanti sentivano fosse necessario dedicarsi a trovare soluzioni per un dato problema, si studiava il dato problema e le soluzioni. Insomma, ciò che le sezioni locali facevano era adesso tentare di rispondere il più possibile alle esigenze materiali che venivano riflesse dai membri dei singoli circoli. Non più i dibattiti individuali nelle alte sfere, né i dibattiti filosofici e idealistici animavano le politiche del Proletkult, ma si era invece trovata una nuova strada per emancipare il proletariato e renderlo cosciente di sé, ed era quella di rendere sempre più il proletariato autocosciente della sua posizione culturale, in modo che potesse capire da sé su cosa fosse necessario concentrare le forze nel proprio circolo culturale locale. Solo in un secondo momento entravano in gioco gli insegnanti e gli specialisti, che rispondevano sostanzialmente a dei programmi scritti dai o con i membri stessi.


L’ASCESA DI STALIN E LA FINE DEL PROLETKULT

Dal 1928 Stalin, attraverso il potere crescente acquisito all’interno di un Partito Comunista fattosi anche e sempre più Stato, persegue una serie di politiche volte ad asservire la produzione culturale ed artistica alle sue politiche. Se fino a quel momento il Proletkult, ma in generale tutte le organizzazioni culturali, nonché il Narkompros, avevano ben integrato la parte più progressista della borghesia e avevano fatto in modo che questa si adoperasse per contribuire all’educazione e all’istruzione del proletariato, il nuovo regime agiva in senso direttamente opposto. Questo fu solo il preludio della deriva verso cui muoveva il regime che, per proteggere una linea politica con prerogative drasticamente diverse rispetto al passato, accusò svariate personalità, di spicco e non, di essere “nemici del proletariato”; vennero fatti fuori gran parte dei dissidenti, spesso rivoluzionari della prima ora e il dibattito all’interno del PC cessò progressivamente di esistere. Venne inoltre completamente asservito al volere della burocrazia del Partito il RAPP (Associazione degli Scrittori Proletari), una associazione nata in seguito alla morte di Lenin nel 1925, che in realtà si contraddistinse fin da subito per la particolare simpatia nutrita, tra le sue fila, per il nuovo segretario generale del Partito. Tale abnegazione nei confronti del nascente regime fu notata e il RAPP divenne vero e proprio organo di controllo del tessuto culturale dell’Unione Sovietica. Gli artisti, gli intellettuali, furono costretti ad abbandonare i loro stili, la corrente di appartenenza e le proprie peculiarità artistiche, per adeguarsi e omologarsi alle direttive dogmatiche del “realismo socialista”. Vennero create diverse case di produzione direttamente in mano allo Stato, con a capo un burocrate generalmente scelto per la sua ortodossia più che per le competenze. Ad esempio, fu Boris Sumjataskij il nuovo capo della sezione cinematografica (il Soyuzkino), assolutamente e da sempre distante dal mondo del cinema ma, d’altra parte, forte detrattore degli artisti d’avanguardia e della sperimentazione, e questo era ciò che importava.

Nel 1932 il Partito Comunista emanò una direttiva che prevedeva lo scioglimento obbligatorio di tutte le associazioni e organizzazioni culturali, le quali vennero sostituite da sindacati appositi che garantivano l’educazione e l’usufrutto dei programmi culturali e artistici creati direttamente in seno al PC.
Riguardo il ruolo del RAPP e i provvedimenti di Stalin la rivista francese “La Révolution surréaliste” scriverà: «un vento di cretinismo si abbatte sull’Unione Sovietica».

Il Proletkult, come tutte le altre associazioni, organizzazioni e circoli, cessò definitivamente di esistere. Anche il RAPP venne colpito, in ottica di un accentramento totale della censura, che verrà affidato direttamente alle alte cariche statali.

Se il primo Proletkult si prefiggeva – con tutti i limiti del caso, gli idealismi e le false soluzioni – di contribuire a creare una cultura “del proletariato per il proletariato”, Stalin dava il via all’epoca della cultura “del regime per il proletariato”. La creazione culturale, artistica, scientifica, venne di fatto costretta entro le rigide direttive della nuova burocrazia del Partito Comunista a direzione staliniana e uniformata nei contenuti così come nelle forme e nei modi, sopprimendo e uccidendo ogni ventata di sperimentalismo e di autonomia artistica in generale; tutto si risolse nella codifica di una linea culturale ufficiale, il “realismo socialista” che promuoveva un’educazione e una produzione artistica delle masse totalmente votata all’apprendimento passivo di programmi scritti dalle alte cariche politiche, abbandonando di fatto ogni possibilità di rendere culturalmente autonomo il proletariato.



NOTE:

1 – Cit. in Ivan Eroshin, “O professionalizme v iskusstve,” Gudki , no. 5 (1919), pp. 15–17

2 – Venne fondata nel febbraio 1920 da Mikhail Gerasimov e presto artisti e poeti del calibro Kirillov vi si unirono, lasciando il Proletkult più o meno in polemica.

3 – Cfr. “Blizhaishchie zadachi Proletkul’ta,” Proletarskaia kul’tura , no. 20/21 (1921), pp. 27–35.
Cit. a p. 30.

4 – Nel maggio 1919 si svolse la I^ Conferenza Nazionale dei Lavoratori per l’educazione degli adulti.

5 – Cit. in “Svedeniia, kasaiushchiesia deiatel’nosti Proletkul’ta,” Tsentral’nyi Gosudarstvennyi Arkhiv RSFSR f. 2306, op. 17, d. 9, ll. 1–4.

6 – Cit. in “Mezhdunarodnyi biuro Proletkul’ta,” Izvestiia TsIK , 14 agosto 1920.

7 – Cit. in “O Proletkul’takh: Pis’mo TsK RKP,” Pravda, 1° dicembre 1920.

8 – La lettera aperta del Proletkult portava il titolo di “Neobkhodimoe ob’iasnenie”, “Chiarimenti necessari”. Pubblicata nel dicembre 1920. Consultabile a questo link: http://window.edu.ru/resource/567/59567/files/may07141.pdf, pp.41-43.

9 – Cit in Chetvertyi Vserossiiskii s’ezd professional’nykh soiuzov, 17–25 maggio 1921: cfr. Stenograficheskii otchet (Moscow, 1921), vol. 2, pp. 89–90, citazione a p. 90.


BIBLIOGRAFIA PRINCIPALE:

Cfr. L.Mally, Culture of the Future: The Proletkult Movement in Revolutionary Russia, Berkeley: University of California Press, 1990. Consultabile all’indirizzo: http://ark.cdlib.org/ark:/13030/ft6m3nb4b2/

Cfr. P.Bertetto, Il cinema europeo degli anni Venti, in P.Bertetto (a cura di), Introduzione alla storia del cinema, Torino, UTET, 2012


BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA:
Cfr. U.Barbaro, Il film e il risarcimento marxista dell’arte, Roma, Editori Riuniti, 1960


SITOGRAFIA:
Cfr. M.Corsi, L’avanguardia sovietica, URL: https://www.cinescuola.it/cinema-muto/l-avanguardia-sovietica/, visitato il 5 ottobre 2020.

E.C.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.