L’antisemitismo

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La storia dell’antisemitismo, ha origine straordinariamente antica, dalle fondamenta dell’Islam visti come discendenti di Isacco e non di Ismaele come i musulmani, odiati dai cristiani come traditori e causa della crocefissione di Gesù (Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli -Vangelo di Matteo-), gli ebrei sono stati per centinaia di anni il bersaglio preferito della Chiesa e delle comunità europee.

All’ebreo era fatto divieto di: vivere assieme ai fedeli di altre confessioni, praticare il culto se non in luoghi preposti dalla legge come Sinagoghe, professare un mestiere consentito ad un cristiano, incoraggiare la conversione all’ebraismo con qualunque forma di propaganda.

Va da sé che questa condotta portò la formazione, già in epoca precolombiana di un grande numero di quartieri ebraici. Quartieri dove all’interno gli ebrei potevano svolgere ogni mansione e mestiere, ma all’esterno, l’unico mestiere non concesso ai cristiani era il prestito e per estensione l’usura. Questa pratica consentì e favorì lo stereotipo dell’ebreo ricco e strozzino, una figura da disprezzare, oltre che da evitare.

Negli anni, gli ebrei si contraddistinsero per le loro scuole di grande prestigio aperte solo agli allievi dei ghetti, dalle quali uscivano studenti molto preparati, tanto che, alleggerite le misure antisemite, non tardarono molto a ritagliarsi ruoli di rilievo nella vita sociale e politica dei paesi dove vivevano.

Arrivati al ‘900 molti ebrei si distinsero per le loro idee che rivoluzionarono i loro campi, e tra loro troviamo Rosa Luxemburg Sigmund Freud, Vladimir Lenin, Lev Trotsky, Albert Einstein, Franz Kafka, e anche Karl Marx aveva origini ebraiche. Molti di questi abbracciavano idee socialiste, tanto che allo scoppio della rivoluzione del 1917 si guadagnarono la fama di “mente del bolscevismo”.

Il sentimento antisemita in Germania, presente da secoli, si intensifica proprio per questo motivo. Dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale, diversi pensatori tedeschi, tra i quali Adolf Hitler, incolpano della sconfitta non il logorio di 4 anni di guerra e l’inferiorità bellica, ma la presenza di “idee spartachiste e socialiste che avvelenavano l’esercito tedesco” come riportato dal Gen. Ludendorff al Kaiser Guglielmo II°, proponendo un accordo di pace, accordo mai avanzato dalla Germania che causò una serie di sconfitte fatali all’esercito, terminate con la capitolazione di Compiégne.

La Pace di Versailles, e la recessione dovuta dalla guerra, assieme al crollo della borsa del 1929, che ha colpito duramente la Germania proprio nel momento in cui si stava risollevando economicamente, portarono l’opinione pubblica tedesca ad incolpare il comunismo (che con la sua influenza derivata dalla rivoluzione ha influito negativamente sulla guerra), e gli ebrei (membri di spicco della Repubblica di Weimar, e del bolscevismo, come già detto).

Con l’avanzare degli anni, e soprattutto con l’avanzare della recessione, la platea nazista antisemita aumentò sempre più, fino ad arrivare, passando per un colpo di stato fallito e diversi atti dimostrativi, nonché a 2 elezioni, ad essere il partito governante in Germania, instaurando la famosa dittatura che al pari del Fascismo, del Franchismo e dello Stalinismo ha segnato duramente le sorti del mondo per almeno tre decadi.

LA PROPAGANDA
Certamente il più celebre istituto creato nel Terzo Reich fu il Ministero per L’Istruzione Pubblica e Propaganda (noto solo come Ministero per la Propaganda), e certamente altrettanto famoso fu il suo Ministro Joseph Goebbels.

Letterato di formazione, lavorò come critico d’arte, impiegato, giornalista e nazista “di professione”, e senza dubbio il più fedele di Hitler. Governatore (Gauleiter) di Berlino dal 1926, si distinse subito per le sue doti nella propaganda, riuscendo in soli due anni ad attrarre verso il nazional-socialismo diversi settori operai, da sempre fedeli al KPD. Questa operazione valse nel 1928 la sua elezione al Reichstadt, e l’incarico di capo della propaganda del partito.

