Riflessioni (di un uomo) sul maschilismo
di Masaniello
Il maschilismo è una malattia infantile che pone la donna in continua sottomissione all’uomo, unico essere meritevole di ogni privilegio e padrone del potere decisionale. È l’uomo a dettare le linee guida alla famiglia, sui luoghi di lavoro e in ogni contesto della società occidentale e non solo, salvo poi accaparrarsi meriti e scaricare i demeriti sui suoi sottoposti (e sottoposte). Non sono bastate le lotte degli anni Settanta per stabilire l’ovvio: ossia che uomini e donne sono uguali. Ancora oggi la donna guadagna in meno dall’uomo a parità di mansione e vive sulla sua pelle una miriade di altre discriminazioni.
Grazie alla propaganda patriarcale neanche la donna stessa crede nelle proprie capacità, si sente in obbligo si assolvere ai doveri di casa, di accudire i figli e gli anziani, e se non bastasse con il proprio stipendio contribuisce a portare avanti il ménage familiare, con buona pace della rivoluzione. Questo ritratto patriarcale ha molti artisti, ognuno ha dato una pennellata, dalla chiesa al fascismo entrambi servi del capitale.
E il ritratto che la cultura di oggi fa della donna è obbligatorio, rappresenta un modello a cui non si può sfuggire.
La donna più emancipata e consapevole della propria sessualità viene etichettata come “malafemmina” se solo lascia i figli al marito per andare in palestra o seguire un proprio hobby, o peggio ancora se si innamora di un altro uomo o donna. Ovviamente a parti invertite l’uomo risulterebbe un macho e un figo.
Una sorte analoga alle donne la vivono gli omosessuali, ancora costretti a nascondersi in questa società incivile che vede i fascisti liberi di manifestare con tanto di bara per un unione di persone dello stesso sesso (come successo a Cesena) per celebrare il funerale della famiglia tradizionale, come se la famiglia tradizionale fosse l’ultimo baluardo in difesa della morale, che deve essere unisex, con tanto di presenza domenicale in chiesa, perché questa è la normalità. Poco importa se poi questa normalità viene imposta a suon di botte, nelle migliori delle ipotesi. Sorte ben peggiore è toccata alle 1740 donne uccise dai propri partner negli ultimi 10 anni.
La libertà di ogni individuo deve passare attraverso l’abbattimento di ogni pregiudizio di questa società vecchia, violentata dai precetti di madre chiesa che sancisce l’ inferiorità della donna e la sua totale sottomissione all’uomo. L’immagine che la chiesa dà dei rapporti tra uomini e donne rasenta il ridicolo: pretende di normare sentimenti di amore e di passione che nessun ministro di dio dovrebbe teoricamente aver mai provato, così come non li ha mai provati dio stesso, che non si è mai unito carnalmente per concepire. Passione, amore, corpi e parità devono essere assolutamente assenti dai rapporti uomo-donna, finalizzati alla procreazione e non al piacere, ed esclusivamente sbilanciati in termini di rapporti di potere dal lato dell’uomo, che tramite la società di sua diretta emanazione decide dove apporre l’etichetta di “normale”, “etico”, “sano”, “giusto”.
L’unica soluzione per liberarci dalla chiesa, dal fascismo e dall’imperante infantilismo machista è abbattere questa società in cui questi disgustosi fenomeni sono nati: la società capitalista. La vera lotta femminista è di classe, o non è. E nella lotta di classe le donne proletarie sono le nostre alleate più preziose.