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Genere, scienza, materialismo: una prospettiva marxista

di Nicola Sighinolfi, Clelia Mazzei

Come comunisti, materialisti e femministi rivoluzionari pensiamo utile spiegare la nostra posizione sull’omosessualità e sulle rivendicazioni dei vari movimenti lgbtq (lesbiche gay bisessuali , transgender e queer) cercando poi di portare la riflessione ad un maggiore livello teorico con una critica all’ideologia borghese dominante. Crediamo infatti che questo tema si presti bene per rivelare le implicazioni ideologiche delle scienze. Sentiamo la necessità di riaprire quel dibattito su questioni fondamentali (famiglia, eros, arte, scienza, ecologia) che è stato molto ricco e fertile fino agli anni Venti del secolo scorso; la reazione stalinista, nel travolgere il portato della rivoluzione d’ottobre, ha sepolto anche il dibattito sull’eros, riproponendo di fatto un ideale di coppia del tutto speculare a quella borghese. Si è dovuto attendere l’esplosione sociale degli anni ’60 e ’70, con tutte le sue contraddizioni, per tornare ad un livello di riflessione e di battaglia politica che si trasformasse in lotte sociali di cui le donne sono state protagoniste ed i cui effetti e la cui eredità hanno una grande rilevanza ancora adesso, pur non raggiungendo gli stessi risultati che le donne hanno potuto toccare, anche se per breve tempo, sospinte dalla rivoluzione sociale in Unione Sovietica.1
Innanzitutto siamo favorevoli a tutte le rivendicazioni dei movimenti lgbtq: diritti e pari dignità, riconoscimento delle unioni civili, possibilità d’adozione, possibilità del matrimonio. Per quanto riguarda quest’ultima rivendicazione è necessario fare alcune puntualizzazioni: dal momento che riteniamo necessario il superamento del modello familiare monogamico borghese, siamo per l’abolizione di questo istituto; ciò non contraddice il fatto che ad oggi la conquista del matrimonio per le coppie omosessuali sia una tappa progressiva. Il matrimonio e la famiglia sono strutture cardine della società e della morale borghesi e per questo portatrici di tutte le loro contraddizioni.2 Nei paragrafi di Largo all’Eros alato! Lettera alla gioventù lavoratrice3 in cui viene analizzata l’ideologia della coppia borghese, ad esempio Alexandra Kollontaj fa emergere un aspetto cruciale, ovvero come questo nuovo tipo di nucleo familiare impostosi gradualmente dalla fine del Quattordicesimo secolo e l’inizio del Quindicesimo abbia come cardini la legittimità e il rapporto di proprietà: la proprietà privata, base del sistema capitalista, trasmigra con tutto il suo portato nel cuore della coppia e ne diviene fondamento, imponendo con essa anche una nuova morale. La nuova famiglia borghese diviene cardine della società, in quanto sacro custode della proprietà privata e luogo deputato all’accumulo e alla tutela del capitale e questo aspetto investe e travolge anche l’eros, tracciando nuovi confini del “lecito” e dell’“illecito”.

“L’ideale feudale separava l’amore dal matrimonio: la borghesia li riuniva, rendendo amore e matrimonio concetti sinonimi. […] L’ideale dell’amore nel matrimonio comincia ad apparire in seno alla classe borghese unicamente quando la famiglia, a poco a poco, si trasforma da unità di produzione in unità di consumo, e nello stesso tempo si fa “custode” del capitale accumulato. […] L’amore non è legittimo che in vista del matrimonio. Al di fuori del matrimonio legale, l’amore è immorale. Va da sé che questo ideale era dettato da considerazioni meramente economiche: la volontà di impedire la dispersione del capitale tra i figli naturali. Tutta la morale della borghesia era fondata su questa volontà: assicurare la concentrazione del capitale. L’ideale dell’amore era la coppia sposata, che indirizza congiuntamente le proprie energie all’accrescimento del benessere e della ricchezza della cellula familiare, isolata dalla società. Laddove gli interessi della famiglia e quelli della società divergevano, la morale borghese optava a favore della famiglia.”4

