Congresso nazionale Fiom: il trionfo del tatticismo
Scritto da Paolo Brini Comitato Centrale Fiom-Cgil
Il congresso nazionale della Fiom, tenutosi a Rimini dal 10 al 12 aprile, si preannunciava come il momento in cui si sarebbe dovuto consumare lo scontro decisivo tra la Fiom e la Cgil. A fronte dell’accordo siglato dalla confederazione il 10 gennaio scorso tutti si attendevano da parte dei meccanici una rottura se non definitiva quantomeno storica e clamorosa all’interno del principale sindacato italiano. Purtroppo nulla di tutto questo è accaduto. Nonostante le apparenze che hanno visto concludere il congresso su 3 documenti politici e 3 liste per la elezione del Comitato Centrale contrapposte, il confronto ha visto il prevalere di una guerra di posizione fatta di tatticismi e presunte furbizie reciproche. Uno scontro che si riduce sempre più a una battaglia tra gruppi dirigenti e sempre meno a una battaglia per le idee e i contenuti.
Quale dissenso?
Che il segretario generale della Fiom non volesse affondare il colpo lo si è capito fin dalla sua lunghissima relazione. Se in un primo momento ha usato un’espressione forte e apparentemente di scontro definendo la gestione del congresso da parte della Cgil come “truffaldina”, in realtà sulle tre questioni di fondo oggi in discussione la linea è stata alla ricerca spasmodica di mediazioni e compromessi. Al punto da far quasi perdere di vista quale fosse davvero la materia del contendere. Emblematica è la totale identità di vedute tra confederazione e meccanici sulla questione del governo Renzi. Quasi come dei contemplatori di quadri, Fiom e Cgil si limitano ad elencare le cose che vanno bene (sic!) e quelle che non vanno bene dell’azione dell’esecutivo. Poi giustificano il proprio immobilismo dietro l’argomentazione tutta da dimostrare del presunto consenso di cui godrebbe oggi Renzi tra “la gente”…quindi per ora bisogna lasciarlo “lavorare”. Tra sei mesi poi si farà il bilancio del suo operato e si agirà di conseguenza. Come se lo sviluppo dei rapporti di forza e della lotta di classe fossero un rubinetto che si apre e chiude a piacimento e non una lotta tra forze vive. Salvo poi scoprire che il consenso di cui magari si gode in un dato momento è stato dilapidato dall’attendismo. A quel punto non dubitiamo che i soloni del nostro sindacato lamentandosi di non essere stati capiti dal popolo chiederanno, come sarcasticamente affermava Brecht, di cambiare il popolo.
In secondo luogo anche sulla vicenda del Testo Unico, accordo che la Fiom giustamente ha affermato mettere in discussione la natura stessa del sindacato, la rivendicazione iniziale del “No all’accordo” si è trasformata in un molto più morbido “miglioriamo il testo”. La linea assunta pare ora essere la stessa usata all’epoca delle “carte rivendicative”. Ovvero tentare fabbrica per fabbrica di fare accordi in cui si scongiura l’applicazione delle parti peggiori di quel testo. L’esito di questa linea è stata disastrosa allora, lo sarà ancor più oggi che in ballo non c’è “solo” il rinnovo di un contratto nazionale, ma il sistema contrattuale nel suo complesso.
Se nella vicenda Pomigliano la Fiom avesse adottato questa linea, di fatto emendataria, pensiamo davvero che saremmo riusciti ad ottenere le vittorie, pur parziali, ed il consenso che quella battaglia ci portò all’epoca? La linea che stiamo assumendo oggi per il Testo Unico è esattamente quella della “Firma Tecnica” che all’epoca la Cgil ci propose e che noi giustamente rifiutammo. Un accordo che lede diritti indisponibili, come sostiene anche il giurista Umberto Romagnoli consulente del nostro sindacato, va eliminato, punto e basta.
Infine sulla questione della democrazia in Cgil e sulla gestione “truffaldina” del congresso (cosa che i sostenitori del secondo documento già da settimane denunciavano in beata solitudine e ben prima che venissero resi pubblici i dati sull’esito degli emendamenti). Più passa il tempo e più si ha la sensazione che un problema vero e giusto, quello cioè di una condotta sempre più autoritaria ed antidemocratica della nostra confederazione, sia usato strumentalmente per contrattare qualche posto in più come delegato al congresso nazionale confederale e dunque al Direttivo Nazionale futuro. Insomma l’ennesima guerra tra gruppi dirigenti per i posti.
