Scienza e politica sono la stessa cosa?
Di Stefano Falai
Valgono di più le persone o le idee? In quale misura e in quali circostanze prevalgono le une sulla altre? Nel guardare alla storia, se Lenin non fosse deceduto, il 21 febbraio del 1924, forse non avrebbe prevalso Stalin e tutto sarebbe cambiato. In realtà questo è solo un episodio, che pur evidenziando l’importanza del singolo, non spiega il contesto in cui avvenne; cioè, l’isolamento del governo sovietico dal resto del mondo, dopo il fallimento della rivoluzione in Europa con la sconfitta del movimento spartachista, nel 1919 in Germania. In altri termini, si potrebbe affermare che se Rosa Luxemburg e Karl Liebnecht avessero vinto la morte di Lenin non avrebbe avuto le tragiche conseguenze a noi note?
Karl Marx, soprattutto nel campo delle scienze della natura, fisica, chimica e della storia, seguiva ogni nuova pubblicazione, tenendo conto di ogni progresso. Per esempio, fu uno dei primi a comprendere l’importanza degli studi di Darwin già prima del 1859, l’anno in cui fu pubblicata -l’origine della specie- (per combinazione lo stesso anno in cui egli diede alle stampe -La critica dell’economia politica-)
Per Karl Marx la politica era studio: “La politica è teoricamente la conoscenza dei milioni e bilioni di fattori che -tessono la storia- e in pratica l’azione determinata da quella conoscenza. La politica è dunque scienza e scienza applicata. La scienza politica o scienza della politica è in certo modo l’essenza di tutte le scienze, poiché abbraccia tutta la sfera dell’attività dell’uomo e della natura, attività che costituisce lo scopo di ogni scienza.”
Questa definizione è assai sorprendente, sotto alcuni aspetti sembra anticipare la meccanica quantistica, che nasce e si sviluppa nella prima metà del secolo scorso e che Max ovviamente non poteva conoscere. La meccanica quantistica è la teoria del funzionamento delle particelle elementari delle quali è composta la materia e si deve confrontare con milioni e bilioni di fattori che interagiscono fra loro; similmente alla teoria della politica di Marx. Ma la somiglianza fra le due teorie non finisce qui: come non è possibile prevedere esattamente gli avvenimenti futuri, la fisica delle particelle è soggetta al principio di indeterminazione di Heisemberg, secondo cui non è possibile misurare contemporaneamente e con esattezza le proprietà che definiscono lo stato di una particella elementare.
Se, per esempio, potessimo determinare con precisione assoluta la posizione di una particella, ci troveremmo ad avere massima incertezza sulla sua velocità. Questo concetto si può esemplificare pensando a come, in linea di principio, si potrebbe misurare la posizione di una particella così piccola da sfuggire dall’osservazione a occhio nudo. Utilizzando un microscopio, sempre più potente, si può pensare di individuarne la posizione con sempre maggiore precisione. Tuttavia, così facendo, noi dobbiamo illuminare la particella con un fascio di luce e, dato che la luce porta energia ed impulso, la nostra particella riceverebbe una piccola spinta che cambierebbe il suo stato di moto. E più si illumina la particella con potenti microscopi più le si fornisce energia modificando il suo momento, cioè la velocità, e quindi ancora meno possiamo determinare la sua velocità di partenza. In altre parole le due misure, della posizione e dell’impulso (massa moltiplicata per la velocità) comportano un’indeterminazione complessiva. Il principio di indeterminazione da un punto di vista concettuale significa che l’osservatore, cioè lo scienziato che fa la misura, non può mai essere considerato un semplice spettatore, ma che il suo intervento, nel misurare le cose, produce degli effetti non calcolabili: una indeterminazione che non si può eliminare.
Stupefacente, ma non troppo. Non sarebbe la prima volta che il pensiero anticipa la scienza con largo anticipo; con una differenza fondamentale però: che la scienza moderna ha immediate conseguenze nella realtà tramite le applicazioni tecnologiche, mentre la filosofia, il puro pensiero speculativo, pur anticipandola non ne ha di concrete. Comunque rimare lo stupore nel constatare che già nel quinto secolo A.C. Democrito propose la “teoria atomica”, secondo la quale la materia è costituita da minuscole particelle diverse tra loro chiamate atomi, la cui unione dà origine a tutte le sostanze conosciute.
Ma allora, se nei rapporti sociali e nella scienza non è possibile prevedere con precisione alcunché, a cosa servono la politica e la ricerca scientifica? Senza una risposta avrebbero ragione agli antiscientisti, l’antipolitica e tutta quella la marmaglia proto-fascista che approfitta dell’ingenuità e dell’ignoranza su questi argomenti delle masse popolari. Allora, a questo punto è necessario il supporto della matematica quantistica, quel tipo di calcolo che si applica alla fisica delle particelle elementari. Pur sempre valendo il principio di indeterminazione, con essa è possibile calcolare le probabilità che una particella si trovi in un punto e non in un altro dello spazio e del tempo. Senza la meccanica quantistica, con le sue leggi assurde per la logica corrente, non esiterebbero tutti quegli apparecchi, fantastici e diabolici, che hanno cambiato la nostra percezione del mondo: computer, cellulari eccetera.
Si potrebbe anche dire che l’accoppiata misteriosa fra principio di indeterminazione e calcolo probabilistico funzioni anche in politica, cioè: se non è possibile prevedere quali saranno gli eventi che cambieranno la società e con quali conseguenze, rimane sempre possibile, attraverso lo studio della storia, della società, dell’economia e con la sperimentazione sul campo dei conflitti sociali, prevedere le tendenze in divenire e, appunto, le probabilità che tali aventi si realizzino davvero.
A questo punto rimane da rispondere alla domanda iniziale: contano di più gli uomini o le idee? Valgono di più i rapporti interpersonali, con tutti i difetti e i pregi della natura umana, o invece ciò che emerge alla fine, nel bene e nel male, nelle sconfitte come nelle vittorie, sono sempre le idee e le teorie di cui gli stessi umani si fanno portatori?
Ebbene, se manteniamo il filologico intrapreso all’inizio, la risposta non può che essere che una sola: sono domande prive di senso; giacché ogni individuo è sempre parte integrante del tutto, dell’intera società, come le particelle elementari lo sono della materia. La differenza sta nel fatto fondamentale che nell’osservare le cose non è sempre possibile mantenere la freddezza dello scienziato. È facile farsi travolgere da impulsi irrefrenabili, giacché gli esseri pensanti cercano non solo ciò che serve per la sopravvivenza fisica ma anche il necessario per soddisfare i desideri spirituali, dei quali non sempre hanno piena coscienza.
Comunque, rimane sempre valido il principio di indeterminazione: anche un semplice spettatore, apparentemente neutrale, in qualche misura può influenzare un confronto fra individui e idee diverse solo per il fatto di essere presente, di vedere e ascoltare. Purtroppo nei periodi di confusione ideologica, di crisi politica e sociale, quando l’intera struttura economica entra in crisi insieme ai suoi principi, fino a ieri ritenuti eterni e inviolabili, ogni conflitto si esprime come una lotta fra singoli individui.
In conclusione, sarebbe buona norma misurare gli altri in confronto a se stessi, nella consapevolezza che non è quasi mai una questione personale, ma di qualcosa di più grande e complesso; un turbine nel quale siamo immersi come esseri naturali soggetti alla natura ed esseri naturali pensanti, con il potere di agire e cambiare le cose in ogni momento della nostra breve vita.