Elezioni in Spagna: ubriacature governiste e inciampi “marxisti”

PODEMOSdi Giacomo Turci

Lottare contro l’interclassismo e la sottomissione alla borghesia, caratteristiche di Podemos, è compito fondamentale dei marxisti, così come la costruzione di un partito autenticamente classista e rivoluzionario.
Il governo dei lavoratori non può passare attraverso la vittoria nelle elezioni politiche borghesi.
Il governo dei lavoratori sarà la dittatura della stragrande maggioranza su pochi sfruttatori, instaurata dopo l’abbattimento dello Stato in mano ai capitalisti, o non sarà.

«Soltanto dei mascalzoni o dei semplicioni possono credere che il proletariato debba prima conquistare la maggioranza alle elezioni effettuate sotto il giogo della borghesia, sotto il giogo della schiavitù salariata, e poi conquistare il potere. È il colmo della stupidità o dell’ipocrisia; ciò vuol dire sostituire alla lotta di classe e alla rivoluzione le elezioni fatte sotto il vecchio regime, sotto il vecchio potere.»

Lenin, Saluto ai comunisti italiani, francesi e tedeschi, 10 ottobre 1919

Si sono tenute due giorni fa in Spagna le elezioni per le Cortes Generales. Rispetto alle elezioni dello scorso 20 dicembre (alle quali è seguito uno stallo politico, mancando una maggioranza parlamentare solida), il Partito Popolare di Rajoy esce rafforzato, mentre la giovane forza “civica” di destra Ciudadanos e il PSOE perdono seggi. La capacità del PP di confermare e ampliare il proprio bacino elettorale mentre continua a promuovere le politiche di lacrime e sangue come da copione della grande borghesia e delle linee-guida UE, fa risaltare ancora di più la “sorpresa” di queste elezioni: il mancato sorpasso di Podemos (presentatasi come “Unidos Podemos”) rispetto al PSOE (partito “socialista”), anch’esso ampiamente screditato e coinvolto nelle politiche padronali di austerità. Nonostante la fusione con la vecchia sinistra riformista di Izquierda Unida, Podemos è passata dal 20,7% al 21,1% di voti nell’arco di sei mesi. Continua dunque il clima di incertezza che aveva caratterizzato questi ultimi sei mesi.
Un clima che non potrà durare molto a lungo, visto che la funzione centrale del governo statale e del parlamento non è certo quella di dibattere all’infinito tra opposte fazioni della classe dominante, ma quella di garantire un generale assetto politico e giuridico favorevole al capitalismo, cioè a garantire il diritto al profitto e allo sfruttamento da parte di padroni piccoli e grandi, banchieri e industriali.

In questo quadro, si pone la necessità politica di un governo “di larghe intese” fra PSOE, PP e Ciudadanos, oppure fra PSOE, Podemos e partiti minori regionali. Si tratterebbe rispettivamente di un governo “di destra” e “di sinistra” borghesi. A fronte della confusione nell’analisi politica generale e nel giudizio su Podemos, è bene rimarcare che questo partito, pur avendo catalizzato importanti forze provenienti dalle ultime grandi mobilitazioni del movimento operaio spagnolo, è una forza nata all’insegna dell’interclassismo, della fedeltà allo status quo politico (con tanto di omaggi al Re e alle forze armate di tradizione franchista), dell’esplicito rigetto del comunismo e della tradizione della democrazia operaia basata sul centralismo democratico. Un partito “liquido”, che vanta formalmente numeri di massa, ma che ha condotto una campagna elettorale insignificante. Questo è quanto sono costretti ad ammettere anche coloro che più fortemente hanno appoggiato Unidos Podemos, come la IMT (International Marxist Tendency), di cui è sezione italiana Sinistra Classe Rivoluzione (1).

In tal senso, proprio la IMT, come spesso succede quando si approccia a forze politiche riformiste “di sinistra”, si è caratterizzata per un’esaltazione del ruolo politico di Podemos e del suo capo Pablo Iglesias, prendendo come al solito una cantonata anche sul piano del mero appoggio opportunistico a una forza politica di massa e in ascesa – l’ascesa pare già finita, ben prima di arrivare alla grande vittoria elettorale e al governo dello Stato spagnolo.

Solo due settimane fa Alessandro Giardiello, dirigente di Sinistra Classe Rivoluzione, ci indicava che “la Spagna svolta a sinistra” (2). C’era forse stata un’improvvisa ondata di lotte operaie e studentesche, come sta accadendo in Francia? Si era fatto un passo avanti nelle esperienze di organizzazione dei lavoratori, nella costruzione di comitati operai di base, o nella costruzione di un fronte unico di lotta del movimento operaio? Nulla di tutto questo: si era semplicemente compattata, in vista delle elezioni, tutta una pletora di partiti e realtà associative “di sinistra”, raccolti intorno a Podemos e a Iglesias, con lo scopo di tentare l’assalto alla diligenza del parlamento spagnolo, sperando in un risultato brillante – il sorpasso dei socialisti – con il quale potersi finalmente sedere in qualche modo da pari a pari al tavolo coi padroni e con i partiti borghesi tradizionali. Se questa è dunque da intendersi come la “svolta a sinistra” (più di Podemos che della Spagna, in realtà), bisognerebbe per lo meno riconoscere che essa si è prodotta a partire da una precedente svolta a destra (di Podemos). Quella, cioè, che ad aprile aveva portato nientemeno che alla proposta al PSOE della formazione di un governo comune. Proposta appoggiata entusiasticamente dalla IMT, e che forse non molta fortuna ha portato a Podemos, stando ai risultati elettorali.

