“Hallucinating square”: l’insaziabile fame dei costruttori forlivesi
da ForlìToday |
Di Partigiano stanziale
Qualche giorno fa il quotidiano on-line della Romagna “Romagna oggi” pubblicava il seguente articolo:
Forlì, addio alla ‘barcaccia’ di Piazza Guido da Montefeltro
A “cancellarlo” formalmente è un piano urbanistico attuativo di iniziativa pubblica portato nel pomeriggio di lunedì dall’assessore all’Urbanistica Gabriele Zelli al Consiglio comunale, per l’approvazione. Il progetto è stato anticipato in mattinata durante conferenza stampa: di fatto la soluzione adottata è quella “minimale”, vale a dire la demolizione completa della ‘Barcaccia’ e la ricostruzione della piazza su un unico piano, occupata da un prato e piccoli arbusti.
Un volto, insomma, completamente diverso da quello attuale, costituito da un grande parcheggio con numerosi elementi, anche decorativi, di cemento. Sotto il prato lo strumento urbanistico prevede 290 posti auto interrati in un parcheggio sotterraneo a due piani e un’area interrata di 2.700 metri quadri sotto un cortile del San Domenico, ad uso del polo museale. Non solo, su un lato della piazza (via Theodoli) è prevista un edificio a due piani, di circa mille metri quadrati che “chiuderà” la piazza sul lato nord e di fatto dividerà due appendici laterali del grande piazzale, ricostituendo cosi due antiche piazzette (le scomparse piazza San Domenico e Sant’Agostino, oggi piazza Dante).
Leggendo solo il titolo del precedente articolo viene da tirare il classico sospiro di sollievo: “finalmente il senso della decenza trionfa; il peggior obbrobrio urbanistico della storia di Forlì verrà finalmente demolito”. Continuando però la lettura ci si accorge che la ragione di tale operazione è la stessa che ispirò l’attuale labirintico percorso ad ostacoli di cemento armato in cui almeno due generazioni di forlivesi hanno stampato, come ricordo e per la gioia dei carrozzieri, le vernici delle loro auto.
Ma non è l’inefficienza dell’opera che vale la pena raccontare (pochi posti auto rispetto allo spazio occupato) o la storia della pavimentazione che dovette essere risistemata più volte e poi rifatta completamente dopo pochi anni, quanto gli interessi che ispirarono i progettisti e l’amministrazione comunale a concepire, in pieno centro storico e di fronte ad un complesso le cui origini risalgono al tredicesimo secolo, un siffatto monumento al cemento e all’acciaio.
Addirittura, quando l’opera fu realizzata venne presentata come esempio di architettura urbanistica e pubblicata su diverse riviste specializzate.
A quel tempo, in cui la cementificazione delle città e del territorio non aveva ancora bisogno di giustificarsi tramite sofisticati quanto truffaldini sinonimi, come riqualificazione, valorizzazione del patrimonio urbanistico, ecc., chi si opponeva a tali scempi veniva semplicemente additato come ”uno che vuole tornare all’età della pietra “.
Non fu però, come molti oppositori di allora pensarono, solo un problema di cecità ecologica o di ignoranza storica a voler realizzare ad ogni costo la ”barcaccia“ (così come viene chiamato il parcheggio dai forlivesi), ma ragioni molto più materiali. Ragioni che riguardano i portafogli sempre gonfi dei costruttori (cooperative in testa).
Ma facciamo un passo indietro.
Dal 1878 fino al secondo dopoguerra la grande area (20.000 metri quadri) di fronte al complesso storico in rovina del convento San Domenico, era occupata dalla fabbrica ”Bonavita Feltri” che fu per decenni una delle produttrici più importanti in Europa di feltro battuto.
Divenuta superata tale produzione, negli anni Sessanta, la fabbrica chiuse lasciando il posto ad un’area ghiaiata completamente sgombra, escluso il rudere di una ciminiera monca in mattoni rossi; dove, sebbene in maniera piuttosto disordinata, parcheggiavano una grande quantità di auto, liberamente e gratuitamente.
Rimase quindi un’area degradata ma tutto sommato utile e a costo zero per i cittadini e le casse comunali.
Naturalmente si poneva il problema di una riqualificazione e fin qui niente di male, anzi.
