Dalla parte dei lavoratori dell’Ilva
Com’era prevedibile la vendita dell’Ilva al miglior offerente si traduce in un attacco pesante ai lavoratori: 6000 operai in “esubero”, prevalentemente a Taranto ma non solo. Questo è il conto presentato dal gruppo d’AcelorMittal, vincitore della gara d’acquisto. Gli stessi operai sfruttati per decenni e falcidiati dai tumori si vedono ora minacciati dalla privazione del lavoro. I licenziamenti come “risarcimento” delle morti. Se poi i sindacati vorranno ridurre gli “esuberi” dovranno accettare l’abbattimento dei salari, ha aggiunto a mezza bocca la nuova proprietà. Non è tutto. I nuovi padroni offrono la miseria di appena 25 milioni per investire in “salute, sicurezza, ambiente” ( un terzo di quanto ha offerto la cordata dei pescecani concorrenti di Acciaitalia) dopo aver già incassato come condizione preliminare d’acquisto l’esonero da ogni controversia legale in fatto di tutela ambientale. Mentre annunciano che la sola copertura dei parchi minerari (da cui si alzano le polveri che uccidono i lavoratori tarantini) richiederà ben 5 anni, contro i 2 previsti dal piano ambientale originario. Insomma: lavoro e salute sono incompatibili col profitto.
Sole 24 Ore, quotidiano di Confindustria celebra la vendita dell’Ilva con parole alate. “ L’Ilva ha un acquirente. L’asta ha funzionato. E’ stato ristabilito un principio di realtà. Non vi piace la parola mercato? Usiamo la parola industria. E’ stato reintrodotto nel discorso sull’Ilva il principio della sostenibilità del numero di dipendenti rispetto alla finanza d’impresa e all’attività produttiva… Va richiesto realismo ai lavoratori e ai sindacati” ( 31/5). Più chiaro di così! Il principio di realtà è l’interesse del padrone. Le sue vittime se ne facciano una ragione. Peraltro non si tratta di un caso particolare. In tutto il mondo l’enorme sovrapproduzione siderurgica trascina un attacco frontale ai posti di lavoro, dentro una selvaggia concorrenza per la spartizione del mercato. Anche in Europa. Non a caso l’Antitrust europeo ha già notificato al gruppo Acelor il rischio che la sua acquisizione dell’Ilva possa configurare una posizione dominante incompatibile con le regole della concorrenza nella UE. Acelor ha replicato che se necessario rinuncerà ad alcune produzioni: tagliando posti di lavoro in Polonia, in Germania, in Francia, in Lussemburgo. L’attacco al lavoro degli operai dell’Ilva è parte dunque di questo scenario globale.
Per questa stessa ragione la difesa del lavoro e della salute degli operai dell’Ilva richiede una soluzione anticapitalista. Era chiaro sin dall’inizio che nessun nuovo capitalista acquirente avrebbe garantito lavoro e salute. La riduzione dei posti di lavoro e degli investimenti ambientali era al contrario il terreno stesso della gara d’acquisto. Gli acquirenti comprano in funzione del massimo profitto, e il massimo profitto richiede l’abbattimento del “costo” del lavoro e dei “costi” ambientali. L’offerta Acelor è stata accettata e premiata dal governo Gentiloni e dal ministro Calenda, quali piazzisti del capitale. Non può essere accettata dagli operai dell’Ilva. Occorre una opposizione di massa che unisca i lavoratori dei diversi stabilimenti Ilva, contro ogni logica mirata a dividerli. Occorre costruire una opposizione di lotta radicale, quanto radicale è l’attacco del padrone. Occorre ricondurre l’azione di lotta all’unica soluzione che possa garantire la difesa del lavoro e della salute degli operai: quella della nazionalizzazione dell’Ilva, senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori. Fuori da questa prospettiva, come i fatti dimostrano, si prepara solamente il peggio.
Il PCL sostiene da sempre incondizionatamente la lotta dei lavoratori dell’Ilva, come la lotta di Genova di un anno fa. Portando in questa lotta, come in ogni lotta, la prospettiva politica del governo dei lavoratori. L’unica vera alternativa. L’unica che possa riorganizzare la società dalle sue fondamenta, rovesciando la dittatura del profitto.