Inoltre, tornando al tema specifico dei rapporti dei comunisti con le realtà lgbtq, guardiamo con interesse e con favore a manifestazioni come il Pride5, di cui apprezziamo particolarmente l’impostazione irriverente, provocatoria e sovversiva tipica dello stile carnevalesco. Rivendichiamo la frivolezza come un principio fratello del socialismo, da opporre all’austerità che ritroviamo tanto nell’ipocrisia puritana quanto nello stalinismo, il quale, per la sua natura di compromesso ideologico con la borghesia, è ricaduto all’interno della sua morale6. A proposito dell’opposizione materiale e morale fra austerità e frivolezza, proponiamo un estratto da una lettera (18 febbraio 1917) che la compagna Luxemburg scrisse ad un’amica a proposito della “leggera” protagonista di un romanzo criticata severamente da Clara Zetkin:

“Ma com’è duro e puritano il suo giudizio sulla nostra – la vostra e la mia – Irene, su questa povera e adorabile creatura che è troppo debole per aprirsi un varco nel mondo a forza di pugni e che resta come un fiore schiacciato! Clara pretende di non avere la minima comprensione per queste “signore” che non sono che degli “apparati sessuali e digestivi”. Come se ogni donna potesse diventare “agitatrice”, stenotipista, telefonista o qualsiasi cosa di “utile” del genere! E come se le belle donne – la bellezza non è solamente un viso grazioso, ma anche la delicatezza e la grazia interiori – come se le belle donne non fossero già un regalo del cielo perché sono un piacere per gli occhi! E se Clara si erge come un arcangelo armato di spada fiammeggiante sulla porta dello Stato dell’avvenire per cacciare le Irene, le rivolgerei, a mani giunte, questa preghiera. Lasciaci le dolci Irene, anche se servono solo ad abbellire la terra, come i colibrì e le orchidee. Io sono per il lusso sotto tutte le forme.”7

C’è poi un livello più profondo che riteniamo necessario al fine di liberare il discorso scientifico – e conseguentemente il discorso giuridico e quello del senso comune – dall’ideologia e dal moralismo borghesi che gli sono endemici. Il materialismo storico deve imporsi come base epistemologica delle discipline scientifiche. In questa prospettiva le scienze sociali, psicologiche, mediche ecc. non avranno più la necessità di utilizzare categorie “pseudo-scientifiche” come “omosessuale”, nate dalla stratificazione secolare di pregiudizi religiosi, qui da intendersi come conoscenze dogmatiche e non problematizzate, e che hanno avuto come conseguenza quella di costruire delle essenze, delle entità astoriche, che sostanzialmente non colgono la complessità del reale, non possono descriverla e non servono a nulla; o meglio, non hanno nessuna utilità in una prospettiva socialista, mentre è evidente che all’interno dell’attuale sistema capitalista sono funzionali alla morale borghese al mantenimento dello status quo. Non si deve fraintendere la nostra posizione. Non vogliamo né censurare né rimuovere le scelte soggettive, i gusti o i percorsi di vita di ciascuno. Tanto meno vorremmo mai ostacolare la libera scelta e rivendicazione politica della differenza. Siamo assolutamente favorevoli alla liberazione sessuale e delle coscienze e alla possibilità di ognuno di scegliere liberamente il proprio, la propria o – perché no – i propri compagni.
Ciò di cui siamo fortemente consapevoli è però che la scienza, anzi le scienze, sono innanzitutto prodotti umani, quindi sono necessariamente storiche e quindi necessariamente limitate e orientate da ideologie e da pregiudizi. La costruzione di categorie conoscitive è il risultato delle necessità delle società umane di ordinare il reale e conseguentemente organizzarlo e controllarlo. Il materialismo storico è dunque indispensabile a “garantire” il mantenimento del carattere storico e relativo delle categorie conoscitive prodotte e impedire che si trasformino in pretese essenze esterne all’uomo e astoriche. Per questo riteniamo che categorie come “omosessuale” siano entrate nel discorso scientifico attraverso un processo di “invenzione” di una presunta differenza che il discorso scientifico ha naturalizzato, ossia inscritto nella “natura umana”, che ha avuto come risultato la creazione di un Noi e un Loro biologicamente e moralmente fondato, che distingue tra “sani” e “normali” da un lato e “a-normali” e, nei casi più espliciti, “contro-natura”. Sono stati integrati quindi nel discorso scientifico dei pregiudizi morali che di scientifico non avevano nulla. La dimostrazione di ciò che affermiamo sta nel fatto che tuttora, molti dei diritti degli omosessuali non sono stati ancora riconosciuti. Fino al secolo scorso gli omosessuali venivano pure processati e rinchiusi nei manicomi (in molti Stati confessionali devono vivere ancora in clandestinità la propria identità sessuale).
È inutile sottolineare che il principale responsabile di questo pregiudizio storico è la Chiesa, che tutt’oggi perpetua la sua battaglia in favore della famiglia “tradizionale” e “naturale”.
È indiscutibilmente molto difficile, praticamente impossibile, contestualizzare totalmente il proprio presente e smascherare tutti i pregiudizi e le logiche religiose che lo permeano; la realtà ci appare sempre “evidente” e “palese”. A questo proposito pensiamo che la storia e l’antropologia critiche possano venirci in soccorso a mostrare come in Occidente i processi conoscitivi siano intrisi di superstizione e moralismo maschilista e di come possano plasmare in profondità, marchiare, il contesto socio-culturale in cui sono chiamati a intervenire, arrivando a costruire delle vere essenze-ghetto. Proponiamo dunque un passo dal saggio di Paola Tabet La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico:

