Ciao, fui Nahuel Moreno…
Di Salvo Lo Galbo
Ciao, fui Nahuel Moreno, un revisionista di Trotsky e un rinnegatore della rivoluzione permanente in opposizione alla quale teorizzai le rinverdite e spumeggianti rivoluzioni democratiche borghesi contro i fascismi di tutto il mondo.
Dal momento che io stesso non capii mai cosa fu il fascismo e non seppi riconoscergli il suo carattere dialettico di classe, mi convinsi che la borghesia nordamericana che liberava l’Europa dal nazifascismo assumesse in ciò “il ruolo più progressivo di tutta la storia dell’umanità”.
Chi se ne importa se Trotsky diceva, pensando da dialettico marxista qual lui fu, non io benché ci tenni tutta la vita a dirmi trotskista, “è inutile allearsi col diavolo per combattere contro le corna e la coda del diavolo”, intendendo che è stupido allearsi con la borghesia per combattere un fenomeno stesso della borghesia, ovvero il fascismo?
Trotsky diceva che la borghesia “democratica” (cioè quella meno in crisi) può certo combattere, anzi non potrà che farlo (è l’imperialismo secondo Lenin) contro la borghesia fascista (cioè quella più in crisi), e in questa lotta può trovarsi accanto i proletari.
Ma i proletari combattono per conto loro e per un loro programma: il socialismo. Può pure cominciare a riportare una serie di vittorie sue, la borghesia democratica, che, dove congiunturali alle conquiste operaie, gli operai terranno buone. Ma poi gli operai vorranno andare in là da queste e le borghesie democratiche non vorranno. Allora, o sarà ancora guerra, la rivoluzione permanente (’17 russo docet), e nel partito rivoluzionario da essa guidato, la classe lavoratrice vincerà, o tutto si arresterà alle conquiste borghesi, ma ci sarà un cazzo da festeggiare: saremo sempre nel quadro capitalistico e altre crisi, da risolversi solo con altre guerre, torneranno!
Lungi da me che chiamai “trionfanti” le rivoluzioni democratiche (che, tecnicamente, nemmeno rivoluzioni dovrebbero chiamarsi; la borghesia ha esaurito il suo compito rivoluzionario col superamento del feudalesimo), Trotsky chiamò la vittoria di quelle rivoluzioni senza la trascrescenza a seguire, “aborto delle rivoluzioni proletarie”.
Ma che me ne fregò a me di quello che disse Trotsky?
In questo libro vi spiego che:
“ciò che Trotsky non ha affermato è stata la necessità di fare una rivoluzione dentro il regime politico dei paesi capitalisti: distruggere il fascismo per conquistare le libertà della democrazia borghese, anche sul terreno politico della borghesia, dello stato borghese.
In concreto, non ha affermato che fosse necessaria una rivoluzione democratica per liquidare il regime totalitario fascista, come una tappa o un primo passo verso la rivoluzione socialista, e così ha lasciato in sospeso questo grave problema teorico”.
Trotsky l’aveva spiegato eccome e non lasciava in sospeso un corno! Aveva spiegato che non esistono rivoluzioni democratiche borghesi, esistono scanne tra i borghesi più forti contro i borghesi più deboli, quindi più reazionari, i fascisti, e che quelle scanne sociali sono anche scanne di classe, che riguardano il proletariato, che il proletariato deve dirigere, finché può anche condividendo il terreno coi borghesi, ma poi superarli per instaurare il socialismo.
Quindi autonomia di programma e autonomia di partito.
I partigiani non dovevano sabotare gli americani, gli facilitavano il compito. Ma dovevano lottare per i fatti loro e ogni volta che li incontravano dirgli “Suca!” “Tempo che fucilo i fascisti e poi fucilo te!”.
“Noi crediamo che i fatti abbiano dimostrato che esiste un grande errore nelle Tesi della rivoluzione permanente. Perché la classe lavoratrice organizzata e il suo partito rivoluzionario li abbiamo visti prima, ma nel periodo dell’ultimo dopoguerra non più. Sostenere che invece quel modello abbia trovato conferma nei fatti, significherebbe essere un cieco, un fanatico di Trotsky, un religioso di Trotsky, e Trotsky stesso sarebbe contro di noi.
