L’incontenibile leggerezza del voto
Di Riflessoincondizionato
Il dibattito politico sta diventando allucinante. L’ultima furbata di una classe politica a limite della demenza, è l’idea di estendere il diritto di voto ai sedicenni. Scopo evidente è quello di attirare le simpatie dei giovani tumberghini, che in questi giorni hanno invaso le piazze di mezzo mondo: prima non ci pensavano neanche.
Intendiamoci, non è che i minorenni, contrariamente agli adulti, non siano in grado scegliere; il problema è un altro, cioè, che la maggioranza degli elettori, grandi o piccoli che siano, sa bene chi vota ma non per cosa vota.
I padri costituenti della Repubblica italiana, in effetti, tennero conto di questa contraddizione, fra la volontà delle masse e la sostanziale incoscienza delle stesse.
Infatti, la democrazia repubblicana, e la Costituzione che ne determina i principi fondanti, è concepita come ente di mediazione fra il Governo e la massa degli elettori. In altri termini, non si chiede ai cittadini di scegliere che li debba governare, ma un orientamento di massima, che poi si deve tradurre, in seno al Parlamento, nell’azione effettiva di governo.
Si tratta quindi di un voto più consultivo che legislativo; che dovrebbe, secondo gli intenti, non solo realizzare la volontà della maggioranza ma anche rispettare i diritti delle minoranze.
Non c’è dubbio che il suffragio universale sia stato una grande conquista, solo in linea di principio però, per la semplice ragione che si dà per scontato che tutti siano in grado di comprendere le conseguenze, sociali e personali, della propria scelta elettorale. Una ipocrisia evidente delle classi dirigenti, che sono perfettamente coscienti della confusione che regna nella mente dei semplici, in quanto facilmente influenzabili, e manipolabili, con le tecniche di propaganda politica, mutuate dalla pubblicità commerciale.
Rivendicare il diritto del popolo, nell’accezione più estesa, di eleggere direttamente chi li debba governare è una truffa e una ipocrisia reazionaria.
Il problema è che in una società classista, dominata economicamente e culturalmente dalla borghesia, la Costituzione, con i suoi pesi e contrappesi, si rivela utopia, specialmente nelle fasi di crisi economica, quando il conflitto di classe diventa impossibile da ricondurre nell’ambito del compromesso costituzionale fra capitale e lavoro.
Il suffragio universale, in questo contesto, diventa un formidabile strumento di conservazione dello status quo, anzi, di approfondimento delle differenze e delle ingiustizie sociali. La democrazia come viene generalmente intesa, si trasforma nella sua eccezione peggiore: la dittatura degli ignoranti; mentre la Repubblica si avvita in una crisi senza sbocchi.
Solo in una Repubblica socialista, senza classi sociali, la Costituzione italiana, così come è scritta, potrebbe evolvere in senso progressivo; ma a questo punto, probabilmente, non avrebbe più ragione di essere.