Per ottenere il nuovo cartello elettorale (Unidos Podemos), lo riconosce anche Giardiello seppure con toni molto concilianti, Iglesias e la sua corte hanno dovuto abdicare a un po’ del loro potere assoluto su Podemos per permettere una certa spinta “dal basso”, dalle assemblee di base e dalle tante realtà locali pronte a sostenere Iglesias come candidato premier. Pur rimanendo, ovviamente, lontani dalla tradizione centralista democratica.

Quella che non è stata sicuramente la svolta a sinistra della Spagna, oltre a indicare forse che la parabola di Podemos ha già incominciato la sua parte discendente, a causa della progressiva e sempre più accentuata moderazione dei toni e dei contenuti della sua politica, dovrebbe confermare ancora una volta che non è il caso, specie da parte dei “marxisti”, di alimentare alcuna illusione governista, alcuna scorciatoia per la presa del potere da parte della classe lavoratrice.
In questo senso, se la IMT rivendica astrattamente l’obiettivo del potere dei lavoratori, essa ricade ciclicamente nell’abitudine viziosa di sostenere acriticamente non tanto i processi delle polarizzazioni a sinistra frutto della crisi del sistema capitalistico e di lunghi cicli di lotta, quanto gli stessi attori e partiti che capitalizzano tale polarizzazione per ricondurla a una politica interclassista e compatibile con la dittatura dei capitalisti sull’intera società.
È il caso dell’esaltazione di Pablo Iglesias e di Podemos che, anziché lavorare per un consolidamento e un allargamento dell’organizzazione e della coscienza politica dei lavoratori in quanto tali, e della loro mobilitazione conflittuale contro lo Stato borghese e contro i capitalisti, hanno cercato semplicemente di ritagliarsi uno spazio “a sinistra” nella politica borghese spagnola, sfruttando la compromissione del PSOE. Non è un caso che i partiti riformisti tradizionali spagnoli, PCE in testa, abbiano finito coll’essere irresistibilmente attratti da Podemos, forza che, in linea con i riformisti di ieri, non solo non propone politiche realmente anticapitaliste, ma lavora coscientemente e dichiaratamente per ricomporre la frattura della crisi sociale e della crisi di regime spagnolo (“la seconda transizione”, dopo quella post-franchista) su un terreno sociale e politico sottratto a qualsiasi influenza della classe lavoratrice che possa mettere in questione i rapporti di potere, statali e sovranazionali (accettazione della UE capitalista e delle sue istituzioni), che caratterizzano la società capitalista. Così come non è un caso che, in un momento di grande “radicalità”, Iglesias abbia prospettato Podemos come forza “socialdemocratica”: rispetto alla sua solita litania contro la (vecchia) sinistra e soprattutto contro il comunismo e i comunisti (con le solite accuse di dogmatismo e settarismo verso chi anche solo sembri rivoluzionario, da bravo erede… di Berlinguer, più che da “gramsciano”, come egli si definisce), questo è il massimo della rottura e della opposizione che Iglesias e i suoi concepiscono: assumere il ruolo di stampella ortopedica della società capitalista e di demiurgo salvifico del conflitto di classe, oltretutto fuori tempo massimo, in un periodo di crisi dove le briciole riformiste da concedere agli sfruttati sono ormai esaurite.

In conclusione, Giardiello afferma che “prendere il governo oggi è solo il primo passo per prendere il potere domani”: quale rovesciamento dell’intera tradizione del marxismo rivoluzionario e del trotskismo, a cui pure Giardello formalmente ancora si richiama!
Alimentare l’illusione che un governo “di sinistra” eletto tramite elezioni (tra l’altro, questa volta con un’affluenza inferiore al 70%) possa nazionalizzare, sotto il controllo dei lavoratori (!), banche e grandi imprese, significa semplicemente negare la realtà dello Stato borghese come organizzazione politica e militare posta sempre e comunque, in ultima istanza, a difesa dei capitalisti. “Una società basata su consigli democraticamente eletti dal basso” non potrà mai costituirsi a partire dalla fedeltà allo Stato borghese e dall’interclassismo: illudere i lavoratori in questo senso è una grave colpa politica, così come lo è l’abbandono della necessità di un partito di classe rivoluzionario, autonomo dal riformismo e dalle sue tante reincarnazioni e varianti che stiamo conoscendo in questi anni. La lotta per una società libera dal capitale non potrà mai fare a meno della direzione dei marxisti rivoluzionari, ciò che richiede la loro piena indipendenza politica ed organizzativa.

Il governo dei lavoratori sarà la dittatura della stragrande maggioranza su pochi sfruttatori, instaurata dopo l’abbattimento dello Stato in mano ai capitalisti, o non sarà. Rimuovere questa colonna portante significa far crollare l’edificio del marxismo. Significa rinnegare il programma politico di Marx, Engels, Lenin e Trotsky.

(1) http://www.marxist.com/the-spanish-elections-a-poisoned-chalice-for-the-ruling-class.htm

(2) http://www.rivoluzione.red/la-spagna-svolta-a-sinistra/

 

Giacomo Turci

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