Il Comitato Centrale del dicembre 2014 prefigurava due scenari nella politica italiana: lo sviluppo del movimento di massa contro il Job Act, l’emersione di un nuovo campo per la sinistra politica, la possibile sconfitta del governo e conseguente crisi del progetto bonapartista renziano; il ripiegamento della mobilitazione, l’emarginazione della sinistra nel paese e una stabilizzazione reazionaria attorno a Renzi. In questi mesi si è configurato un terzo scenario, che intreccia in un incerto equilibrio queste due ipotesi: l’opposizione di massa sul Job Act ha conosciuto una sconfitta, ma il grande movimento della scuola ha ostacolato la pacificazione del fronte sociale; il renzismo mantiene il suo progetto bonapartista, ma ha conosciuto una severa sconfitta elettorale e un indebolimento della propria ambizione strategica (Partito della Nazione); la sinistra aggrava la propria crisi, ma si allarga il suo spazio politico potenziale. Una dinamica vischiosa e contraddittoria, aperta nuovamente a differenti sviluppi.
La crisi del renzismo.
Il governo ha pagato a caro il prezzo della vittoria sul Job Act e lo scontro imprevisto sulla scuola. Prima le elezioni in Emilia Romagna; poi quelle del 31 Maggio (coi relativi ballottaggi) hanno segnato una pesante sconfitta elettorale e politica del PD.
Una sconfitta elettorale: con due milioni di voti persi rispetto alle europee 2014 e un milione rispetto alle politiche del 2013. Ma soprattutto una sconfitta politica. Il Partito della Nazione mirava a integrare il blocco sociale del centrosinistra con la conquista di parte significativa del blocco sociale del centrodestra. Il voto fotografa una dinamica opposta. Il PD perde ampi settori di elettorato tradizionale, prevalentemente nell’astensione, e non conquista altri bacini: anzi disperde il bottino delle europee (vedi Veneto).
Questa sconfitta è resa grave da due fattori complementari. In primo luogo, nonostante la crisi del berlusconismo, il centrodestra si espande, sulla scia della Lega (vedi Centro Italia). Una ricomposizione del centrodestra, problematica ma possibile, lo candida a possibile vincitore. In secondo luogo: i ballottaggi mostrano che gli elettorati del centrodestra e del M5S possono sommarsi contro il PD e sconfiggerlo. Entrambi i fattori minacciano l’impianto della riforma elettorale e istituzionale di Renzi: la futura vittoria, con la concentrazione nelle sue mani del potere, è determinata dall’incompatibilità dei poli rivali.
Questa battuta d’arresto non comporta un accantonamento. Renzi mantiene la rotta puntando sul referendum confermativo del 2016, eventualmente combinato con la tornata amministrativa nelle principali città: il suo scopo è incassare un’investitura plebiscitaria contro l’insieme delle opposizioni, per aprire la via di una propria vittoria alle politiche. In questo quadro rilancia il profilo originario di “rottamatore” populista (v. sganciamento dall’immagine del sindaco Marino..) contro le “forze della palude e della conservazione”. Così come, su un altro piano, il rafforza le posizioni nel partito e nella struttura profonda del potere (nomine imprese pubbliche e controllo CDP).
Il rilancio populista ha però del piombo nelle ali. Pesa rottura a sinistra (Job Act e scuola). Pesano i limiti materiali crisi capitalista italiana ed europea, scarso spazio di mediazione in sede UE e debito pubblico, variazioni imprevedibili dei tassi d’interesse, confronto/scontro con la Corte istituzionale sulle politiche di bilancio, trascinamento di spesa delle operazioni populiste degli 80 euro e sull’Irap, impossibilità riduzione fiscale sulla proprietà immobiliare..).
La principale debolezza del populismo di governo a vocazione bonapartista è la fragilità della sue basi materiali, nel quadro della crisi capitalista italiana ed europea. Un ostacolo obiettivo ad una stabilizzazione reazionaria attorno a Renzi.
I due populismi reazionari d’opposizione.
Nel quadro della crisi del movimento operaio (sconfitta del movimento di lotta sul Job Act, isolamento della scuola, assenza di una ricomposizione di massa); e della sinistra (assenza di un baricentro su cui ricomporsi, disgregazione dei gruppi dirigenti, trascinamento dei ripetuti fallimenti), la crisi del populismo di governo tende ad essere capitalizzata dal populismo reazionario. In particolare dalla Lega.
