A 180 anni dalla nascita di Verga
Lo stile letterario ed il genio di Giovanni Verga non necessitano certo delle mie spiegazioni, né della mia parafrasi per essere compreso, egli descrive, nelle sue novelle la realtà. La realtà che viveva e che aveva vissuto, della Sicilia e della condizione soprattutto dei diseredati, nella loro guerra per sopravvivere, insomma, senza aver mai abbracciato idee nemmeno vagamente socialiste, parlava della lotta di classe.
Una delle più rappresentative opere che doverosamente vanno citate in questo frangente è di sicuro la novella Rosso Malpelo. Descrive perfettamente la realtà dei minatori sfruttati, e della piaga del lavoro minorile molto di moda alla fine dell’800.
Il personaggio di Rosso Malpelo incarna perfettamente lo stereotipo dello sfruttato, personificando la realtà, tutt’ora perfettamente attuale dell’emarginazione sociale tipica delle minoranze delle classi subalterne, ieri i reietti, oggi possiamo dire gli immigrati e per estensione, i sottoproletari.
Il contesto storico dove è ambientato il racconto, la seconda metà dell’800, in un Italia neonata, è caratterizzato dall’eccessivo sfruttamento minerario e agricolo del meridione, a sostegno della crescita industriale del Grande Nord Produttivo, e di questo trattano numerose opere del Verga, penso a “I Malavoglia” o all’attaccamento di Don Gesualdo per la sua “roba”, accumulata frodando e sfruttando il prossimo.
Il racconto si apre descrivendo brillantemente il protagonista, di per sé considerato cattivo tout court, ladro e meschino, dal carattere schivo e aggressivo, che alla fine della settimana addirittura si teneva parte del salario per sé, in verità, vittima del pregiudizio superstizioso riservato a chi aveva i capelli rossi.
Talmente diseredato che dal padre aveva ereditato solamente il lavoro alla miniera, dove il padrone lo teneva per pietà, facendolo sgobbare come un mulo, come poi accadeva al padre, deceduto in un incidente in miniera in una “missione suicida”.
Il suo compito era di rimuovere un pilastro portante, così da rimuovere tutto il materiale vendibile dalla cava, e rimasto sotto le macerie, fu soccorso solo dopo 6 ore, dopo che l’ingegnere a capo del lavoro ebbe finito la serata a bagordi. L’ingegnere decretò solennemente che i costi non potevano essere affrontati, poiché oltre al corpo del padre, c’erano da portare fuori troppe macerie.
La condizione di estrema emarginazione e di povertà, quindi, portò Malpelo ad avere atteggiamenti sociopatici, e alla morte del suo più caro amico, deceduto anche lui sotto il peso del lavoro, si offrì per andare ad esplorare una nuova galleria, morendo anch’egli, come ormai tradizione, nell’indifferenza generale.
Nell’odierna Italia, si vive una situazione analoga, di discriminazione e di ghettizzazione delle minoranze (un ovvio parallelismo può essere quello di tramutare i capelli rossi con la pelle nera), soprattutto spalleggiate da una classe politica antioperaia e totalmente disinteressata ai problemi reali, che invece sono una amara quotidianità.
Quello che colpisce alla lettura, è la naturalezza con la quale i colleghi della miniera picchiano ed insultano Malpelo, non “come se fosse inferiore”, ma “in quanto inferiore” a loro. Analogamente, dopo 130 anni abbiamo ancora operai contro operai, divisi solo dalla fascia di reddito, operai interni contro operai assunti da cooperative a volte per la metà del salario, come se ne avessero colpa loro. Operai italiani in lotta contro gli operai stranieri, e sempre in minor numero se la prendono col padrone, che fomenta con avidità queste divisioni.
L’opera del Verga, per concludere, non voleva essere un monito, lui sosteneva l’immutabilità del mondo regolamentato solo dalla lotta per la sopravvivenza dettata dall’egoismo individuale, ma d’altro canto si sa, gli artisti non sono politici, e non devono mai essere letti in chiave politica. Resta solo un resoconto delle condizioni della classe operaia di un tempo passato, che però viviamo ancora.