Con l’avvento al potere di Hitler, nel 1933 divenne capo del Ministero della Propaganda, carica mantenuta fino al 1945, quando per poco più di 8 ore divenne Fuhrer del Reich.

Parte integrante del successo di Goebbels, è stata la sua figura pubblica. Padre di famiglia, marito, amante della moglie e della patria, diventò un vero e proprio punto di riferimento per chiunque volesse emergere nella Germania nazista. Allo stesso modo, sua moglie Magda, madre di sette figli, sei dei quali di Goebbels, fervente nazista, pupilla del Fuhrer, decorata con il distintivo dell’Insegna d’oro del Partito Nazionalsocialista, e particolare non da poco, alla consegna Hitler le donò il proprio. Donna ariana per eccellenza, assieme al marito ed ai figli preadolescenti preferì il suicidio alla fine del Reich.

Tanto era importante per la morale nazista la famiglia Goebbels, che Hitler in persona si oppose ad una relazione extraconiugale con Ludmila Babkova, attrice cecoslovacca, amante di Joseph nel 1939. Tale opposizione si chiuse con un tentativo di suicidio per lui e l’esilio dal Reich per lei. Oltre a questa occasione, mai Hitler si dedicò a risolvere dei controversi aspetti della vita personale dei suoi collaboratori, e vi erano morfinomani, alcoolisti e anche pedofili. Ma l’immagine della famiglia Goebbels era sacra, una parte fondamentale della propaganda del regime.

Grazie alla sua figura ed alla sua posizione di grande prestigio, Goebbels riuscì da subito ad elevare la propaganda nazista ad una vera e propria dottrina morale attraverso lo sviluppo delle arti, del cinema e della neonata televisione, divenendo da subito un vero Ministro della Cultura Popolare (come appunto il suo omologo italiano).

Meno conosciuto, ma senza dubbio altrettanto influente, fu il direttore della rivista Der Sturmer, Julius Streicher. Der Sturmer fu un elemento fondamentale nella propaganda tra il ceto popolare, a differenza di altri periodici più composti che trasmettevano serietà, Der Sturmer utilizzava un metodo da rivista scandalistica, non disdegnava un linguaggio volgare, ed era anche per questo molto apprezzata.

“Chiunque sia e qualunque cosa faccia un ebreo è una canaglia e un criminale e chi lo segue merita la stessa fine, annientamento, morte!” -Editoriale del febbraio 1944-

La rivista non mancò di critiche da parte degli alti gerarchi, che consideravano la pubblicazione di Streicher troppo aggressiva per l’opinione pubblica, tanto è vero che per mantenerla aperta dovette intercedere Hitler, contro Goering e Goebbels che ne desideravano la chiusura. Una tale pubblicazione poteva smascherare la segretezza riservata al progetto di omicidio di massa degli ebrei europei, e destare sospetti nei paesi nemici. Tuttavia questo non accadde, e Streicher, tra le molteplici edizioni, curò anche vari testi scolastici, ne cito alcuni:

Der Poodle Pug Dachshund Pinscher: libro di favole per bambini dove l’ebreo viene paragonato con diversi animali, ovviamente trasmettendo una immagine negativa;

Der Giftpil (il fungo tossico): “Streicher ha pubblicato un nuovo libro per bambini. Roba terribile. Perché il Führer lo sopporta?” -Diario di Goebbels, 1938-

“E sai anche tu chi sono questi uomini cattivi, questi funghi velenosi dell’umanità?” continua la madre. Franz si schiaffeggia il petto orgoglioso: “Certo che lo so, mamma! Sono gli ebrei!” -Estratto dal libro

Die Judenfrage im Unterricht (La questione ebraica nell’insegnamento): testo di interesse dei docenti.

La propaganda di Streicher quindi abbracciava un vasto bacino di utenza, dall’asilo all’età adulta, una propaganda definita da Goebbels come “perversa” e “pornografica”, che indicava l’ebreo come corruttore, stupratore, assassino e causa di ogni altra piaga presente in Germania.

