Lotta di classe, di cielo di acqua e di terra
Di rossosconclusionato
Mi viene in mente uno, di cui non farò il nome perché non sta bene, che faceva l’operaio in una grossa azienda. Un giorno, suo malgrado, fu costretto per lavoro a trascorrere un intero pomeriggio sotto un’acqua che Dio la mandava.
Quando rientrò al coperto i colleghi lo videro correre nella sala mensa con un secchio pieno d’acqua piovana. Incuriositi, lo seguirono e videro che dopo aver staccato il crocefisso dalla parete lo aveva immerso e lo teneva giù sghignazzando come fa un aguzzino con un prigioniero politico. E mentre faceva questo, intercalando con bestemmie che facevano le sfiaccole, diceva: “Incù me am’ so infraidé ma, Dio………, tat’ bégn nenca tè” (1).
Un altro invece, che era il muratore del paese, fu chiamato dal prete in canonica per costruire un caminetto. Aveva appena finito di montare la cappa che si era fatta quasi l’ora di pranzo. La puntellò alla benemeglio e, siccome abitava li vicino, si diresse a casa di passo veloce, giacché la moglie le tagliatelle le buttava giù a mezzogiorno in punto e la pasta scotta proprio non gli andava giù.
Ma non aveva ancora attraversato la strada che lo raggiunse il sacrestano trafelato: “Uei! Gigèt, arturnì indrì cl’è vnu zo gnaquel. In te crulé, la capa la sé tireda drì neca e tètt” (2)
Gigetto però non fece una piega e gli rispose: “Sol’ e Signor u’ dura semper“ (3) e poi come se nulla fosse proseguì per la sua strada pensando“Valà che stavolta e pré, sun s’vo bagné, ui toca paghem”.
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(1) Oggi mi sono infradiciato ma (bestemmia) ti bagni anche te.
(2) Ohi! Gigetto tornate indietro che è caduto tutto. Nel crollare, la cappa, si è tirata dietro anche il tetto.
(3) Solo Dio è eterno.
(4) Va che stavolta, il prete, se non si vuole bagnare gli tocca pagarmi.