La Lega è l’unica vincitrice del 31 Maggio, con un avanzamento ovunque di voti. Con un risultato plebiscitario in Veneto e uno sfondamento in Centro Italia. E’ l’unico partito che recupera dall’astensione e che guadagna in tutte le direzioni (anche da elettorato M5S e PD).
E’ un successo politico. Il nuovo corso di Salvini capitalizza la crisi del berlusconismo. Il target “Lepenista” è l’esatto opposto di un isolamento politico, fosse pure redditizia sul piano elettorale. E’ la leva di accumulo per candidarsi alla guida di un polo di governo. In questo quadro si pone in una prospettiva nazionale: si apre il varco a Roma con le complicità di Casa Pound, cerca lo sbarco a Sud (per quanto faticoso), richiama bandiere abbandonate o tradite dalla sinistra (abolizione della Fornero). Soprattutto cavalca la battaglia “anti tasse” e contro i migranti: i due terreni di egemonia sul senso comune popolare, al di là del voto ottenuto.
Questo corso complica la ricomposizione nel centrodestra. Ma non lo pregiudica. Diversamente dal FN francese, la Lega mantiene una logica di coalizione: preserva le giunte (Lombardia, Veneto); e recede dalla presentazione indipendente laddove questo può favorire una vittoria del centrodestra (Liguria). La crisi del renzismo e una potenziale vittoria alle prossime politiche potranno allargare spazi e canali di compromesso nel centrodestra.
Parallelamente si consolida il populismo reazionario a 5 Stelle.
Contrariamente ad una rappresentazione diffusa, il M5S ha perso voti il 31 Maggio (meno 5% sulle europee), a beneficio dell’astensione e della Lega. In Centro Italia in particolare il travaso sulla Lega è stato massiccio. Tuttavia il grillismo consolida il proprio insediamento con una presenza assai più omogenea della Lega. La bandiera del “reddito di cittadinanza” (in contrapposizione al lavoro) e dell’”abolizione di Equitalia” hanno una su settori popolari e di piccola borghesia, in particolare nel Sud. La vittoria generalizzata nei ballottaggi comunali, sia pure in prove minori, rivela un’intatta capacità di raccolta di un voto trasversale “anticasta” da parte di M5S. “mafia Capitale” può costituire un tonico importante nella concorrenza interna al campo reazionario. Nel caso di una mancata ricomposizione del Centrodestra, un accesso del M5S al ballottaggio contro un Pd renziano indebolito potrebbe offrire una possibilità al grillismo, per il quale l’Italicum è paradossalmente la migliore legge elettorale possibile per ambire al potere.
Il primo renzismo (col 41% alle europee) si era rivelato capace di contenere l’avanzata populista, a vantaggio della governabilità borghese. Lo sgonfiamento del populismo di governo apre il varco alla ripresa del populismo di opposizione. Una minaccia di instabilità torna a gravare sullo scenario politico italiano, sullo sfondo della crisi dell’Unione Europea.
Opposizione sociale e crisi della sinistra politica.
La concorrenza tra populismo di governo e populismi di opposizione si combina con l’emarginazione della sinistra, nonostante l’opposizione sociale (Job Act e scuola). Da un lato i limiti delle lotte hanno ostacolato la polarizzazione a sinistra. Dall’altro la crisi della sinistra ha indebolito l’espressione dell’opposizione sul terreno elettorale. Su entrambi i versanti è decisiva la responsabilità dei gruppi dirigenti del movimento operaio. A tutto vantaggio della polarizzazione populista reazionaria.
In autunno lo scontro sul Job Act configurava una ripresa del conflitto sociale con basi di massa. CGIL e FIOM si vedevano costrette a uscire dalla passività: un fronte unico di massa rompeva verticalmente, su una frontiera di classe riconoscibile, il blocco sociale del PD. Un raggruppamento del popolo della sinistra sul terreno della lotta di classe. Però le burocrazie sindacali non miravano alla sconfitta del governo sul terreno della lotta, ma ad una riammissione al tavolo negoziale. Un obiettivo oltretutto illusorio a fronte della natura reazionaria del renzismo. In ogni caso una logica che ha minato le potenzialità e compromesso la prospettiva del movimento: privato di una piattaforma e della continuità d’azione, infine condotto sul binario morto di uno sciopero generale simbolico (12 Dicembre). La scelta successiva di Camusso e Landini di non dare alcuna indicazione di lotta coronava di fatto la resa al governo. L’abolizione dell’articolo 18 per i nuovi assunti, il demansionamento, il controllo spionistico sui lavoratori, significavano non solo un ulteriore arretramento dei rapporti di forza tra le classi, ma perciò stesso un fattore di ulteriore demotivazione per vasti settori di massa. Tanto più a fronte di una battaglia avviata ma non combattuta. Al tempo stesso la dispersione del movimento vanificava l’occasione preziosa di una ricomposizione delle lotte sociali, riproponendo uno scenario di frammentazione.