Come riportato da molti sostenitori, lo stesso Hitler fu una figura di grande carisma, capace di affascinare gli spettatori con orazioni molto lunghe ma mai noiose. Dai famosi comizi nelle birrerie, fino alle università più prestigiose, Hitler sapeva adeguare sempre il suo personaggio alla platea che aveva di fronte. A volte in uniforme militare, altre volte con un abito comune ma mai dozzinale, anche in veste semplice, in modo che ognuno potesse sentirsi rappresentato, e in lui potesse trovare un modello a cui ispirarsi. Queste caratteristiche, unite con la scelta di ridurre i suoi comizi spesso a semplici lezioni di “storia della Grande Germania” con i dovuti riferimenti alla cultura mitologica, e con una nota di biasimo per la condizione della Germania attuale, e al suo ruolo nel mondo, riusciva a far capire il suo messaggio pur non trasmettendo alcun tipo di programma politico definito.

Veterano della Grande Guerra, decorato e deluso dalla capitolazione, aveva capito bene che la strada verso il potere passava attraverso la conquista dell’esercito e dei ceti intellettuali della decaduta (o in decadimento) borghesia industriale. Le masse popolari, i contadini, gli operai tedeschi, e i piccoli commercianti, pur avendo sempre la loro parte nei comizi del Fuhrer, non avrebbero avuto la possibilità di emergere, se non spinti dalla forza motrice della borghesia tedesca; un’emersione tuttavia passiva.

I CAMPI DI CONCENTRAMENTO:

In un’ordinanza del 5 agosto 1933, vengono definite le “linee guida” che caratterizzeranno i Lager prima della “soluzione finale” (a volte tradotta come soluzione globale).

Queste disposizioni prevedono che siano condotti nei campi tutti coloro che hanno danneggiato il popolo tedesco, i gravi pregiudicati (criminali o offensori della morale ariana) e tutti coloro “il cui mutamento ideologico appare impossibile” con un esplicito riferimento ai funzionari di partiti o associazioni dichiaratamente marxiste.

Lo scopo dei Lager, quindi in origine fu di detenzione e di isolamento degli elementi antisociali. Nella stessa ordinanza, si dispone che i prigionieri nel Campo debbano essere trattati con umanità e giustizia, si vieta la punizione corporale, e si dice molto chiaramente che le violazioni ai regolamenti devono essere perseguite per via penale, ed attraverso provvedimenti disciplinari. (Non dissimilmente dagli attuali istituti penitenziari).

Un episodio che dà l’idea del tipo di istituto creato, è accaduto il 1° maggio 1934, e con una lettera indirizzata al Capo della Gestapo, Tesmer; il direttore del campo Col. Schulze, lamenta che in sala mensa un gruppo di detenuti hanno intonato all’ora di pranzo “L’Internazionale”. La preoccupazione di Schulze, riferita alla polizia segreta, è che i detenuti non siano stati puniti con abbastanza severità, e che comunque, non si sono ancora dimostrati riabilitati per essere immessi con successo nel nuovo stato nazionalsocialista.

Insomma, i proto-Lager si configurano come luoghi orwelliani, dove la forza pubblica ha lo scopo di riabilitare i detenuti allo scopo di farli diventare nazisti provetti.

La “maggioranza silenziosa” che appoggiò il Regime, naturalmente era consapevole di questi istituti, poiché era un periodo nel quale si vedeva dalla sera alla mattina sparire il vicino di casa, il calzolaio o il compagno di classe. All’inizio, qualcuno si oppose alla “caccia” nazista, e si verificarono dal 1933 al 1934 (e successivamente, man mano che si aggiungevano territori al Reich), diverse complicità tra la popolazione, che tentava di proteggere gli amici, nascondendoli in clandestinità. Specialmente nelle campagne, o in particolare nella Francia occupata si verificarono veri e propri esodi di ebrei con documenti falsi verso gli Stati Uniti o verso Israele. Inutile dire, che questi episodi di collaborazionismo venivano puniti con la deportazione nei Lager e con la persecuzione anche dei cittadini tedeschi o annessi considerati traditori.

Secondo molti l’Olocausto fu raggiunto gradualmente, ma si è già detto che alle guardie veniva fatto divieto di infliggere torture ai prigionieri, figuriamoci ucciderli! E quindi a che scopo la detenzione? Naturalmente lo sfruttamento del lavoro.

