di Leandro Silvio Evangelista
L’innata casistica dell’uomo, quella di cambiare le cose mutandone il nome! E di trovare un sotterfugio per infrangere la tradizione rimanendo nella tradizione, laddove un interesse diretto abbia dato la spinta sufficiente (Marx citato da Engels in “L’origine della famiglia, dello Stato e della proprietà privata” pag. 84 Editori riuniti).
Per capire cosa sia il carcere credo che sia opportuno partire da definizioni avulse dalla propaganda mediatica, che potremmo definire borghese.
È necessaria un’analisi utile a far comprendere la natura classista del carcere, a tanti di noi che siamo sempre stati “fuori”. A tale scopo è esemplare l’opera di Engels “L’origine della famiglia, dello Stato e della proprietà privata”.
Lo Stato è “…un prodotto delle contraddizioni insolubili di questa società, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare…” (pag. 200). Ecco il perché della forza pubblica, ivi compresa della struttura carceraria: “lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, … è lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo (cioè della forza pubblica), diventa anche politicamente dominante (pag. 202).
La panoramica è questa: lo Stato con la sua classe dirigente scrive le leggi e decide chi opprimere e come farlo. Qui si inserisce il carcere (parte integrante della forza pubblica).
Questo è il carcere, ma i suoi elementi più concreti e quotidiani, come i pensieri, i sentimenti, le voci, la puzza, quelli non possiamo spiegarli.
Ci affidiamo quindi alle parole di Salvatore Ricciardi, con un libro che viene da “dentro”. Un libro che porta la sua testimonianza, di vita e di lotta, a chi è più o meno giovane (come me che sono nato il mese dopo il suo arresto), a chi ha vissuto i conflittuali anni Sessanta e Settanta e a chi non sa minimamente cosa sia lo spioncino, il rumore della luce e il tempo che non passa.
Sicuramente Salvatore non ha mai smesso di lottare: la lotta è necessaria anche per non morire. Smettere di lottare in carcere vuol dire proprio questo: chiudere lo spioncino. Questo significa non voler sentire né voler sapere se sta arrivando una buona notizia (una visita inaspettata) o una “cattiva” notizia (la squadretta punitiva).
Se accetti le voci del carcere non sei passivo, non ti sei fatto prendere dal carcere, non hai smesso di volere la libertà.
Se invece accetti il “rumore” della luce, chiudi lo spioncino, accetti il tempo che non passa mai. Accetti il carcere… ma il carcere ti prende. E ti viene voglia di “andare via senza chiedere il permesso”.
Il carcere come la vita: lottare per non morire. E Salvatore, Salvo per i compagni, ha fatto proprio questo. Ha fatto passare il tempo in carcere. Ma non come vorrebbero fare certi “democratici” con il lavoro forzato (chiamatelo pure gratuito o socialmente utile). A questi benpensanti non importa l’altro dramma del carcerato, cioè il ritorno in cella. La parola recludere (di origine latina, aprire e chiudere) dà il senso a questa sofferenza: una doppia tortura. Uscire temporaneamente, pur sapendo che il cancello che avevi di fronte ti si chiuderà alle spalle. Per questo che nasce la rivolta e l’evasione! Evadere, l’altro modo per andare via senza chiedere il permesso. L’unico modo per rimpossessarsi del tempo, l’unico modo affinché passi questo stramaledetto tempo. E ti rimane la puzza, che cerchi di lavare via, e l’odio per il carcere.
Ma non voglio andare oltre, perché solo il libro potrà farvi calare in quella realtà.
Una cosa è certa: scoprirete che la realtà che ci circonda, anzi che ci avvolge, non è libertà. Cambiategli pure il nome: è una struttura detentiva, una misura restrittiva ma noi siamo i detenuti. Una tortura democratica, umana.
È per questo che parlo di persone “dentro” o “fuori” dal carcere: non è casuale, nemmeno un refuso.
Questa società decide chi deve stare dentro o chi fuori, ti impone l’ ”evasione” ludica “contro” la depressione, sa ascoltare ma non sa capire: questa è semplicemente l’altra faccia del carcere.
È per questo che anche io ODIO IL CARCERE!