Eppure, siamo ancora dei fanatici della rivoluzione permanente. Perché? Perché, nonostante questo tremendo errore, crediamo che sia l’unica teoria che possa trovare riscontro nella realtà?”
Questo invece dicevo io.
Chiamai rivoluzioni e instaurazioni di democrazia anche guerre normalmente imperialiste in cui vinse la borghesia meno decadente o la burocrazia stalinista che, dopo Yalta, si comportava esattamente come una potenza imperialista, carri armati, occupazioni, calate di regime. Che fossero regimi socialisti fu un caso perché si muovevano dalla Russia in cui scoppiò la rivoluzione d’ottobre e perciò il modello d’esportazione era il socialismo. Fosse stata altro, avrebbe esportato altro. Ma di certo non si può chiamare “rivoluzione” l’invasione di Berlino. A meno che non sei Moreno.
Seguendo il fantasma democratico rivoluzionario-tappista (che altro non era che il fantasma menscevico), contro il socialismo rivoluzionario e la rivoluzione permanente (che non si fa “per tappe”, ma in un unico flusso storico costituito da “una serie di battaglie, convulsioni, situazioni mutevoli, svolte brusche che nel suo insieme costituiscono i diversi stadi della rivoluzione proletaria; e potrebbero esserci molte fasi, ma ciò non implicherebbe mai la rivoluzione borghese o questo misterioso ibrido, la rivoluzione “popolare” (cit. Trotsky, 1930, “Problemi sulla rivoluzione italiana”). Io, Nahuel Moreno, ho dato vita a un coordinamento internazionale (veramente solo in America Latina) antitrotskista che si dice trotskista e riformista che si dice rivoluzionario.
Per questo stesso motivo, cioè l’incapacità di distinguere il campo proletario da quello borghese in momenti di tumulto, i compiti proletari da quelli borghesi, ho insegnato ai miei epigoni a condividere le piazze ucraine coi nazisti, far proprio il referendum revocatorio contro Maduro promosso dalla destra venezuelana o a gridare alla “rivoluzione antiburocratica” al tempo della dissoluzione dell’Urss, per quanto di antiburocratico ci fosse un cazzo ed era la stessa burocrazia che scioglieva l’Urss, cambiando doppiopetto e cestinando il referendum in cui il 76,4% degli elettori sovietici votò per il mantenimento dell’Urss, benché riformata, deburocratizzata.
I miei epigoni sono i morenisti, figli di un trotskismo deviato e dichiaratamente revisionista, ma la cosa bella è che si credono troppo bolscevichi e troppo trotskisti!
E vanno tacciando di lassismo menscevico gli altri e di intesa con le borghesie solo perché cercano – a differenza di loro che stabilito che non per forza i lavoratori condurranno la rivoluzione possono permettersi il lusso di non interfacciarvisi mai – di egemonizzare in senso rivoluzionario i sindacati, standoci dentro.
I trotskisti tappisti! Come a dire, Ciccioline vergini.
E vanno calunniando chi cerca di usare con metodo la parola rivoluzione e, con metodo, di metterla in atto.
Insomma, fui Nahuel Moreno e considerando che, in fin dei conti, tutta la mia carriera politica constò di infiniti zigzag (prima contro Castro, poi viva Castro, prima contro Peron, poi viva Peron), magari, se ci fossi ancora, alla prova dei fatti di tutte le ciollate che ho propagato da vivo, io stesso mi ricrederei. Non ho fatto altro in tutta la vita, voglio dire… È risaputo che non ho problemi a cambiare idea. E non è affatto un male.
Ma siccome Nahuel Moreno ormai fui, e quel che lasciai sono i morenisti della LIT – CI che ridicolizzano agli occhi del mondo il nome della Quarta Internazionale, quelli no, quelli la cosa più importante che dovevano apprendere da me, la capacità di dire “Scusate, ho detto cazzate!”, non l’hanno appresa mai.
E vanno convinti. Chissà quanto, in verità.
Me lo chiedo pure io.