IO TIFO COMUNISMO, IO TIFO POTERE A CHI LAVORA
Spesso sento dire che c’è poca differenza tra fascismo e comunismo: nel momento stesso in cui sento questa frase monta in me una rabbia immensa, pari solo all’impossibilità di spiegare ad un politico come si fa a campare con 1000 euro al mese.
Il fascismo per sua stessa natura pone due capisaldi ineluttabili: la patria e la superiorità della razza.
Ora, tralasciando l’idiozia di questi principi, la domanda sorge spontanea: com’è possibile essere patrioti in uno stato dove si fa razzismo tra gli stessi cittadini? In che modo i vari fascio-borghesi intendono difendere la patria e l’onore?
Penso che in realtà della patria e dell’onore a loro non interessi assolutamente nulla, anzi, il loro obiettivo è perpetuare lo sfruttamento del modello capitalista, fungendo da cani da guardia di uno stato parassitario che calpesta i diritti dei cittadini, tassando a più non posso soprattutto il lavoro salariato.
Intanto i neofascisti insultano, tendono agguati ai ragazzini dei licei, appendono striscioni contro la resistenza nell’indifferenza generale… Ma non lasciamoci ingannare: il fascismo ha molte facce e molti abiti: abiti talari, caschi blu e divise, si ramifica e si espande, ma tende a un unico scopo, ossia impedire l’unità dei proletari e degli sfruttati, al ligio servizio di padroni, borghesi, banchieri e clero.
È l’unità delle classi subalterne, la loro lotta comune, a impensierire gli sfruttatori.
La lotta rivoluzionaria per una società socialista ha questo solo obiettivo: il benessere di ogni individuo indipendentemente da sesso, età, etnia, opinioni, orientamento sessuale o da qualsiasi differenza che i nuovi “fascio-patrioti” brandiscono invece come una clava.
Tutti hanno il diritto a tutto. Non si tratta di rinunciare a nulla. Se si abbatte quella classe di sfruttatori parassitari che campa sul lavoro altrui, la ricchezza ridistribuita e la proprietà dei mezzi di produzione renderebbero tutti immediatamente molto più ricchi di adesso.
È il capitalismo che obbliga i tre quarti della società a possedere poco o nulla per ingrassare a dismisura una piccola percentuale di parassiti. È il capitalismo che genera la povertà diffusa, non la ridistribuzione della ricchezza tra tutti.
Se a qualcuno gli si storce il naso, propongo una riflessione. I risultati non arrivano mai per merito dei singoli, dietro ogni singolo si nasconde una squadra. Basti pensare al calcio, al basket o a tutti gli sport dove è fondamentale il gioco di squadra, ma anche agli sport individuali come il tennis. In campo ci va il singolo, ma dietro c’è una squadra, c’è il preparatore, l’allenatore, l’inserviente che lava la tuta, il raccattapalle e così via. Tutto si riconduce alla collettività, perché da soli non siamo niente, ed è cosi in tutti i settori, negli uffici, nelle fabbriche. Ovunque si consegue un risultato è grazie al lavoro collettivo. È evidente che le qualità dei singoli possono e devono fare la differenza, ma se tali qualità vengono messe a disposizione della collettività vivremmo tutti molto meglio.
Le società comuniste che si sono sviluppate storicamente in diversi paesi, e che tutti prendono a modello per dimostrare come il comunismo non funzioni, hanno tradito il progetto comunista originario, precipitando in dittature individuali o di oligarchi (come lo stalinismo). Il comunismo, come è stato teorizzato dai più grandi pensatori come Marx, Engels, Lenin, Trotsky, Luxemburg, non è stato ancora applicato. Non perché sia fallimentare. Ma perché il capitalismo, che è un cancro che pervade l’intero pianeta, non lo consente, vi si oppone con una forza enorme, fatta di tutte le risorse materiali e non solo di cui dispone. A questo cancro dobbiamo opporre una forza superiore, la forza della massa degli sfruttati che si ribellano contro i propri sfruttatori e creano una società dove il posto per lo sfruttamento di una classe sull’altra non esiste più.
La storia ci insegna che, ad eccezione di chi ha una coscienza ideologica radicata, la politica è una moda: oggi il grilllismo (che altro non è che un fascismo mascherato) è sulla cresta dell’onda, insieme a partiti come Forza Nuova, Casapound o la Lega Nord, che mietono consensi sfruttando l’ignoranza, la credulità e la paura popolare.
Analogamente ai fascisti del terzo millennio (come si autodefiniscono), con cui ha stretto un patto elettorale, la Lega Nord ha persino la spudoratezza di ergersi a paladina dell’Italia (unita? Intera?) per raccogliere voti dagli stessi “terroni” che ha sempre disprezzato.
Ma il Mezzogiorno è un colonia interna: solo nel 2011 sono emigrate dal sud al nord 101.900 persone, 101.900 famiglie divise, 101.900 individui costretti tutti i giorni a sentirsi discriminati a casa propria, 101.900 persone che vanno a far crescere l’economia del nord. Su 112 miliardi di euro stanziati per infrastrutture scolastiche 108 sono andati al nord, il reddito pro capite è minore del 45.8 % al sud.
Dove sono allora i veri patrioti, dove sono i paladini, padani e non, di dio patria e famiglia? Un vero patriota porrebbe fine a questo scempio, proporrebbe soluzioni o almeno chiederebbe a gran voce che si metta fine a questa macelleria sociale.
Il patriottismo in Italia non può esistere semplicemente perché non esiste la patria, esiste un potere economico e politico che ha da sempre derubato e impoverito un’altra parte del paese, esattamente come le multinazionali fanno con il sud del mondo. Ma la lotta non è tra nord e sud. Ma sempre tra sfruttati e sfruttatori. E tra queste due classi non può esserci unità.
Occorre quindi unire le lotte, prendere coscienza della propria forza, eliminare le frontiere mentali e fisiche e denunciare con forza il ruolo oppressivo e repressivo che hanno queste forze populiste nei confronti degli sfruttati. Chi propaganda il razzismo e l’odio per gli immigrati, chi afferma che “non esistono più la destra e la sinistra”, chi si scaglia solo apparentemente contro la “casta” cavalcando gli umori di un popolo tenuto nell’ignoranza, chi soffia sulla paura dei ladri in casa per occultare le rapine che ogni giorno si subiscono sul posto di lavoro… fa solo il gioco degli sfruttatori. Sono strumenti del potere, sono espedienti per incanalare la rabbia popolare in modo che non sfoci nell’unica vera soluzione che farebbe paura alla classe dominante: l’unità dei lavoratori e la rivoluzione.
Che fare dunque? Occorre farsi delle domande: a quale classe sociale appartengo io? Sono un lavoratore o campo sul lavoro degli altri? Sfrutto o sono sfruttato? Sono ricco oppure faccio fatica ad arrivare a fine mese?
Dalle proprie risposte deve derivare una rinnovata coscienza di classe, una solidarietà tra sfruttati che con una forza enorme spazzi via i parassiti padronali. Occorre essere di nuovo partigiani. O tifosi, se preferite. Io tifo per la mia classe sociale e tifo comunismo.