“Judith Walkowitz, studiando l’Inghilterra dell’Ottocento, ha mostrato come negli strati popolari la separazione netta tra prostitute e donne per bene, quale la conosciamo e quale ci viene rappresentata dalla morale corrente, e in particolare la formazione di una categoria di donne che diviene un vero e proprio gruppo di paria, “an outcast group”, è il prodotto di specifici interventi e misure politico-legislative. Walkowitz (1980) mostra infatti come nelle classi povere inglesi le ragazze potevano avere relazioni di prostituzione per un certo periodo, relazioni di unione libera o concubinato in un altro, o ancora infine di matrimonio. Ma, specie attraverso le leggi sulla repressione delle malattie veneree, donne che per periodi determinati della loro esistenza, decidevano di vendere – fuori del matrimonio – servizi sessuali, le donne cioè delle classi più povere che passavano periodi relativamente brevi, due o tre anni della loro vita, prostituendosi, venivano individuate, schedate e marcate. Si produce così una separazione di queste donne rispetto alla loro classe di origine e al loro ambiente e con ciò il passaggio a rapporti e situazioni in cui la vendita di servizi sessuali che fino ad allora era stata un’attività in prevalenza gestita individualmente dalle donne, diventa invece oggetto di controllo e sfruttamento maschile.
Le leggi, nonostante le lotte che culminano nella loro abrogazione, hanno un effetto chiaro e immediato: l’età media delle donne individuate come prostitute aumenta considerevolmente nei due decenni successivi alla loro entrata in vigore; in particolare si raddoppia o addirittura si triplica il numero di prostitute sopra i trent’anni. La normativa antivenerea e gli interventi repressivi connessi hanno radicalizzato la situazione. Le donne entrate in questa occupazione hanno ormai gravissime difficoltà ad uscirne: la prostituzione da lavoro momentaneo diventa una condizione, le donne che la esercitano una categoria rigida, fissa, ghettizzata.”8

