La catena continua di scioperi delle lavoratrici e dei lavoratori delle cooperative
Da: Collettivo Femminista Rivoluzionario
Finalmente è emerso il grave problema dello sfruttamento dei milioni di lavoratori e lavoratrici dipendenti di cooperative e aziende di servizio e il marciume degli appalti pubblici al ribasso. Per la prima volta ci troviamo di fronte ad una catena continua di scioperi del settore terziario ed in particolare delle donne delle pulizie che prestano servizio negli ospedali le cui condizioni di lavoro e i bassi salari hanno raggiunto livelli molto vicini alla schiavitù garantendo, nel totale silenzio sindacale di decenni, enormi profitti alle cooperative e alle aziende appaltatrici. Il coperchio della pentola nel terziario è saltato quando i lavoratori e le lavoratrici della COPURA, cooperativa di servizi del faentino, hanno incrociato le braccia nel passaggio di gestione. Quei lavoratori, assunti il 25 gennaio si son visti dimezzare lo stipendio e i contributi, ridurre le ore contrattuali da 40 a 28. Tuttavia, il carico di lavoro da svolgere in quasi metà tempo è aumentato, creando ritardi nelle consegne. Attualmente sono rimasti 17 lavoratori, perché 3 si sono licenziati in quanto lo stipendio non garantiva loro la sopravvivenza (ulteriori informazioni qui).
L’improvviso interesse e appoggio della CGIL alle richieste dei lavoratori ha prodotto un effetto domino su tutto il territorio italiano, le lotte e gli scioperi del settore dei servizi ospedalieri sono tutt’ora all’ordine del giorno, in particolare sono venute alla luce le reali condizioni di lavoro delle donne addette alle pulizie degli ospedali. Le loro lotte proseguono nella provincia di Pisa con lo stato di agitazione delle lavoratrici della multinazionale multiservizi SODEXO, le quali denunciano la pericolosità, sia per gli operatori che per tutti i cittadini che usufruiscono del servizio sanitario pubblico, della politica aziendale. Tale politica è volta all’esasperato risparmio sui materiali e non consente di rispettare le giuste procedure in merito all’inquadramento professionale, alla formazione, alla sicurezza. Non soltanto infezioni, ma anche stress e malattie professionali sono all’ordine del giorno, con un costante clima di tensione tra le lavoratrici e i responsabili aziendali, ma anche con i vertici dell’INAIL ed il medico aziendale. Le lavoratrici delle pulizie vogliono semplicemente smettere di essere l’ultimo anello della catena di un sistema sanitario sempre più aziendalizzato, in cui i ritmi di lavoro sono massacranti, e le varie figure (Oss, infermieri, medici, pazienti) sono costretti ad una produttività tutta a beneficio dei grandi manager e delle aziende che guadagnano dagli appalti. Intanto arrivano le prime lettere disciplinari alle lavoratrici.
Tuttavia, la lotta delle donne appaltate non si ferma qui. Prosegue infatti anche a Torino, all’ospedale delle Molinette, lo sciopero delle 380 dipendenti dell’azienda appaltatrice DUSSMANN che vuole ridurre le ore di lavoro del 40%. È ovvio che tale riduzione di orario determinerà un decurtamento anche del salario, ma non del livello di produzione da effettuare da parte delle lavoratrici.
A Bergamo scioperano invece 20mila lavoratori di turismo, pulizie, servizi integrati e multiservizi che da 4 anni non vedono rinnovato il contratto e che ad ogni rinnovo di appalto rischiano di perdere il lavoro.
Gli appalti pubblici da soli rappresentano più del 15% del Pil nazionale. Secondo i dati della CGIL i lavoratori impiegati sono oltre 3,5 milioni, e spesso sono costretti a fare i conti con la mancanza di tutele adeguate e di diritti, oltre che con condizioni di vera e propria illegalità.