Il 15 novembre 1941 si dà indicazione sul trattamento dei prigionieri russi. Essi dovevano essere divisi per costituzione, i più robusti visitati e divisi in abili e inabili al lavoro in cava, gli altri, assieme agli inabili, giustiziati immediatamente. Il 25 novembre dello stesso anno invece, è emanata dal supervisore ai Lager, una direttiva secondo la quale i detenuti impiegati nelle aziende collaboratrici delle SS dovevano avere dalle aziende un salario di 0.30 RM (ReichsMark), mentre per tutte le altre aziende estranee o non strettamente collaboranti con le SS il salario doveva essere equiparato al costo medio della manodopera nel dato settore. Ovviamente, la totalità del salario era rilevata dal Comandante del Campo. A seguito, nella stessa direttiva, l’elenco delle aziende “convenzionate”.

Insomma, dallo sfruttamento della manodopera lo Stato nazista traeva bei profitti. Ma allora quali sono stati i motivi che hanno condotto all’omicidio di massa? Tutti sanno questa storia. Le SS, assieme ai loro collaboratori “civili”, si appropriavano di ogni bene che si potesse confiscare fisicamente ai prigionieri durante i rastrellamenti. È il caso delle montature d’oro, denti, orologi, penne, ogni altro oggetto di valore trovato nei bunker della Reichsbank. Al loro arrivo nei campi, dopo l’identificazione, lo Stato provvedeva ad impossessarsi di tutto quello che non era stato sottratto prima, ossia immobili, veicoli, attività commerciali…

All’arrivo nel campo, veniva fatta la famosa selezione. Gli inabili al lavoro venivano subito eliminati per ridurre le spese di gestione, tutti gli altri smistati verso diverse mansioni, in base a criteri quali la formazione, il mestiere esercitato, la costituzione fisica.

Alcuni venivano assegnati alla gestione del Campo, con i compiti più diversi. Cucinare per i detenuti, lavori di lavanderia, igiene delle camerate, addetti ai forni crematori, alla preparazione delle camere a gas, o lavorare all’ampliamento delle strutture. Altri, assegnati a servire da domestici in casa di funzionari delle SS (le abitazioni dei Comandanti erano spesso dentro al campo o in aree limitrofe). Altri ancora, assegnati al lavoro in fabbrica.

Lo sfruttamento dei detenuti nelle fabbriche presentava molteplici vantaggi per la classe industriale tedesca. Gli operai tedeschi godevano di “buone” condizioni di lavoro, mentre per i detenuti dei campi vigeva la regola “lavorare fino alla morte”, e questo accadeva di regola ogni giorno. Un altro vantaggio dello sfruttamento della manodopera proveniente dai campi, era quello di favorire certi industriali a svantaggio di altri, per acquisire simpatie e clientele utilissime durante la conversione industriale che ha caratterizzato la Germania nazista, e che alla fine della guerra sarebbe servita per costruire la nuova Europa sotto la guida tedesca alla conquista del mondo.

La soluzione totale fu caratterizzata da uno sfruttamento totale dei detenuti. Il 4 gennaio 1943, per esempio, dalla direzione delle SS viene emanata una disposizione a diversi campi che vista l’impossibilità di creare impianti propri per la gestione dei capelli, questi dovevano essere spediti all’azienda di Alex Zink a Norimberga. Un rapporto sulla quantità dei capelli spediti doveva essere inviato il giorno 5 di ogni mese in modo che si potesse esigere il pagamento di 0.5 RM al Kg.

In aggiunta a tutto questo, non sono da tralasciare le enormità di esperimenti medici condotti nei campi sui prigionieri, allo scopo certe volte di migliorare l’efficienza dei soccorsi dei feriti in guerra (esperimenti sul congelamento o sugli effetti dei gas o sulle ustioni chimiche da fosforo bianco), altre volte allo scopo di curare determinati individui (come sono state le somministrazioni di testosterone o di progesterone sugli omosessuali, o le tecniche di “ricondizionamento sessuale”), o sfizi personali come lo studio di Mengele sui gemelli.

Per dare un’idea del tipo di esperimenti condotti nell’ordinario, nel 1943 il dottor Clauberg viene incaricato da Himmler di trovare il modo di sterilizzare i detenuti e le detenute in modo veloce e senza dare nell’occhio, mettendogli a piena disposizione fondi, personale e detenuti di Auschwitz. Dopo pochi mesi Clauberg risponde che attraverso una esposizione ai raggi X per gli uomini e ad una iniezione alla base dell’utero per le donne sarebbe in grado di sterilizzare 1000 detenuti al giorno con uno staff di 10 persone “competenti”.