A proposito poi della presunta divisione fra ciò che è secondo-natura e quindi supposto lecito e ciò che è contro-natura e quindi ritenuto illecito, si tratta di una divisione fittizia e logicamente infondata; al contrario rivendichiamo due punti fondamentali.
1) In primo luogo non è il livello del “naturale” quello su cui valutare la giustezza di una pratica: solo la politica può farlo; per assurdo, se in qualche modo venisse dimostrato scientificamente che l’Essere Umano fosse fisiologicamente predisposto all’omicidio, dovremmo forse legalizzarlo per accondiscendere alla sua “naturale inclinazione”?
2) In secondo luogo, implicito alla base di questi ragionamenti perversi riteniamo esservi un atteggiamento che definiamo “religioso” e fideistico nei confronti tanto della Storia quanto della Natura, e che solo la fondazione di un’epistemologia materialista può controllare. Questo lo riscontriamo anche in coloro che ingenuamente si definiscono atei, poiché non basta essere certi che non esiste alcun dio per essere liberi da pregiudizi e logiche finalistici. Tale principio religioso agisce naturalizzando e universalizzando il proprio contesto storico-culturale (questo stesso atteggiamento è anche alla base dell’eurocentrismo e dell’etnocentrismo che hanno guidato la colonizzazione) rendendolo storicamente necessario. In questo senso, ad esempio, il modello familiare borghese monogamico viene concepito come unico e “naturalmente” giusto. Se proponessimo la possibilità per una coppia omosessuale di adottare un bambino, la risposta che gli “esperti” darebbero per negargli tale diritto sicuramente sarebbe: “non ho nessun pregiudizio nei confronti degli omosessuali.. però la loro è una richiesta egoista e ingiusta perché un bambino ha bisogno tanto di una figura materna quanto di quella paterna”, che è come dire: “questa è la Natura delle cose, e da essa non si scappa! Ti ci devi attenere e non la puoi trasformare”; le relazioni familiari, che non sono altro che relazioni sociali, in quest’ottica si ridurrebbero ad essere relazioni “naturali” e – chiaramente – la coppia eterosessuale monogamica rappresenterebbe il trionfo della Natura. Non è vero! Sosteniamo e rispondiamo con forza a questi pregiudizi con due punti:
1) Innanzitutto riteniamo che anche l’“entusiastica” e “militante” eterosessualità della nostra società sia socialmente costruita (e tendenzialmente indotta coercitivamente); per capire la radicalità – e ragionevolezza – di questa affermazione ricorriamo nuovamente a un passo del saggio di Tabet che descrive l’evoluzione della sessualità negli adolescenti in alcune città africane e mostra come l’eterosessualità sia indotta progressivamente al fine di riprodurre e mantenere inalterate le strutture sociali come la famiglia e i ruoli sociali come la categoria subalterna donna-moglie-madre:

“Dai 4-5 anni e fino all’adolescenza i bambini e le bambine formano gruppetti che fanno giochi, praticano carezze e poi rapporti genitali sia omosessuali che con l’altro sesso, giochi e rapporti vissuti come piacere, cose “normali”, “divertenti”. Tali sono considerati anche i rapporti che si instaurano con gli adulti. Ma qui interviene il primo taglio nella sperimentazione di sé degli e delle adolescenti e inizia la pressione più precisa verso una eterosessualità riproduttiva. Mentre i rapporti omosessuali tra coetanei non pongono problema, l’omosessualità con adulti è vista come vergogna ed è oggetto di estrema riprovazione. Con ciò viene evidentemente limitato ogni sviluppo di questa forma di espressione sessuale, ogni approfondimento di questa esperienza che viene bloccata al livello infantile o adolescenziale. Al contrario, ed è ben significativa questa differenza di trattamento delle forme di sessualità, i rapporti eterosessuali delle ragazzine con adulti sono visti con favore anche quando sono rapporti remunerati. Come condizionamento a ed espressione di una sessualità genito-procreativa ricevono incoraggiamento: “mia figlia ha fretta di diventare una moglie e una madre, accetterà volentieri un uomo e la maternità”.”9