La proposta della CGIL, ancora in discussione con il governo, è centrata sulla regolamentazione degli appalti, ossia:
1) Introdurre livelli minimi di qualità del lavoro a cui le aziende o cooperative appaltatrici devono attenersi per garantirsi l’appalto (accreditamento)
2) Reintrodurre la clausola del mantenimento del posto di lavoro nel caso di cambio di appalto, eliminata dalla riforma Fornero. Sono decaduti, infatti, l’obbligo a carico della cooperativa subentrante di assumere tutto il personale dell’impresa uscente e la responsabilità solidale della committenza, ossia l’ente che emette il bando d’appalto, nell’eventualità in cui la cooperativa non rispetti i diritti salariali e contributivi dei lavoratori. È così che viene messa in discussione, anzi compromessa, la continuità occupazione e si lasciano libere le ditte di trasformare, a sfavore dei lavoratori, orari, tempi, livelli, mansioni, ruoli. Molto spesso gli stipendi e le ore di lavoro, sulla carta, vengono dimezzati, ma l’impegno effettivo richiesto ai lavoratori non varia.
3) Contrastare la concorrenza sleale tra imprese. La formula proposta, già sperimentata in alcune realtà lavorative del pubblico impiego, ha in effetti contrastato la concorrenza sleale fra cooperative perché ha depennato le gare d’appalto al ribasso, ma a favore di un sistema di accreditamento che consegna di fatto un servizio pubblico “ad aeternum“ ad una sola cooperativa, eliminando così qualsiasi competizione con le altre. Rimane la competizione del tutto sleale invece fra ente pubblico e cooperativa privata per l’assegnazione del servizio da parte dell’una e il mantenimento del servizio da parte dell’azienda pubblica, quest’ultima svantaggiata da una maggiore pressione fiscale (iva al 22% per il pubblico, al 4% per le cooperative).
Per garantirsi la gestione di un servizio, le aziende pubbliche e private devono possedere caratteristiche specifiche dettate da norme che garantiscano una sempre maggiore qualità del lavoro, norme che cambiano ogni anno e richiedono sempre maggiori carichi di lavoro da svolgere in minor tempo e a parità di salario in un incessante aumento di produttività e responsabilità, scaricato sulle spalle dei lavoratori, il tutto per mantenere i costi entro i limiti imposti dal pareggio di bilancio.
Il braccio di ferro di questi giorni tra governo e CGIL sull’introduzione di una regolamentazione degli appalti nasconde l’obiettivo di estendere il modello di accreditamento sopra citato in tutte quelle realtà dove ancora non viene applicato e giustifica anche l’improvviso interesse del sindacato per i diritti dei lavoratori “appaltati”. ancora una volta le buone intenzioni della proposta sindacale si rivelano nientemeno che l’ennesima riforma, un altro passo verso la privatizzazione totale del sistema pubblico. E a rimetterci saranno sempre i lavoratori e le lavoratrici.
Le continue riforme del lavoro applicate fino ad ora hanno regolarmente disatteso le aspettative dei lavoratori e le speranze di migliorare le proprie condizioni di vita; anzi è avvenuto il contrario, hanno portato la classe operaia indietro di cento anni, sia sul piano contrattuale che sul piano economico, con gravi perdite in termini di diritti e potere d’acquisto. Non sarà quindi un’altra riforma a migliorare le condizioni dei lavoratori, ma una rottura netta dei sindacati con le politiche concertative con governi borghesi e padronato e l’abbandono del riformismo.
L’unica strada da percorrere per superare la logica degli appalti al ribasso non sarà il “sistema di accreditamento”, ma l’eliminazione dei soggetti privati dal sistema pubblico, siano essi aziende o cooperative, la rinazionalizzazione di tutti i servizi pubblici, l’assunzione a tempo indeterminato da parte dello Stato di tutti quei lavoratori che operano nei servizi appaltati, finanziando queste misure tramite i tagli ai finanziamenti diretti e indiretti ai privati, i tagli agli stipendi manageriali e agli incentivi economici dei dirigenti pubblici.
Non saranno questi piccoli scioperi locali di gruppi di lavoratori contro una singola azienda a determinare miglioramenti delle condizioni di lavoro o recuperi salariali, e il sindacato lo sa talmente bene dal guardarsi di unificare le lotte dei milioni di lavoratori che operano nel settore dei servizi, lo sa che una lotta unificata e ad oltranza è l’unica moneta che non suona in tasca al padrone!