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da Forlitoday |
di Frecciarossa e Volodia
Il 7 maggio si è conclusa la vicenda dei lavoratori Croci (Bertinoro), già in cassa integrazione per fallimento (
qui si riepiloga l’intera vicenda).
Riflettiamo con un compagno appartenente ai 32 lavoratori licenziati sull’epilogo e sulle conseguenze a livello economico, personale ed emotivo di questa vertenza.
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D. Compagno, il 5 maggio hai firmato il tuo licenziamento. Come ci si sente?
R. Da lavoratore è una sconfitta, perché l’unico licenziato doveva essere il padrone, non i lavoratori. Il padrone è infatti l’unico che, pur essendosi arricchito grazie alla nostra fatica, non si è fatto scrupoli, come sempre avviene in questi casi, di scaricare sulle spalle dei dipendenti le sue decisioni sbagliate.
Il profitto è sempre privato e mai redistribuito, mentre le perdite sono sempre collettive. Ogni licenziamento determina problemi in ogni famiglia. Problemi economici, psicologici e pratici.
D. Spiegati meglio.
R. Da un punto di vista economico, perdere il lavoro significa subire gravi perdite in un bilancio famigliare già non roseo in precedenza, come per tutte le famiglie di lavoratori salariati. Gli ammortizzatori sociali comportano comunque una grave perdita di potere d’acquisto rispetto al salario, già basso.
D. E da un punto di vista psicologico?
R. Quando si esce dal mondo del lavoro a un’età non più tenera diventa praticamente impossibile trovarne un altro.
E le riforme di questo governo bonapartista e filopadronale hanno ulteriormente peggiorato la situazione, regalandomi la precarietà a vita e la costante spada di Damocle di un nuovo licenziamento anche senza giusta causa, grazie alla cancellazione dell’articolo 18.
D. E da un punto di vista pratico? Hai cercato altri lavori?
Sì, per tre mesi ho lavorato in somministrazione in un’altra azienda, nella quale il ritmo della produzione non ti lasciava il tempo di poter apprendere la mansione richiesta. Si pretendeva la massima produttività fin da subito. I profitti, per i padroni, non possono mai fermarsi.
D. Come mai la lotta nel tuo stabilimento è fallita e si è arrivati ai licenziamenti?
R. La lotta è fallita perché alcuni lavoratori paraculati hanno tradito gli altri.
D. Cosa intendi?
R. Durante le lotte, alcuni lavoratori (fortunatamente non tutti) hanno fatto il gioco del padrone. In altre parole, finiti gli scioperi, andavano a riferire alla dirigenza le strategie di lotta e le future mosse dei colleghi in agitazione. Poi una grossa fetta di responsabilità spetta anche ai sindacati.
D. Perché? Non vi hanno sostenuto?
R. Erano presenti, ma di fatto non avevano nessuna strategia conflittuale. A mio avviso hanno ammorbidito molto la lotta dei lavoratori, venendo sistematicamente incontro alle richieste dell’azienda. Hanno ignorato la volontà di scontro dei lavoratori, privilegiando tavoli istituzionali su cui, giocoforza, hanno ceduto al padrone, lasciando i lavoratori in lotta privi di qualsiasi strumento.
D. Cosa dovevano fare i sindacati secondo te?
R. Istituire casse di resistenza, in modo che ogni lavoratore avesse la possibilità di continuare la lotta a oltranza, senza firmare nessun licenziamento collettivo.
Avrebbero dovuto prevedere un’escalation di lotte fino all’occupazione della fabbrica sotto controllo operaio. I sindacati hanno dimostrato tutte le lacune possibili nei confronti di chi dovevano tutelare, hanno completamente rinunciato al proprio ruolo, tradendo i lavoratori che si fidavano di loro.
Avevano annunciato che non avrebbero mai firmato dei licenziamenti: non è andata così.
D. Quanto hai lavorato in quest’azienda?
R. Alla Croci ho lavorato vent’anni. La mia intera giornata lavorativa si svolgeva a contatto con persone umanamente molto valide, che alleggerivano la durezza del lavoro.
In particolar modo vorrei ringraziare un lavoratore che mi ha dato tanto, a livello affettivo e lavorativo, l’amico e compagno Sauro, che non scorderò mai.
D. Ritorneresti a lavorare lì se ti richiamassero?
R. No!!