2) In secondo luogo sosteniamo che tutti quei processi storici che hanno portato alla nascita dell’Homo sapiens sapiens, e che vengono generalmente condensati in termini come “evoluzione” e “selezione naturale”, siano processi complessi e irrazionali e NON guidati da una qualche Ratio. Questo significa che NON viviamo nel migliore dei mondi possibili e che noi, come Esseri Umani, rappresentiamo solo uno degli infiniti esiti possibili (e comunque i processi non si arrestano per cui rappresentiamo non realmente un esito ma una tappa delle altrettante molteplici tappe possibili). Lo studio del corpo umano, della sua fisiologia e della sua psicologia sono certamente utili per comprendere il nostro percorso e il nostro funzionamento, ma non possono assurgere al ruolo di definire una qualche nostra “essenza sociale”. La maternità e la paternità tanto sbandierati da scienziati e preti devono dunque essere messi in discussione e superati in quanto figli dell’ideologia borghese.

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1- Si vedano, a titolo di esempio per la fecondità del periodo, i libri: Problems of Women’s liberation: A Marxist Approach – di Evelyn Reed (’68), Oltre il lavoro domestico (’78\’79) di Chisté-Del Re-Forti , Femminismo e lotta di classe 1970-1973, a cura di Annamaria Frabotta (’73) o il più recente Lavoro delle donne, potere degli uomini (’96), di Chevillard e Leconte

2- Con questo non si deve essere indotti a credere che il problema dell’oppressione della donna nasca integralmente dalla coniugazione del patriarcato con l’ascesa della borghesia. La storia dei rapporti tra i generi si intreccia in modo indissolubile con lo sviluppo della divisione sociale del lavoro e dunque con la costruzione delle sovrastrutture sociali che la nostra storia come umanità ha conosciuto. Per questo la violenza di genere è una costante attraverso diverse epoche, perché la storia umana è la storia di società divise in classi in cui una parte della società ne opprime un’altra e non in virtù di categorie non storiche che si pretenderebbero insite in astratte “nature” maschili o femminili. Il patriarcato è un abito che molteplici forme di organizzazione sociale hanno indossato con comodità e piacere (ma non per questo è universale), compresa la società attuale del capitalismo, proprio perché nato in legame con la divisione in classi della nostra società.

3- Aleksandra Kollontai, Largo all’eros alato. Lettera alla gioventù lavoratrice.

4- Ibid.

5-Esperienze come il Pride sono certamente molto importanti poiché portano avanti da una parte l’aspetto di denuncia dell’ineguaglianza dell’attuale condizione omosessuale, da un’altra testimoniano la possibilità di essere soggetti alternativi rispetto alla morale corrente, rivendicando il diritto all’esistenza e alla libera costruzione della propria soggettività e sessualità; infine portano avanti le vertenze delle varie realtà lgbtq. Nonostante questo non possiamo non esprimere le nostre perplessità su questo tipo di manifestazione; infatti, anche se vengono attaccati e sbeffeggiati il moralismo e il “buon costume”, data la sua natura interclassista, il Pride pecca di non avere alla base una solida analisi e una critica sistematiche alla società patriarcale-capitalista e per questo non ci pare in grado di proporre un modello alternativo di società: il fatto stesso che non venga criticato l’istituto del matrimonio e quindi la proprietà privata che ne è il fondamento ci sembra emblematico di questo limite di prospettiva politica.

6- E’ incredibilmente frequente la sovrapposizione e dunque la confusione tra sobrietà e austerità. Questo porta a escludere da una pretesa ortodossia militante tutto quello che è visto come sopra le righe o “futile”.

7- Rosa Luxemburg, Lettere contro la guerra, Prospettiva, Roma 2004, pp. 70 – 71.

8- Paola Tabet, La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico, Rubbettino Editore, 2005, pp. 11- 12.

9- Paola Tabet, La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico, Rubettino, Catanzaro, 2005, p. 54.

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