L’INSOSTENIBILE INERZIA DELLE BUROCRAZIE SINDACALI LOCALI
La passività è un morbo nazionale, che affligge i vertici della CGIL, così come i suoi burocratini di provincia.
Tanto che chi vuole lavorare seriamente, fare gli interessi dei lavoratori, chi si spende, chi si impegna in prima persona per i propri compagni di lavoro, si scontra con un muro di gomma. Ed è costretto a soluzioni estreme, come le dimissioni per protesta.
È quello che è avvenuto a Gabriele Severi, RSU FIOM-CGIL della Marcegaglia, appartenente all’area di minoranza interna “Il Sindacato è un’altra cosa”, minoranza che non sta passando un periodo felicissimo in seguito alla cacciata del portavoce e alla repressione di numerosi esponenti da parte del caudillo Landini, in un quadro di eliminazione totale del dissenso in perfetto stile camussiano.
Severi si è dimesso denunciando la gravissima situazione in cui versava la Segreteria FIOM provinciale, che in due anni, nonostante le ripetute sollecitazioni, si è riunita solo per discutere della Coalizione sociale, la creaturina politica (morta in fasce?) del futuro politico Landini, una specie di piccolo frankenstein che strizza l’occhio anche a chi il sindacato lo vuole abolire, come i grillini.
In due anni, nel territorio forlivese, quante aziende hanno chiuso, delocalizzato o sono entrate in crisi? Quanti lavoratori hanno dovuto fare scioperi, picchetti e blocchi merci? Quanti sono stati licenziati, alcuni (i più fortunati) con quattro lire di buonuscita?
I burocrati della CGIL locale, in piena armonia con i loro superiori nazionali, si sono guardati bene dall’utilizzare la Segreteria come doveva essere fatto, ossia come strumento per coordinare le lotte nel territorio, per riunire i rappresentanti dei lavoratori, raggrupparne le istanze, imparare dalle esperienze comuni e via dicendo.
Come mai la Segreteria non è stata utilizzata in questo modo, ma è stata di fatto inattiva e muta per anni?
Non è solo pigrizia o scarsa lungimiranza… le burocrazie sindacali non hanno nessuna intenzione di fare il proprio lavoro, scegliere una linea di conflitto, coordinare le lotte, opporre una strenua resistenza agli attacchi padronali. No. Le direttive vengono dall’alto e sono chiare: rivendicare posti ai tavoli di contrattazione, ricondurre i lavoratori più combattivi al silenzio (vedi vicenda FCA), mirare a firmare accordi, anche se peggiorativi, scoraggiare la costruzione di una rete tra i lavoratori.
Non è tempo di lotte, contro questo governo “amico”. Un governo che sì ha approvato i peggiori provvedimenti antioperai degli ultimi anni, ma comunque un governo da cui si può ricavare qualcosa, un governo con cui forse si è persino pronti a rimettere mano alle pensioni.
E i diritti perduti? Pazienza. Tanto poi gireranno l’Italia con un bel pulmino a raccogliere firme per chiedere, con gentilezza referendaria per carità, quegli stessi diritti che il governo ha strappato ai lavoratori su mandato dei padroni. I diritti non si chiedono! Si conquistano! E se si conquistano, si lotta poi per non perderli!
La CGIL provinciale non ha adottato nessuna iniziativa pubblica per la riconquista del CCNL dei metalmeccanici. Anche in questo caso, niente. Silenzio.
Severi fa bene a non illudersi. La CGIL tirerà dritto con questa strategia autolesionista anche davanti all’emorragia sempre più copiosa di tessere e iscritti.
Sono i lavoratori che devono unirsi e ritrovare la forza di imporre la loro volontà di lotta anche ai burocrati sindacali che ormai hanno “comodamente” dimenticato come si fa a fare il sindacato.
Sono i lavoratori a dover pretendere un sindacato di lotta, non concertativo, un sindacato che affianchi e sostenga i lavoratori nelle vertenze, e non faccia da pompiere, un sindacato che regga un minuto più del padrone, e non che cali le braghe al primo soffio di vento, un sindacato che istituisca una cassa di resistenza, che unisca i lavoratori del territorio nel nome della solidarietà. Della solidarietà DI CLASSE.
Cellula Operaia PCL sez. Romagna