Il quadro di isolamento e frammentazione delle lotte continua sui diversi fronti (vertenze aziendali, logistica, trasporto locale, casa..). Lo stesso movimento di massa nella scuola ne ha portato il segno.
Questa lotta nella scuola sviluppatosi a partire dalla seconda metà di aprile ed esploso con lo sciopero generale del 5 Maggio, ha riproposto, nel proprio settore, un fronte unico di massa. Una base amplissima (la più ampia storicamente nel settore scuola); una convergenza unitaria dell’insieme delle organizzazioni sindacali del settore; una forte spinta nell’innesco, con elementi di autorganizzazione, e con trascinamento sulle forme di lotta (Invalsi e scrutini); un forte carattere politico anti Renzi. Al tempo stesso un movimento tanto grande quanto isolato. Privo di una significativa sponda studentesca. Isolato dal resto della classe. La sua incidenza è stata indubbia, sovrapponendosi all’esperienza contro il Job Act, nel logoramento del renzismo e nella stessa sconfitta elettorale del PD. Ma non tale da invertire la tendenza generale. Il pronunciamento diffuso “sono un insegnante e non voto più PD” si è tradotto principalmente in astensione.
Parallelamente, la sinistra e cronicizza la propria crisi. Il movimento contro il Job Act sulla scuola hanno ampliato lo spazio a sinistra del renzismo, in quanto fenomeni di rottura col PD di ampi settori di massa. Ma lo spazio ad oggi non viene occupato. La gestazione di una ricomposizione politica della sinistra riformista è in atto da tempo. Ma è gravata da ripetuti fallimenti (Arcobaleno, Ingroia, Lista Tsipras), dalla rivalità di gruppi dirigenti, dalla moltiplicazione dei cantieri concorrenti (Civati con “possibile”, costituente di SEL; coalizione sociale di Landini). La “coalizione sociale” appare quella potenzialmente dotata di una leadership più riconoscibile e di un maggior richiamo sociale. Ma Landini la tiene sotto traccia, subordinandola ai propri calcoli burocratici per la successione alla Camusso e al calendario lungo della legislatura. La risultante d’insieme è l’impasse.
L’assenza di un soggetto di richiamo ha fortemente indebolito la possibile polarizzazione elettorale a sinistra, favorendo una dispersione passiva. Il 31 Maggio, con l’eccezione parziale del caso ligure, le liste della sinistra hanno registrato complessivamente un risultato inferiore a quello riportato dalla lista Tsipras nelle europee 2014. Nonostante i movimenti di lotta dell’autunno e della scuola. In una competizione politica il popolo della sinistra non ha trovato un soggetto di riferimento. L’astensione diffusa ne è il risvolto.
Lo scenario attuale e la nostra linea di massa. Il fronte unico di classe.
La nostra proposta generale resta il fronte unico di classe contro il governo.
Al precedente CC questa proposta aveva come sfondo lo scontro in atto tra governo e CGIL. La sua concretizzazione di conseguenza era quella di “concentrare tutte le energie sulle mobilitazioni e gli scioperi della CGIL e della FIOM.. nel comune interesse della sconfitta del governo Renzi”. Combattendo al tempo stesso la direzione della CGIL, avanzando una proposta di mobilitazione radicale e continuativa, proponendo lo sviluppo dell’ autorganizzazione del movimento (“assemblea nazionale di delegati eletti nei luoghi di lavoro”).
Oggi non è in atto una mobilitazione generale contro il governo. E tuttavia non c’è né si profila una ricomposizione tra governo e CGIL, per via dell’immutato corso bonapartista del renzismo; il movimento di massa della scuola, al di là del suo esito immediato, ha riaperto un varco; il governo è obiettivamente più debole di un anno fa nella stessa percezione di massa.
