La storia uccide chi vuole uccidere la storia
di Salvo Lo Galbo
Penso che, in ultima analisi, la battaglia si riduce tra chi vuole dare un senso a questo mondo e chi no.
Tra chi vuole che ci si svegli ogni mattina, costretti a far cose che non capiamo e che non vogliamo,
e chi a tutto questo vuol dare una soluzione. La chiamiamo rivoluzione.
Tra chi vuole che mi alieni al lavoro, che picchi mia moglie, che menta a me e agli altri, e gli altri.
Tigri di carta, tra amori di carta in carta pagati, tra quadri appesi in salotto per farvi belli di cultura che non avete, fatta dagli stessi che in vita trucidate; il puzzo delle vostre auto nuove. Ma come farete?
Voi che avete soldi e morite di noia, e di odio.
L’uomo che ama se stesso non può odiare un suo simile.
E’ a giudicare dal male che fate che si capisce quanto profondamente vi siete reietti.
Ed io che vi conosco, vi augurerei quasi di vincerla.
Che è l’augurio peggiore che vi si possa fare.
Se non fosse che per vincere voi, dobbiamo perdere noi,
e noi non ci stiamo.
Ma credete, non è per agonismo, quell’eroismo di merda che è una cosa inventata da voi per mandarci in guerra.
Non prendetela come una sfida personale.
Non è con l’odio che si dura una vita di lotta, col risentimento.
E’ un istinto.
Io, a perdere ci ho provato.
Ho passato giorni interi in fondo a un materasso, e quando ne uscivo, guardavo basso, salutavo a vuoto, e mi obbligavo a stornare un senso da tutto ciò che vedevo.
Ma ogni pensiero che intasavo nel cervello, come un tubo d’acqua bloccato, non faceva che aumentare l’esplosione.
Dietro ai vostri sguardi quasi candidi d’idiozia, io so che pensate “Ma chi ce lo fa fare?” Morire per delle idee, ma perché? Che stupida vocazione al martirio è? Ci vedete come una deviazione, una patologia. Degli alieni.
La disumanizzazione del nemico è l’arma più potente di ogni guerra.
Il fatto è – proverei anche a spiegarvelo – che a certe condizioni, quelle idee non sono altro dalla tua vita.
Che quelle idee sei tu, da dove vieni, ogni torto che hai subìto, ogni fortuna che non hai avuto, e fare a meno di loro vuol dire fare a meno di te.
Sarebbe una morte da vivi. Da impartirsi con costanza.
E forse si può anche riuscirci, non dico di no.
C’è chi è bravo a farlo. E c’è chi appartiene alla tragica categoria di chi non lo è.
E non siamo pochi.
La sola cosa che vi resta è d’ammazzarci tutti. Uno a uno.
Ma credete che oltre alla paura, proveremmo il minimo pentimento per ciò che fummo?
Le gole che reciderete sgorgheranno delle bestemmie al sole dei nostri avi. Una parola riempie le tempie a cui sparerete.
Il cuore che fermerete, nascosto e silenzioso come un minatore, non ha mai picconato un minuto su angoli che non sfondassero a un mondo diverso dal vostro.
Il mondo, sarebbe anche un bel posto.
D’estate si può nuotare a gara con gli amici, d’inverno fare l’amore a un petricore che ti commuove, che sa di vita, di terra e acqua.
Invece, voi il mondo lo volete solo per voi. Per i vostri soldi e non vi fermate neanche un attimo a pensare che quei soldi non significherebbero nulla se non la ricchezza che noi produciamo.
E così, qual è il senso del vostro egoismo?
Ma non c’è speranza che capiate.
Che rinunciate alla vostra bandiera.
Non rimane che la guerra, tremenda; è essa che ha sempre pagato.
Il punto è che a noi, per vincere, basta togliervi i soldi.
Voi, per vincere, dovete toglierci di mezzo.
Accomodatevi! Le nostre difese sono quel che sono.
Vedrete dopo, per un capo tagliato, i cento che ne spunteranno.
Che siamo fatti di storia, di quella passiva, nel sottoscala, la storia cattiva di cui avete vergogna, che nascondete a voi stessi.
E la storia non si uccide.
La storia uccide chi vuole uccidere la storia.