Per essere un nazista bisogna essere: alti come Goebbels, magri come Goering, e biondi come Hitler -A. Eichmann

Fulcro della Germania nazista, fondamentale quanto l’aria da respirare, era la razza. In verità è il punto cardine della propaganda di ogni destra, da Hitler ad Almirante, fino all’odierna Trinità che compone la destra italiana. Effettivamente se osserviamo la storia, sempre c’è stato un popolo dominante sull’altro.

Popolo, etnia e razza però sono concetti impropri. Scientificamente la tassonomia umana ci classifica come Genere homo, specie h. sapiens (o sapiens sapiens, per gli egomaniaci). Antropologicamente, tenendo conto dello sviluppo della specie homo sapiens nel mondo, possiamo trovare tratti somatici differenti; non scopro di certo l’acqua calda se dico che gli africani sono neri e gli scandinavi bianchi. Questo non significa che appartengano a due specie diverse. Per farla semplice, sono membri della stessa specie gli individui che attraverso la riproduzione generano una prole illimitatamente feconda. Il concetto di razza non è contemplato dalla tassonomia. Nei cani ad esempio, il Genere Canis, specie c. lupus nella sottospecie Canis lupus familiaris, definisce il cane, concetto che spazia dal bassotto al bovaro. Le razze dipendono spesso dalle selezioni antropiche, e dall’uso che l’uomo ne faceva. Allora abbiamo razze da caccia, da pastore ecc…

Tornando a noi, il concetto di razza ariana come inteso dai nazisti ha i natali nel “Mein Kampf”, e sta ad indicare genericamente tutti i popoli del nord Europa ad eccezione degli slavi, e tutti i popoli che soggetti alle cosiddette “invasioni barbariche” hanno avuto discendenza da questi. In soldoni, Hitler ce l’aveva coi russi e con gli ebrei.

Dopo le leggi razziali del 1935 venne fatta una meticolosa selezione basata su fattori morfologici quali l’altezza, il colore della pelle, degli occhi, dei capelli, la circonferenza del cranio e altre misurazioni alle quali veniva assegnato un punteggio. Se sommando i diversi punteggi si otteneva un risultato oltre un limite medio, allora si era ariani, al di sotto di questo limite no. Oltre a questa “selezione” veniva considerata l’ascendenza.

Nel verbale della conferenza di Wansee del 20 gennaio 1942 vengono definiti “ibridi” (termine parascientifico) di diversi gradi i figli di coppie miste, i figli di questi ultimi essendo anche loro non puri, alcuni “equiparati” ai tedeschi ed altri no, sulla base sia alle caratteristiche di cui sopra, sia ad una loro condotta personale. Insomma, il concetto di popolo germanico o di razza ariana è stata una invenzione molto comoda da usare alla bisogna, per giustificare una condotta fascista, omicida e guerrafondaia.

Un’estremizzazione del tutti contro tutti. Dopo la mancata rivoluzione tedesca, la possibilità che il socialismo prendesse di nuovo piede sia in termini riformisti e parlamentaristici, sia in termini più radicali e rivoluzionari era un rischio reale. Sfruttando la recessione tedesca al seguito della sconfitta nella Grande Guerra e del crollo della borsa del 1929, Hitler e la sua cerchia di burocrati non hanno fatto altro se non in un primo momento scagliare una borghesia industriale inferocita contro la classe lavoratrice, e in un secondo momento convincere la classe lavoratrice che la natura dei suoi problemi era da ricondursi all’impoverimento della razza, che in termini pratici era rappresentata da tutti coloro che, pur vivendo e “prosperando” in Germania, non erano degni di starci. Non è un caso infatti, che mentre la classe operaia era annichilita e appoggiò Hitler come il “nuovo che avanza”, diversi industriali ebrei finanziarono il nazismo facendo i loro interessi di classe.

Un ovvio parallelismo si può ritrovare nell’Europa di oggi, con la resurrezione dei sovranismi e della morale fascista, che con il benestare di un’area tacita propagandano in termini più moderati (per ora), le stesse cose.

Così come nel Mein Kampf si dice che: “Lo scopo principale da perseguire per uno Stato nazionale è la conservazione dell’antico elemento razziale” oggi si dice “Prima l’italiano”, e non è cambiato nulla.

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