Il fronte unico di lotta contro il governo conserva dunque tutto il suo significato. “Fare come la scuola” può essere una sua traduzione. “Fare come la scuola” significa non solo entrare nel varco aperto da quel movimento; significa anche estendere sul piano generale l’esempio del fronte unico di lotta come vero fronte di massa: unità delle organizzazioni di massa e lotta generale comune e continuativa contro il governo Renzi. Questo è il fronte unico. Non una unità d’azione tra forze di avanguardia, ma un largo fronte di massa sul terreno della lotta di classe.
Questa proposta si oppone all’immobilismo dell’apparato CGIL, oggi allo sbando e privo di tutte le sponde per una collaborazione di classe (Governo, PD, Confindustria). Si oppone alla logica passiva della “coalizione sociale” di Landini, ridotta a cartello di associazioni e post it senza alcuna iniziativa di mobilitazione reale. Traduce la coalizione sociale nella sua unica possibile espressione progressiva: la coalizione generale di lotta e di classe contro governo e padronato.
Perciò stesso la nostra proposta di fronte unico di massa contrasta ogni logica minoritaria di autocentratura separata tipica di diversi gruppi dirigenti del sindacalismo di base. E al tempo stesso pone la necessità di una direzione alternativa del movimento, di una piattaforma generale unificante, di una radicalizzazione delle forme di lotta (occupazione delle aziende che licenziano e casse di resistenza), autorganizzazione democratica di massa (assemblea nazionale di delegati eletti nei luoghi di lavoro, e ogni forma intermedia articolata che in qualche modo favorisca processi di organizzazione democratica, come comitati di lotta e coordinamenti RSU).
Sul piano politico la parola d’ordine “Via il governo Renzi, per un governo dei lavoratori” acquista, sul terreno propagandistico, una sua centralità. Nella prima fase del governo Renzi la confusione a livello di massa sulla natura del governo, anche per via di coperture (SEL e Landini), non ci consentiva di rivendicare la cacciata del governo: la nostra battaglia si concentrò sulla denuncia della sua vocazione bonapartista e sull’esigenza di una opposizione di classe. Oggi, a partire dallo scontro sul Job Act e sulla scuola, dentro la dinamica di ampia rottura col PD e col governo, la parola d’ordine della cacciata del governo Renzi acquista spazio e sintonia con una sensibilità diffusa. Al tempo stesso l’avanzata del populismo reazionario leghista e grillino pone l’esigenza della contrapposizione alle altre due destre. Da qui la presentazione del fronte di massa contro il governo Renzi come polo di classe contrapposto alle “tre destre” presenti (il populismo di governo e i due populismi di opposizione). In questo quadro la parola d’ordine complementare del governo dei lavoratori conserva tanto più oggi la sua centralità seppur sul piano necessariamente propagandistico.
Fronte unico di classe e unità d’azione d’avanguardia.
La parola d’ordine del fronte unico di classe come parola d’ordine generale e nostra linea di massa non va confusa con la pratica di unità d’azione nell’ambito dell’avanguardia con soggetti e forze di estrema sinistra.
Relazioni unitarie nell’ambito dell’avanguardia possono assumere forme diverse: coordinamento di scopo per la preparazione di campagne (ad es. il No Expo), comitati e strutture segnati dalla centralità di una specifica battaglia (ad es. a suo tempo il comitato No Debito, i comitati/coordinamenti antifascisti, i comitati di lotta per la casa..), comuni iniziative di piazza (v Primo Maggio a Milano).
Tenere relazioni su questo terreno d’avanguardia è utile e necessario per il partito. Ma si tratta di non confondere questo ambito di relazioni come l’”applicazione del fronte unico”, assumendolo come terreno centrale della nostra vita politica, intervento, costruzione. Il terreno centrale del nostro intervento è il livello di classe e di massa. L’unità d’azione d’avanguardia non deve dunque sostituirsi all’intervento di massa. Nè a maggior ragione assumere i caratteri di blocco politico permanente con altri soggetti a scapito della nostra autonomia politica e riconoscibilità generale. Viceversa, anche negli ambiti di unità d’azione d’avanguardia legati a specifici obiettivi di scopo abbiamo la necessità di portare la nostra proposta generale di classe e di massa, a partire dalla logica del fronte unico di classe, e il nostro programma indipendente (come abbiamo fatto nel comitato No Debito).