Ma invece di cominciare con il recupero del san Domenico (al quale si mise mano molti anni più tardi) fu deciso di farci davanti il parcheggio e non un parcheggio qualsiasi. Perché ?
Se serviva il parcheggio sarebbe bastato pavimentare l’area e delimitare le piazzole con le solite strisce bianche e, magari, piantarci qualche albero che va sempre bene; poca spesa e molta resa, oltre che costi contenuti.
E qui si arriva al punto, perché l’area era ancora di proprietà privata e ovviamente non edificabile. Ma l’amministrazione comunale (bicolore PCI-PSI, con Sindaco Zaniboni, il ”costruttore” della diga di Ridracoli) trovò la quadratura del cerchio: accontentare i proprietari e nello stesso tempo soddisfare il partito trasversale dei costruttori (sia privati che cooperativi). L’area di fronte al san Domenico fu scambiata alla pari con un’altra (edificabile) di proprietà comunale. (vedi nota)
E fu così che mangiarono tutti: gli ex proprietari della Bonavita Feltri, i costruttori del parcheggio in piazza G. da Montefeltro e quelli degli edifici negli ex terreni comunali.
La “barcaccia” fu realizzata in ben cinque anni di lavori (dal 1976 al 1981) e il “famoso” architetto Maurizio Sacripanti che la progettò fu sicuramente, insieme ai “compagni” amministratori, uno di quelli che di più ne godettero.
Un po’ meno, anzi molto meno ne hanno goduto la maggioranza dei forlivesi e le casse del Comune, ……naturalmente e come al solito.
Che i Verdi forlivesi, che allora si opposero giustamente al progetto, oggi cantino vittoria appare piuttosto grottesco perché, se è vero che il nuovo “strumento urbanistico”(come si chiamano ora le peggiori operazioni di basso regime) prevede di sostituire il parcheggio con un prato, tutto il resto cosa c’entra con l’ecologia?
“Ma rimane (quasi) tutto sottoterra”, dicono gli ex integralisti del cemento convertiti all’ecologia (assessore Zelli in testa) secondo il paradigma classico della destra ambientalista: ”basta che non si veda”. Come se per non inquinare fosse sufficiente seppellirle le colate di cemento.
Non che, naturalmente, le gradi opere pubbliche non servano, ma bisogna sempre vedere per chi e per che cosa. Gli antichi romani o i principi del rinascimento le facevano eccome; e le loro motivazioni non erano affatto più nobili di quelle della nostra classe dirigente. Ma almeno le facevano bene e buona parte di esse sono ancora in piedi a testimonianza che al portafoglio non guasterebbe accompagnarci un po’ di cervello.
E poi in una cittadina come Forlì dove da tempo la maggioranza delle persone è stata espulsa dal centro storico e “spedita” a vivere in una quantità di agglomerati satelliti di condomini verticali e orizzontali (a schiera), né città né campagna, senza i vantaggi della città e della campagna, non sarebbe meglio pensare a loro ed ai loro problemi, in primis quelli economici?
Negli ultimi decenni Forlì è stata imbellettata, rifatta, infiocchettata, ma solo nelle piazze e nelle vie principali. Il resto, i vecchi quartieri popolari, marcisce fra la vergognosa speculazione degli affitti (spesso in nero) sulle misere tasche di lavoratori poveri e studenti che sono costretti ad un eterno pellegrinaggio da una camera ammobiliata all’altra.
Meno male che le casse del Comune piangono e molto probabilmente il nuovo mostro underground rimarrà per un pezzo (speriamo per sempre) relegato nei desideri dei signori del cemento…….viva la crisi!
Nota :
Mi risulta che il terreno di proprietà comunale, dato in cambio dell’area di fronte al San Domenico fu quello sito all’incrocio fra via Campo di Marte e viale Roma, di fianco all’area sportiva dove si trova anche lo stadio.
Qui fu poi costruito il grande edificio che tutti i forlivesi conoscono, con piazza antistante e parcheggio sotterraneo, dove trovano sede uffici di vario genere, assicurazioni, notai e avvocati, oltre che un’agenzia della cassa di risparmio e il “CONAD Stadium”. Non ho però l’ assoluta certezza che si tratti proprio di quello e quindi ho ritenuto opportuno non darlo per certo ma proporlo, in questa nota, come probabile.