L’intelligenza ci salverà
Di Riflessoincondizionato
Dare una definizione precisa all’intelligenza è cosa ardua. I neuroscienziati, i filosofi e tutti coloro che se ne occupano professionalmente, non sono concordi nel determinare una scala di importanza degli elementi che, interagendo fra loro, determinano il livello intellettivo degli individui, a parità di condizioni socio-culturali, ambientali e genetiche.
In sostanza, considerando che ogni individuo è diverso da tutti gli altri, è quasi impossibile misurare l’incidenza dei singoli elementi. Inoltre, la stessa definizione di intelligenza è soggetta al concetto di intelligenza che ogni società le assegna nel senso comune. Per esempio, il grande pittore Antonio Ligabue, considerato in vita un emarginato, era un genio o un demente? E perché in occidente i dementi venivano rinchiusi, mentre in America presso il popolo Sioux venivano considerati più vicini agli Dei?
Accontentiamoci allora di una definizione più semplice: intelligenza è la capacità di immaginare il futuro, risolvere i problemi e prevederne le conseguenze, non solo nel proprio contesto individuale, ma anche collettivo: cioè, l’incidenza delle proprie scelte sugli altri individui, che per quanto possa essere minima non sarà mai inesistente. Estendendo in questo modo il concetto, potremmo affermare che l’intelligenza, più o meno sviluppata, è un prodotto sociale e che la media intellettiva dei singoli può svilupparsi o regredire a seconda dello spirito dominante del tempo in cui vivono.
Così, anche l’intelligenza diventa un prodotto politico: una relazione dipendente dai rapporti e dai conflitti all’interno del genere umano…e da quale tipo di potere politico, di Stato, domina la società.
Una persona può fare del male senza essere malvagia? Era questa la complessa domanda che assillava la filosofa Hannah Arendt mentre, nel 1961, seguiva per il New Yorker il processo per crimini di guerra ad Adolf Eichmann, il funzionario nazista responsabile di aver organizzato il trasporto di milioni di ebrei – e non solo – nei campi di concentramento per la Soluzione Finale.
Arendt pensava che Eichmann fosse un burocrate ordinario, se non addirittura noioso. Uno che, stando alle sue parole, non era “né perverso, né sadico”, ma “spaventosamente normale”. Egli non agì per nessun altro motivo se non per assicurarsi diligentemente di far avanzare la propria carriera nella burocrazia nazista. Ne La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), il libro che risultò dallo studio della filosofa sul caso, Arendt arrivò a concludere che non si potesse parlare di Eichmann come di un mostro senza morale. Egli fu un uomo che compì azioni orribili, ma senza cattive intenzioni, solo per “incoscienza” per un distacco dalla realtà malvagia dei suoi atti. Eichmann “non capì mai cosa stava facendo” a causa della sua “inabilità a pensare dal punto di vista di qualcun altro”. Mancando di questa particolare abilità cognitiva, “commise i suoi crimini in circostanze che gli resero quasi impossibile capire o sentire cosa stesse facendo di male”.
I nazisti e i fascisti furono molto abili nel costruire una società senza intelligenza, senza pensiero e senza coscienza delle conseguenze. Ci riuscirono perché il contesto storico lo consentiva (la grande crisi economica del ’29), ma, oltre la repressione, la propaganda fu un mezzo formidabile per cancellare la facoltà del pensiero della stragrande maggioranza della popolazione ed emarginare gli oppositori. Essi svilupparono i mezzi di informazione di massa, i giornali, il cinema e la radio, per distorcere la realtà, semplificandola e adattandola al livello minimo di comprensione possibile. Così, sostituirono la paura del futuro con l’odio per nemici immaginari, che è quello che sta accadendo oggi con la crescita dei partiti populisti e dichiaratamente fascisti in tutto l’occidente. Anch’essi sono il prodotto della crisi economica e delle politiche restrittive dei partiti liberali, attuate per arginare la crisi e rilanciare i profitti. E sono molto abili ad usare i mezzi di informazione di massa per distorcere la realtà a loro favore. Non c’è errore più grave che sottovalutare gli effetti che essa produce nelle facoltà intellettive. L’informazione è energia , in quanto il ricettore, il cervello, non può fare a meno di prenderla in considerazione; come lo sono l’energia elettrica, quella nucleare eccetera. Essa può alterare, deperire o accrescere l’intelligenza dei singoli e della società.