In questo quadro è importante sviluppare nel partito un confronto sulle nostre esperienze di intervento di massa: sulle modalità concrete attraverso cui sezioni e nuclei costruiscono la propria propaganda (volantini nazionali, volantinaggi locali, diffusione giornale, social media e internet), sui settori e le realtà di intervento (quartieri, aziende, avanguardie politiche, luoghi di vita della classe, ecc), sugli interventi di agitazione e di partecipazione alle lotte e sulle occasioni reali di crescita del partito. In questa direzione, è importante non solo che ogni sezione discuta in un’apposita riunione il proprio progetto di intervento, ma anche favorire la stesura e la pubblicazione su INTERCOM (Bollettino di partito) di questi progetti di intervento, oltre che il ragionamento su esperienze concrete. In questo quadro, è fondamentale l’esperienza ed il confronto sulla costruzione della tendenza studentesca rivoluzionaria (sul piano nazionale e nelle realtà locali) e sull’intervento in ambito sindacale (Opposizione CGIL e sindacati di base).
Il ruolo della burocrazia sindacale e la necessità di costruire una tendenza sindacale classista rivoluzionaria.
Nel contesto dell’attuale crisi capitalista, che non lascia spazio a soluzioni basate su concessioni alla classe operaia e alle masse sfruttate, malgrado le costanti, e anche significative, lotte di resistenza, in un quadro d’ininterrotta crisi politica e di consenso del ceto politico borghese dominante, la burocrazia sindacale ha costituito il principale fattore di contenimento e disarmo della risposta del movimento operaio. Con questa sua funzione ha finora garantito la precaria stabilità del sistema impedendo che precipitasse la crisi politica in corso. Parallelamente l’attuale direzione della sinistra sindacale sia interna alla CGIL, che esterna del sindacalismo di base e conflittuale, aldilà delle difficoltà oggettive, manca di una linea, di un programma e di una prospettiva rivoluzionarie. Si è quindi dimostrata sinora incapace di fornire una direzione politica e organizzativa alternativa alla burocrazia che fosse i grado di favorire la ricomposizione delle lotte in corso e il loro passaggio all’offensiva. Su queste organizzazioni pesa tra l’altro la deformazione sindacalista che tende a limitare la lotta sindacale esclusivamente al lato economico e contrattuale dei diritti, senza combinarla con la lotta politica per la conquista del potere da parte dei lavoratori. Da ciò è derivato sinora il rifiuto dell’agitazione nei luoghi di lavoro e tra le masse delle parole d’ordine del governo dei lavoratori, del controllo operaio e della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto contro dei lavoratori di fabbriche e banche, proprio in uno dei momenti storici di maggiore crisi politica e di consenso delle classi dominanti dove, come conseguenza della profondità della crisi, non solo ogni rivendicazione transitoria, ma anche solo qualsiasi tentativo di difesa delle conquiste storiche del passato implica un urto violento e decisivo con il capitale e il suo ordinamento sociale, perché ogni vecchia conquista si è trasformata in un limite insopportabile alla ripresa dell’accumulazione e della sua valorizzazione.
Un altro aspetto del nostro intervento sindacale è quello del problema della costruzione nei luoghi di lavoro, a partire dalle fabbriche e dei centri produttivi principali o significativi per la concentrazione di salariati, per tradizione storica o per l’esperienza recente di lotte, di organismi dell’organizzazione politica dal basso di tutti i lavoratori, radicata sul posto di lavoro, indipendentemente dal tipo di adesione sindacale di ogni singolo lavoratore, e capace, in prospettiva, anche di esercitare una proiezione e un’attrazione verso l’esterno tra le larghe masse della società civile che gravitano intorno alla fabbrica, alle unità produttive e ai principali centri d’impiego di salariati. In sostanza costruire, o far evolvere, i comitati di lotta, le assemblee permanenti, gli organismi permanenti vari degli operai di fabbrica o dei salariati dei servizi, della scuola e del pubblico impiego che, magari inizialmente nati per le esigenze concrete di una lotta particolare possono divenire l’embrione di soviet, cioè di organi di contropotere a livello locale e in prospettiva nazionale. Il lavoro della direzione sindacale rivoluzionaria, deve essere quello di favorire il più possibile, con un’apposita agitazione nelle lotte in corso, la proliferazione e il coordinamento, attraverso le assemblee di delegati, coordinamenti per delegati locali e territoriali, o generali per categoria o specifiche fabbriche, unità produttive e gruppi aziendali, e infine nazionali, di questi organismi e lo sviluppo del loro contenuto embrionale consiliare. È questo un aspetto molto difficile e delicato della lotta sindacale ma è la chiave per cercare di aggirare il freno e di divisione esercitata dalla burocrazia sindacale e dal suo controllo sui tradizionali organismi di rappresentanza ufficiali, che oltre a consentirci di unificare le lotte e neutralizzare la funzione della burocrazia, può divenire il centro di attrazione e di coagulo, nel contesto di crisi economica e politica permanente del regime borghese, dell’intero malessere sociale sul piano locale e più generale, e lo strumento della sua organizzazione politica favorendo in questo modo l’affermazione del movimento operaio come direzione politica rivoluzionaria alternativa della società e contrapposta ai populismi reazionari.
