Corrispondenze operaie, intervista ad un lavoratore dell’industria tessile
da Pcl Napoli- Cellula Lavoro/Sindacato
Abbiamo deciso di inaugurare un lavoro di inchiesta di classe che ci possa permettere di conoscere meglio le condizioni di sfruttamento dei proletari nelle zone di Napoli e provincia.
Con questa intervista, quindi, ha inizio la rubrica “Corrispondenze operaie” che ogni anno produrremo sottoforma di PDF e quaderno.
Abbiamo deciso di inaugurare un lavoro di inchiesta di classe che ci possa permettere di conoscere meglio le condizioni di sfruttamento dei proletari nelle zone di Napoli e provincia.
Con questa intervista, quindi, ha inizio la rubrica “Corrispondenze operaie” che ogni anno produrremo sottoforma di PDF e quaderno.
L’articolo che segue riporta la testimonianza di Antonio, un operaio che lavora a nero in un’industria tessile del casertano.
Dove lavori?
In diverse fabbriche del casertano.
Che tipo di mansioni svolgi e che tipo di contratto hai?
Non ho una mansione specifica in fabbrica e non ho un contratto; lavorando a nero sono costretto a fare un po’ di tutto. Non lavoro in un’unica fabbrica, ma in più plessi manifatturieri, per questo vengo pagato alla giornata. Parlare di lavoro oggi significa parlare di qualcosa che appartiene ad un tempo lontano. Nell’ottocento attraverso le lotte operaie si raggiunsero traguardi mai conosciuti prima, prima tra tutte la riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore giornaliere. Nel corso del novecento la lotta si è intensificata e la classe operai è riuscita ad ottenere una maggiore tutela e maggiori garanzie. Oggi quando parliamo del meridione, e più nello specifico di Napoli e Caserta, ci troviamo di fronte ad una classe di lavoratori che lavora a nero, senza alcuna tutela e senza alcuna garanzia. Non esistono contratti, l’unico accordo che si istaura tra lavoratore e datore è di tipo verbale : il padrone stabilisce la paga quotidiana in base al tipo di mansione svolta dal lavoratore e questi è costretto ad accettare pur di non trovarsi senza uno stipendio. Le ore di lavoro partono da un minimo di nove, ma spesso si raggiungono le dodici ore giornaliere. Il settore coinvolto in questo dramma è quello manifatturiero (calzature, abbigliamento, ecc.), settore in cui si riscontra la presenza di molti lavoratori costretti ad operare in pessime condizioni.
Spesso, infatti, le aziende non sono delle vere e proprie fabbriche, ma scantinati, vecchi e piccoli locali che mancano di strumenti che garantiscano l’incolumità fisica dei lavoratori, strumenti come gli impianti adibiti allo smaltimento di vapori tossici.
Ovviamente i gas tossici non essendo smaltiti vengono quotidianamente inalati dagli operai.
Quante fabbriche si contano nella tua provincia?
In tutta la provincia di Napoli e Caserta si contano ben novecento fabbriche ; queste almeno sono quelle dichiarate. La realtà, invece, è tutt’altra, ne esistono molte di più.
Come si spiega questa incongruenza? Da chi è gestito il settore dell’imprenditoria?
Il settore manifatturiero qui al sud è gestito in gran parte dalla criminalità organizzata : sotto il controllo della sua supervisione si muovono interi complessi industriali. In questo modo viene manipolata sia la fase della produzione che quella di vendita del prodotto. Il settore industriale è dunque soggetto all’egemonia della criminalità organizzata, che oltre ad esercitare il suo potere sulla classe operaia, sfruttandola, è anche colpevole di evasione fiscale. Lo Stato, la borghesia legittima, impone la propria legalità ai proletari, ma non interviene quando ad infrangere la legge è la borghesia illegittima della malavita. Questo accade perché lo Stato ha bisogno della criminalità organizzata, e la criminalità organizzata necessita della tutela dello Stato.
Uno scambio di favori che vede, ancora una volta, i proletari come l’unica classe lesa.
Come vengono vissuti i rapporti che si instaurano tra i lavoratori e questi padroni “illegali” legittimati dallo Stato?
In fabbrica vige il detto “divida et impera” padronale : alcuni lavoratori vengono trattati poco meglio di altri, e di questi il titolare della fabbrica si serve per bacchettare gli altri dipendenti. Il padrone della fabbrica, promettendo a pochi qualche mese di lavoro in più, costruisce intorno a sé una squadra di fedeli, che hanno il compito di sorvegliare gli altri. In questo modo il padrone da un lato cerca di mantenere sotto controllo gli operai, dall’altro crea delle frammentazioni tra i membri del personale per poter indebolire possibili scioperi, manifestazioni e lotte.
In che condizioni lavorano le donne operaie?
Le donne operaie vengono scelte dal padrone e sono quelle più sfruttate. Vengono illuse, gli viene fatto credere di possedere un potere superiore a quello degli altri operai e dopo, poi, vengono spesso obbligate con il ricatto a concedere prestazioni sessuali per non perdere il posto di lavoro o per ottenere qualche soldo in più in busta paga.
Al di fuori della fabbrica, come vive un operaio?
L’oppressione si estende oltre il turno di lavoro in fabbrica e si proietta socialmente nell’ambito dell’educazione giovanile. Frequenti sono i tagli alla scuola pubblica e frequenti sono le nascite di nuove scuole private : esistono tantissimi asili nido e per la prima infanzia non gestiti dallo Stato ma da semplici imprenditori.
Anche la mia famiglia ha vissuto direttamente questa esperienza.
Perché, cosa è successo?
Ho potuto constatare che queste scuole sono delle vere e proprie truffe. Molto spesso si riducono a semplici abitazioni che arrivano ad ospitare più di cento bambini. Tante persone sono condizionate dall’idea che la scuola privata possa conferire ai propri figli un’educazione e una conoscenza più complete rispetto ad un asilo e ad una scuola comunale. Ma non è così, in queste scuole vige spesso il disinteresse e la mancanza di cura nei confronti dei bambini.
Si pensi anche al personale di cui queste scuole si forniscono : molto spesso quelle che chiamiamo “maestre” non hanno conferito studi di psicologia infantile, non hanno seguito corsi e mancano completamente di esperienza. A queste finte maestre non vengono, tuttavia, affidati compiti di poco conto: non sono semplici aiutanti, ma su di loro grava la piena responsabilità dei bambini.
Ad ognuna di queste maestre viene spesso affidata una classe con un minimo di venti bambini, ai quali è tenuta a garantire sicurezza, igiene e intrattenimento. Concluso il turno di lavoro queste stesse persone devono poi provvedere alla pulizia dell’intera scuola e della cucina.
Alla fine di ogni mese ogni maestra spesso riceve uno stipendio non superiore ai trecento euro, circa.
Questo accadeva nella scuola dove lavorava, sempre a nero, mia moglie.
In che modo credi che si possa migliorare la condizione dei lavoratori sfruttati?
Per raggiungere degli obiettivi c’è bisogno di conoscenza, di informazione. Dobbiamo unire le nostre forze, rivendicare ciò che ci spetta. Dobbiamo scegliere, insieme, la lotta.
22/09/2014, Napoli
Corrispondenze Operaie, n°1
Pcl Napoli- Cellula Lavoro/Sindacato