Economia domestica ed economia di impresa
Di Falaghiste
Qualche anno fa, Beppe Grillo disse che una casalinga di Voghera con tre figli sarebbe stata un ministro dell’economia molto migliore di quello in carica. Questa affermazione, per quanto assolutamente ridicola, esprimeva l’idea che l’economia domestica fosse la stessa cosa dell’economia di impresa; o comunque che, a parte le dimensioni, gestire i conti familiari presupponesse conoscenze e provvedimenti simili a quelle necessarie a una azienda o addirittura allo Stato.
Il problema che questa stupidaggine di è diffusa sull’onda del populismo, sulla base del quale sarebbero i cittadini comuni a dover governare, attraverso dei capi illuminati che sappiano interpretare i loro bisogni, a prescindere dal fatto che i cittadini non siano tutti uguali. In realtà, ci sono i poveri, i ricchi, i ceti medi, gli imprenditori e gli operai…i disoccupati e quelli che vivono di rendita, eccetera; con interessi opposti e contrari, ma per il populismo, appunto, sono tutti popolo, uguale e indistinto, e i conti devono tornare nello steso modo per tutti. Il guaio è che questa idea fa comodo non solo ai populisti ma anche ai democratici, perché serve a nascondere lo sfruttamento dei lavoratori nelle imprese capitaliste. In un certo senso, il populismo e la sua progressione verso il fascismo, sono il prodotto perverso dell’ideologia borghese nelle fasi di crisi strutturale, ovvero quando il capitale in eccesso non trova sbocchi produttivi per riprodursi in maniera progressiva.
Allora, di questo ne ho avuto conferma qualche giorno fa, in occasione di una cena con tre cari amici. Uno di loro, imprenditore e dichiaratamente progressista, cosa da non mettere in dubbio, quando ho detto che il debito pubblico, salvo quello relativo al piccolo risparmio, andrebbe di fatto abolito con la cessazione del pagamento degli interessi, lui mi risponde, guardandomi serio. “Se uno fa un debito poi lo deve pagare!”.
La solita storia, come se tutto dipendesse dall’onestà; concetto che in economia non viene mai preso in considerazione e che molto spesso dipende dai punti di vista.
Io gli rispondo: “L’economia domestica è altra cosa dall’economia aziendale e dello Stato; cioè della politica economica in generale”.
“No, sono la stessa cosa!”, ribatte deciso e poi, contraddicendosi, aggiunge:” Per capire di economia bisogna averla studiata, magari alla Bocconi”.
Praticamente mi dà dell’ignorante, sebbene in maniera bonaria e amichevole. Anche a questo ci sono abituato: i borghesi in quanto padroni e persone di successo, anche se con un passato proletario, come questo mio amico, sono talmente sicuri di sè che non prendono nemmeno in considerazione che l’economia è una scienza sociale, che dipende dal tipo di società alla quale si aspira. Cioè, quale tipo rapporti di produzione e proprietà, in questa fase storica regressiva, siano funzionali al miglioramento economico e sociale dell’intera umanità. Una riflessione questa che, dopo perlomeno vent’anni di macelleria sociale, chiunque con un minimo di comprendonio si dovrebbe porre onestamente.
Ma l’ideologia è una brutta bestia, quando viene usata per giustificare i propri privilegi: dura come il granito. E se è quella della classe dominante, anche la più colta e cosciente del proprio ruolo sociale, lo è ancora di più: totalmente estranea alla ragione e a una prospettiva di reale progresso.