Si tratta di un lavoro difficile i cui risultati non si potranno avere immediatamente, limitandosi in moltissime realtà, almeno all’inizio, ad un’opera di agitazione e propaganda. Si può però iniziare concentrando le forze nelle fabbriche e in quelle realtà più significative dove sono presenti nuclei o sezioni consistenti di militanti del partito e coinvolgendo quei militanti e organizzazioni sindacali classiste che, anche se non aderenti al partito, sono disponibili a questo tipo lavoro.
Infine tale lavoro per quanto difficile non è assolutamente impossibile, e la crisi stessa moltiplicherà le occasioni favorevoli a questo tipo di intervento. Si tratta di chiarire ai militanti sindacali classisti che il peggioramento delle condizioni di lavoro, l’intensificazione dei ritmi e dello sfruttamento, aumenteranno l’esasperazione e l’insofferenza degli operai e dei lavoratori salariati fino ad un punto di rottura della disciplina e degli attuali limiti legalisti sempre più ristretti della lotta sindacale moltiplicando le occasioni per agitazioni e forme di organizzazione spontanea, senza preavviso e fuori del controllo diretto della burocrazia sindacale. Bisogna chiarire all’area di militanti sindacali classisti che dovranno costituire la nostra massa critica, e nella polemica e critica alla linea politica dell’attuale direzione della sinistra sindacale, che costruire o favorire la nascita e il coordinamento di questi organismi, potenziali embrioni dei consigli, deve essere una delle priorità e delle rivendicazioni strategiche insieme alla rivendicazione delle nazionalizzazioni senza indennizzo e sotto contro dei salariati, dell’assemblea dei delegati, della casse di resistenza, e del governo dei lavoratori.”
Per una campagna di propaganda e riconoscibilità del PCL.
Parallelamente al compito ed alla proposta del fronte unico di classe, il nostro partito necessita di costruire una campagna di pubblicizzazione politica. Una diffusione e popolarizzazione del nostro programma, per esser riconosciuti e caratterizzati nel panorama della sinistra, e non solo.
Spesso il PCL è conosciuto come partito “ultra radicale”, “oppositore duro”, “fedele ai principi”, ma non è conosciuto per le sue proposte. Il nostro programma, programma transitorio di rivoluzione, in questa epoca di crisi è l’unico oggettivamente in grado di dare risposte ai bisogni reali della classe lavoratrice e delle masse popolari, ma fino ad ora questo programma non è riuscito a farsi conoscere in modo adeguato.
La sinistra riformista tradizionale ha posto come cavallo di battaglia il reddito di cittadinanza, proposta divenuta riconoscibile nella politica italiana. Il M5S ne fa una leva di rappresentanza dei disoccupati contro il lavoro e i lavoratori. Il PCL deve mirare ad esser caratterizzato in egual maniera con un’altra proposta semplice e diretta. Estrarre dal nostro lungo programma rivoluzionario gli elementi che ci consentono di essere riconoscibili ed avere presa immediata nei larghi strati della classe lavoratrice e nella sua avanguardia, per un periodo elevare queste rivendicazioni a cavallo di battaglia propagandistico centrale.
La ripartizione del lavoro esistente attraverso la riduzione dell’orario di lavoro a 30-32 ore a parità di salario; la cancellazione di tutte le leggi precarizzanti del lavoro; il salario garantito ai disoccupati che cercano il lavoro. Tre semplici ma centrali parole d’ordine che interessano lavoratori, disoccupati, giovani ed arrivano fino alle masse spoliticizzate. Rivendicazioni che oggi , nella loro connessione, pone solo il PCL.