Le ambiguità della linea Fiom danno i propri frutti (amari)
Che la discussione abbia avuto questa dinamica non è certo casuale, ma è la naturale ed ennesima conseguenza di una scelta politica che la maggioranza del gruppo dirigente della Fiom ha fatto ormai da 3 anni a questa parte. Se il no coraggioso ed intransigente assunto a Pomigliano e Mirafiori 4 anni fa ci portò all’apice del consenso dentro e fuori la categoria al punto di poter organizzare una imponente manifestazione come quella del 16 ottobre 2010 a Roma, l’accordo confederale del 28 giugno 2011 ci ha posti davanti ad un bivio. La scelta all’epoca era tra una strada di conflitto aperto e senza quartiere all’interno della confederazione e una strada, apparentemente più semplice, di minor resistenza basata sulla rincorsa a tutti i costi del compromesso con la Cgil. Si scelse da allora questa seconda strada e oggi queste ne sono le conseguenze. Una manifestazione come quella del 16 ottobre, oggi di certo non avremmo la forza per poterla convocare.
All’insegna della moderazione e dell’assenza di discussione vera
Un vecchio proverbio sostiene che sia nei dettagli che il diavolo celi la coda. In questo congresso per la verità i dettagli non sono neanche così minuziosi, al contrario. Il fatto che la commissione politica non abbia nemmeno speso tempo a discutere sugli ordini del giorno ma si sia limitata a ratificare il volere della maggioranza rende l’idea di come il problema sulla gestione proprietaria dell’organizzazione non sia solo di natura confederale. A chi scrive non è ancora chiaro se sia stato per disinteresse, pregiudizio o per convinzione politica (molto probabilmente un pò tutte queste cose assieme), ma il congresso, su indicazione della segreteria uscente ha respinto tre ordini del giorno in maniera del tutto inspiegabile. Uno in cui si chiedevano le dimissioni di Susanna Camusso da Segretaria Generale Cgil, su cui è addirittura intervenuto Landini per dire (quasi si riferisse un po’ anche a se stesso) che la discussione non deve essere sulle persone ma sulle idee. Verrebbe da chiedere al segretario Fiom se i gruppi dirigenti non si possono mettere in discussione durante un congresso, quando secondo lui sarebbe opportuno farlo. Un secondo ordine del giorno che chiedeva lo sciopero generale contro la riforma delle pensioni Fornero è stato respinto con la motivazione palesemente falsa che tale richiesta era già presente nel testo del documento politico approvato dal congresso. Verrebbe da chiedere: ma se è così, e basta leggere i documenti per vedere che così non è, qual è il problema nel ribadire e rafforzare il concetto? Mistero. Infine, e questo è senz’altro il più odioso, ci si è rifiutati di approvare un ordine del giorno che esprimeva solidarietà ai quattro compagni No Tav che senza alcuna prova sono da mesi detenuti con la pesantissima accusa di terrorismo per aver forse manomesso un compressore. Guzzanti, Vauro, Emergency e pure Mastrandrea si mobilitano in loro solidarietà e la Fiom no! Verrebbe da sorridere se non ci fosse da piangere.
La coda di quel diavolo che è la moderazione col passare del tempo si è fatta davvero troppo ingombrante anche nella nostra categoria.
Il congresso nazionale Cgil
La tre giorni fiommina si è conclusa con reciproche domande senza risposta. Il segretario della Cgil ha chiesto se la Fiom fornirà i dati della consultazione sul Testo Unico inerenti agli iscritti (come a dire che se la Fiom si rifiuta si mette fuori dalle regole confederali) ed il segretario della Fiom ha risposto con un’altra domanda, ovvero se la Cgil aiuterà la Fiom a “migliorare” il Testo Unico (come se la Cgil dopo aver firmato un accordo possa mai accettare davvero di modificarlo, ammettendo così la propria inettitudine). Tutto è stato dunque rinviato al congresso nazionale confederale, assise in cui a giocare “in casa” sarà Camusso. L’impressione è che ad oggi nessuno dei due contendenti voglia, abbia il coraggio o possa assestare un affondo finale. Quale sarà l’epilogo di questa vicenda è ancora difficile da stabilire. Troppe sono ancora le incognite e le variabili in campo che potranno cambiare il corso degli avvenimenti tra il 6 e l’8 maggio a Rimini. Tuttavia una cosa è certa. Se, come le conclusioni del congresso dei meccanici lasciano presagire, Landini e il suo gruppo dirigente accettassero un ennesimo accordo al ribasso come fatto negli ultimi 3 anni, questo potrebbe forse garantire ancora per qualche tempo l’autoconservazione dell’apparato, ma certamente sancirebbe una pesante sconfitta politica per la Fiom. Una sconfitta che graverebbe innanzitutto e soprattutto su chi quotidianamente deve misurarsi coi padroni nelle fabbriche e cioè i delegati e i militanti. In una parola, la spina dorsale e la linfa vitale della nostra organizzazione. Per quanto ci riguarda, con le poche forze che avremo, faremo di tutto perchè questo non avvenga e perchè tale accordo non ci sia. La Fiom deve continuare ad essere o tornare ad essere un punto di riferimento per chi ne ha abbastanza di subire e vuole rialzare la testa per cambiare le cose. Per chi ne ha abbastanza dei ricatti dei padroni. Noi difenderemo la Fiom ad ogni costo e contro chiunque la voglia portare alla resa!