Il compito sarà quindi quello di sviluppare una campagna (propriamente del partito) dentro e fuori i luoghi di lavoro, in ogni occasione e momento, con la raccolta di adesioni (anche attraverso una pagina web) ad una appello “per un atto nazionale”, “per imporre questi punti nell’agenda politica del movimento operaio”.
Competere con la proposta del reddito di cittadinanza, creare attenzione, attrazione e simpatia nei nostri confronti, e con questo canale avere minor difficoltà a propagandare il nostro intero programma e progetto. Una campagna pubblicitaria necessaria per la divulgazione delle nostre idee ed importante investimento in vista delle future tornate elettorali, lavoro che la sola parola d’ordine del fronte unico, o la semplice lunga enunciazione dei nostri punti programmatici non possono sopperire.
La nostra costruzione nel popolo della sinistra.
Il nostro terzo Congresso indicava nel “popolo della sinistra”, a livello politico, il referente principale del nostro intervento e costruzione: Il nostro riferimento centrale dev’essere il settore di massa del mondo del lavoro e della sua avanguardia larga che cerca “a sinistra” una rappresentanza delle proprie ragioni di classe e che per questo può entrare in collisione con i gruppi dirigenti delle sinistre. I nostri volantini, la nostra propaganda, deve cercare di parlare a questo mondo. Facendo leva sul suo embrione di coscienza per svilupparlo in direzione rivoluzionaria. Questo approccio va articolato nell’intervento sulle diverse sinistre e sulla loro crisi” (Documento politico del 3° Congresso del PCL, pagina 38, 4 gennaio 2014).
Questa indicazione rimane valida e va perseguita. Il “popolo della sinistra” è un’entità multiforme e differenziata, ma reale. Abbraccia milioni di persone segnate, con mille confusioni, deformazioni e illusioni, da memorie e immaginari classisti, da una diffusa domanda di rappresentanza che oggi non trova risposta. Comprende una crescente astensione e la base elettorale delle cosiddette sinistre “radicali”. Coinvolge l’insediamento di massa di Cgil e Fiom. La gestazione tormentata e irrisolta della ricomposizione di una sinistra riformista guarda all’insieme di questo mondo.
Questo mondo è il terreno principale (non l’unico) della nostra costruzione politica. Il nostro stesso corpo elettorale è parte, sia pure infinitesima, del popolo della sinistra. Non a caso la composizione del nostro voto segue nelle sue variazioni la mappa elettorale di questo mondo. Abbiamo la necessità di presentare il PCL e la sua costruzione come l’unica risposta reale, non illusoria, alla sua domanda di riferimento .
Sul terreno elettorale, a determinate condizioni (impossibilità di una nostra presentazione, presenza di polarizzazione attorno a una sinistra indipendente) può essere praticata la tattica leninista dell’appoggio elettorale critico: quale forma di fronte unico con la base popolare e di classe della sinistra contro le forze borghesi ai fini della presentazione del nostro programma e della nostra prospettiva. Nei termini richiamati dal nostro Congresso e dalla risoluzione del CC di Dicembre.
Sul piano politico dobbiamo far leva sul fallimento e sulle responsabilità dei gruppi dirigenti della sinistra, ma anche sull’inconcludenza opportunista degli attuali infiniti tentativi di ricomposizione di una sinistra italiana. Nel corso della prossima estate e in autunno dobbiamo sviluppare una campagna di intervento del PCL, delle sue sezioni e dei suoi nuclei, nei confronti della sinistra. Una realtà che, al di là del logoramento in corso, coinvolge ancora decine di migliaia di militanti politici e sociali. Due gli elementi su cui concentrare l’iniziativa, sia nei momenti informali di confronto, sia in interventi e volantinaggi, sia con apposite iniziative delle nostre strutture territoriali: la critica a Landini ed alla FIOM, la crisi del PRC.
La coalizione sociale, al di là del suo reale contenuto e delle sue ambiguità, ha attirato attenzione e speranza in vaste aree di questi settori, proprio per l’aspettativa di un processo costituente di una forza politica confusamente classista. E’ utile per noi interloquire con questo sentimento di massa, seppur vago, quanto avanzare esplicitamente una critica alle ambiguità di Landini, agli opportunismi FIOM, ad una gestione autoritaria ed autocentrata (espulsione Bellavita dalla Segreteria FIOM; attacco ai delegati di Melfi che hanno proclamato sciopero; rifiuto di inserire in CC uno di questi delegati, secondo le prassi e le regole CGIL rispettate persino da Camusso). Un’attenzione particolare deve esser inoltre riservata al cupio dissolvi di Rifondazione, che oggi conosce un vero salto di qualità (frantumazione interna delle componenti storiche del partito, dissolvenza di federazioni e circoli, divaricazione di scelte elettorali nelle regioni e città): già oggi in alcuni casi, piccole realtà di militanti hanno guardato e guardano al PCL come possibile approdo: realtà che si tratta di formare e incorporare senza incertezze nel nostro processo di costruzione.
Lo sviluppo di un’area politica attorno a noi è un lato importante della nostra costruzione. Sotto questo profilo è importantissimo il lavoro in atto di costruzione della tendenza studentesca rivoluzionaria sul piano nazionale, e in qualche caso i successi riportati nell’intervento studentesco di alcune realtà metropolitane. Così come importante è il lavoro condotto in ambito sindacale, a partire dal ruolo svolto nell’opposizione CGIL. Più in generale vanno intensificate le iniziative pubbliche e pubblicizzate delle nostre strutture territoriali di partito tese a presentare le nostre posizioni e proposte e dunque a intercettare nuovi avvicinamenti, disponibilità, interlocuzioni. Lo sviluppo e il consolidamento di un’area di simpatizzanti attorno a noi è anche in relazione, in qualche misura, all’attività pubblica delle nostre sezioni.
Sviluppare la sinistra rivoluzionaria nelle realtà metropolitane: il PCL e le prossime elezioni amministrative.
In questo quadro, a partire dalla necessità di sviluppare un confronto sulle proprie esperienze di intervento, il CC del PCL ritiene fondamentale concentrare l’attenzione del partito, le risorse centrali e quelle dei diversi territori sulle principali realtà metropolitane del paese nel corso del prossimo anno. Nella prossima primavera è infatti prevista una vasta tornata elettorale in importanti capoluoghi, a partire da Torino, Milano, Bologna, Napoli e forse Roma. Queste elezioni avranno in ogni caso un carattere spiccatamente politico. Ancor più se dovesse coincidere col referendum confermativo sulle riforme istituzionali. L’esperienza in genere ha mostrato l’importanza della nostra presentazione elettorale, ovunque possibile, ai fini della costruzione del nostro partito: salto di riconoscibilità, estensione di contatti e relazioni in ambienti di classe, ingresso di nuovi compagni nel partito. La nostra recente presentazione elettorale in Liguria e in Umbria conferma questa indicazione. Proprio le elezioni comunali sono il terreno più facile di una nostra presentazione (dal punto di vista delle procedure elettorali), sebbene molto impegnativo. Il profilo nazionale di questo appuntamento ci offre un terreno privilegiato di intervento.
Per questo il CC del PCL impegna da subito tutte le nostre sezioni interessate a predisporre le condizioni della presentazione al voto del nostro partito. In tutte queste realtà metropolitane sono presenti molteplici realtà antagoniste, di sinistra e dell’estrema sinistra. Molte di queste realtà potrebbero pensare e stanno probabilmente pensando a sviluppare un proprio intervento elettorale. Molte di queste, nel quadro delle condizioni della sinistra, saranno tentate dall’ipotesi di costruzione di cartelli, rassemblement o liste della sinistra rivoluzionaria, anticapitalista, classista o conflittuale. Non solo il nostro progetto politico, ma anche l’esperienza concreta, rende per noi inaccettabile tale prospettiva: in un quadro di confusione politica e di classe, tutte le sperimentazioni di liste e raggruppamenti senza basi programmatiche e progettuali sono tracollate dopo pochi mesi, con risultati elettorali sempre modesti, più modesti ancora di quelli del PCL (da Ross@ alla lista Bruno in Liguria). In questo quadro, è importante costruire e pubblicizzare sin da subito la presentazione del PCL come forza classista e rivoluzionaria. In questo quadro, vanno definite al più presto le candidature a sindaco. Una nostra presentazione in tutte le principali città darebbe il profilo di una nostra presenza politica nazionale e sarebbe un ponte importante in vista delle successive elezioni politiche (2018 o eventualmente anticipate).
Comitato Centrale del PCL
Bologna, 11 luglio 2015